lunedì 31 gennaio 2011

Claudio De Nardi, 1950-2010

Claudio De Nardi, 1989 (foto di Giancarlo Pellegrin)“In memoria di Claudio De Nardi,
scomparso improvvisamente
e prematuramente mentre
questo libro era in fase di stampa”.

Questa la dedica in settima pagina di Teoria dell'orrore, riedizione aggiornata della raccolta dei saggi di H.P. Lovecraft appena pubblicata dall’editrice Bietti, la cui prima edizione presso Castelvecchi, nel 2001, era appunto stata tradotta da De Nardi.

Appresa per via diretta nel novembre scorso, la notizia sembra aver colto di sorpresa l’editore ed è soltanto attraverso tale omaggio, aggiunto in stampa all’ultimo minuto, che veniamo a conoscenza della morte di Claudio De Nardi, saggista e traduttore, appassionato ed esperto di letteratura weird tra i massimi in Italia, attivo dalla seconda metà degli anni 70.

Proprio nel suo primo saggio pubblicato su volume, “Alla ricerca della Chiave d'Argento” nel derlethiano Il guardiano della soglia (Fanucci, 1977), è possibile scovare una delle rare note biografiche che lo descrivono, in seguito altrimenti rarefatte sino alla mera citazione del dato bibliografico, se non del tutto assenti nell’estrema riservatezza del suo proporsi in pubblico: “Claudio De Nardi (1950) veneto trapiantato in Friuli, si occupa di letteratura e poesia europee e nord-americane moderne. Si è laureato in lettere con una tesi sul più «orfico» e forse più grande poeta «fantastico» italiano del Novecento: Dino Campana. Laureando in filosofia […],” e via scrivendo sulle proprie attività di quel periodo.

Premio “Repubblica di San Marino” 1995 per il complesso della sua opera saggistica, collaboratore editoriale per Fanucci, Solfanelli, Reverdito, Il Cerchio, Castelvecchi e varie storiche realtà del fandom italiano dalla triestina Il Re in giallo a Yorick, articoli di De Nardi erano apparsi sulla rivista francese Antares e sugli americani Lovecraft Studies.

Fra i volumi tradotti e curati, i ritrovati racconti lovecraftiani de L'albero sulla collina (Solfanelli, 1988), le antologie di saggi Vita privata di H.P. Lovecraft (Reverdito, 1987) e Lovecraftiana (Yorick, 1995); l’antologia narrativa sui vampiri Il sangue e la rosa (Reverdito, 1988); le versioni italiane del romanzo The Hill of Dreams di Arthur Machen (La collina dei sogni, Reverdito, 1988) e delle storie di Lord Dunsany in The Book of Wonder (Il libro delle meraviglie, Reverdito, 1989).

Da ricordare le fondamentali traduzioni di Lovecraft per le edizioni Oscar Modadori, quindi il The Commonplace Book (Diario di un incubo. Taccuini 1919-1935, Mondadori, 1994), Il libro dei Gatti (Il Cerchio, 1996) e la saggistica per SugarCo (In difesa di Dagon e altri saggi sul fantastico, 1994) e per la citata Castelvecchi (Teoria dell'Orrore. Tutti gli studi critici, 2001). E ancora l’opera su Arthur Conan Doyle nelle raccolte L'anello di Toth (Fanucci, 1986), Il Capitano della Stella Polare (Solfanelli, 1986) e Il vampiro del Sussex (Fanucci, 1990).

Riferimenti bibliografici in rete:
Indice cronologico come autore sul Catalogo Sf, Fantasy e Horror in Italia
Indice cronologico come traduttore sul Catalogo Sf, Fantasy e Horror in Italia
Scheda personale nel Prontuario narratori FS italiani su IntercoM
Ricerca in Science Fiction Station: Enciclopedia su IntercoM


La foto (Trieste, 1989) è di Giancarlo Pellegrin tratta dal Museo Fotografico della Fantascienza Italiana.

Andrea Bonazzi

venerdì 28 gennaio 2011

A Weird Writer in Our Midst, Lovecraft agli albori della critica

A Weird Writer in Our Midst, 2010, copertinaFresco di stampa dall’americana Hippocampus Press, A Weird Writer In Our Midst: Early Criticism of H.P. Lovecraft è una raccolta saggistica curata da S.T. Joshi a presentare i primi approcci critici sull’opera di Howard Phillips Lovecraft, pubblicati in vita e nel periodo successivo alla scomparsa fino alla metà degli anni 50.

Come introduce la nota sulla quarta di copertina originale: – “ci è noto che H.P. Lovecraft fu virtualmente ignorato dalla comunità letteraria mainstream del suo tempo, ben conosciuto piuttosto nel solo minuscolo mondo del giornalismo amatoriale e dei fans del fantastico. Eppure, è sorprendente constatare quanti commenti su Lovecraft siano apparsi in varie sedi, sia preminenti che oscure, nei suoi stessi anni e subito dopo la morte nel 1937”.

Per la prima volta in unico volume, gli albori della critica lovecraftiana vengono presentati in una vasta gamma di testi e d’interventi, dai primi tentativi di analisi sui lavori del Sognatore di Providence, da parte di amici e scrittori come Long e Kleiner, ai necrologi, gli articoli e le memorie personali di colleghi e conoscenti, i commenti dei lettori nelle rubriche della posta su Weird Tales e su Astounding, l’ampia rassegna critica dal fandom degli anni 30 e 40 e, finalmente al di fuori del genere, le prime reazioni dagli ambienti della letteratura e dalla stampa, con le iniziali recensioni dell’esordio librario postumo attraverso la Arkham House. Compreso un commento di Algernon Blackwood da lettera privata ed esclusa, tuttavia, la più famosa, drastica, influente e ristampata delle stroncature: quella di Edmund Wilson in “Tales of the Marvellous and the Ridiculous” (New Yorker, 24 novembre 1945).

Documenti che segnano l’avvio di un riconoscimento critico che tarderà ancora per decenni ad affermarsi, in una gran mole di materiali difficilmente reperibili, sparsi allora fra giornali, riviste o rare e ormai collezionistiche pubblicazioni amatoriali. Un fitto indice di autori e contenuti che preferiamo riportare interamente a seguito, nonostante la lunghezza, in luogo di ulteriori commenti all’edizione:

Introduction – S.T. Joshi
I. Recollections of Lovecraft
Howard P. Lovecraft (1890-1937) – Walter J. Coates
Amateur Affairs – Hyman Bradofsky
[Letter to the Editor] – Robert Bloch
Interlude with Lovecraft – Stuart M. Boland
Howard Phillips Lovecraft – Muriel E. Eddy
I Met Lovecraft – Paul Livingston Keil
The Man Who Came at Midnight – Ruth M. Eddy
II. Criticism in Lovecraft’s Lifetime
A Note on Howard P. Lovecraft’s Verse – Reinhart Kleiner
Howard P. Lovecraft’s Fiction – W. Paul Cook
The Vivisector – Zoilus [Alfred Galpin]
Preface to The Shunned House – Frank Belknap Long, Jr.
A Weird Writer Is in Our Midst – Vrest Orton
The Sideshow – B.K. Hart
What Makes a Story Click? – J. Randle Luten
III. Comments from Readers
A. Weird Tales
B. Astounding Stories
IV. Criticism from the Fan World
H.P. Lovecraft, Outsider – August Derleth
A Master of the Macabre – August Derleth
Disbelievers Ever – R.W. Sherman
The Last of H.P. Lovecraft – J.B. Michel
What of H.P. Lovecraft? Or, A Commentary upon J.B. Michel – Autolycus
H.P. Lovecraft: Strange Weaver – J. Chapman Miske
Lovecraft and Benefit Street – Dorothy Walter
[Letters to the Editor] – Thomas Ollive Mabbott
A Plea for Lovecraft – W. Paul Cook
Let’s All Jump on H.P.L. – P. Schuyler Miller
Howard Phillips Lovecraft – Michael Harrison
The Lovecraft Cult – Arthur F. Hillman
Lovecraft Is 86 – Francis T. Laney
Rusty Chains – John Brunner
Some Notes on HPL – Sam Moskowitz, Fritz Leiber, Edward Wood, John Brunner
V. Notices from the Literary Community
Mystery and Adventure [The Outsider and Others] – Will Cuppy
Horror Story Author Published by Fellow Writers
[Review of The Outsider and Others] – T.O. Mabbott
Such Pulp as Dreams Are Made On – Robert Allerton Parker
Macabre, Lyrical and Weird – Peter De Vries
Mystery and Adventure [Beyond the Wall of Sleep] – Will Cuppy
Nightmare in Cthulhu – William Poster
Books Alive [1944] – Vincent Starrett
Bookman’s Holiday – Charles Collins
[On Lovecraft] – Algernon Blackwood
Mystery and Adventure [Marginalia] – Will Cuppy
Poesque Doodles – Marjorie Farber
Books Alive [1945] – Vincent Starrett
The Phoenix Nest – William Rose Benét
[Review of Supernatural Horror in Literature] – Fred Lewis Pattee
Pilgrims trough Space and Time – J.O. Bailey
Imagination Runs Wild – Richard B. Gehman
Books Alive [1949] – Vincent Starrett
A Bookman’s Notebook – Joseph Henry Jackson
Sabbat-Night Reading – E.O.D. Keown
Of Good and Evil – [Anthony Powell]
The Genius Who Lived Backwards – Vincent H. Gaddis
Appendix: Some Vignettes

Copertina di Jason C. Eckhardt, informazioni sul libro presso la pagina dedicata sul sito web dell’editore.

A Weird Writer In Our Midst: Early Criticism of H.P. Lovecraft
a cura di S.T. Joshi
Hippocampus Press, 2010
brossura, 254 pagine, $20.00
ISBN 9780984480210

Andrea Bonazzi

mercoledì 26 gennaio 2011

Arthur Machen, Algernon Blackwood e la Golden Dawn...

Arthur Machen, 1901, fotoConsiderazione en passant sorta a seguito della rilettura di diversi articoli in rete, ma valida a proposito di una gran parte della saggistica breve e delle note editoriali, critiche o biografiche – italiane e non – su Arthur Machen e altri autori fantastici d’area britannica e suoi contemporanei. Tutti interventi in cui si esalta, come fattore di primaria importanza, l’appartenenza all’ormai famoso “Ordine Ermetico dell’Alba Dorata”.

Tra gli avvenimenti principali nella vita dello scrittore gallese, massimo risalto viene usualmente dato al suo ingresso, nella società esoterica The Hermetic Order of the Golden Dawn, cui si associano invariabilmente i nomi di Bram Stoker, Algernon Blackwood, Lord Dunsany, Dion Fortune, Sax Rohmer e tanti altri scrittori weird e del mistero, oltre a William Butler Yeats e al celeberrimo Aleister Crowley che ne prese a un certo punto il controllo.

Tanto particolare entusiasmo per la Golden Dawn, da parte degli scrittori del periodo, appare in verità ampiamente mitizzato, spesso basato su informazioni parziali, datate o palesemente “di parte” che continuano tuttavia a restare fra le più diffuse, un po’ come accade per le leggende attorno a Lovecraft, complice l’estrema diffusione via Internet. I più documentati citano a supporto testi e pubblicazioni che, a ben vedere, non si rivelano a loro volta così limpidi circa le proprie fonti. Per esempio, l’affiliazione di Stoker risulta oggi indimostrabile benché avesse amici nell’Ordine (in italiano, vedasi anche The Dark Screen di Pezzini e Tintori, Gargoyle Books, 2008). Lo stesso si può tranquillamente affermare per il pragmatico Dunsany, mentre appare improbabile un’adesione formale di Rhomer, nonostante il suo interesse per l’occulto e i probabili contatti personali con membri riconosciuti, come lo furono Yeats e Lady Wilde (la madre di Oscar), oltre a Dion Fortune (Violet Mary Firth), Fiona MacLeod (William Sharp), Edith Nesbit o ancora Charles Williams.

Aderire a una massoneria o una società esoterica, nell’Inghilterra tra fine Ottocento e primi Novecento, per molti non era poi troppo diverso dall’iscriversi a un circolo sociale elitario, con una partecipazione personale non di rado minima o superficiale. E in quanto a Machen – ma non solo lui, vedremo – l’importanza del suo rapporto con l’“Alba Dorata” non è tanto individuabile nelle pretese conoscenze occulte che avrebbe dovuto trasporre in narrativa, come non pochi amano pensare, quanto nella profonda disillusione verso tali società esoteriche, documentata nei suoi scritti.

Poco dopo la morte della moglie, Arthur Machen aderisce alla Golden Dawn su invito dell’amico Arthur Edward Waite, risultandone iniziato nel novembre del 1899. Ma non si lascia coinvolgere più di tanto da un gruppo nel quale non ritrova un congeniale ambiente spirituale, e non andrà oltre il grado di “Praticus” , il terzo nell’Ordine più esterno. Da cattolico, se ne stuferà per meglio sviluppare più tardi una propria forma di cristianesimo basata sulla tradizione celtica.

Algernon Blackwood, fotoAlgernon Blackwood, altro nome ricorrente associato alla Golden Dawn, vi entra un anno più tardi, nell’ottobre del 1900. Ne sarà un poco più coinvolto approfondendo in tale ambiente le aree di suo maggiore interesse, ma lui pure si fermerà presto: raggiunto il grado massimo del primo Ordine, non prosegue oltre scegliendo di non diventare un adepto. Starlight Man: The Extraordinary Life of Algernon Blackwood, la biografia apparsa nel 2001 a firma di Mike Ashley, fornisce preziosi particolari sull’intero argomento.

Sia Machen che Blackwood seguono Waite quando ricostituisce la Golden Dawn nel 1903, dopo che si era spezzata in due fazioni, ma entrambi già perdevano interesse. Blackwood la considerava non più che una sorta di “club esclusivo” e scriverà più avanti, sulla rivista Time and Tide del 16 marzo 1923, di condividere il giudizio tutt’altro che lusinghiero espresso da Machen nel decimo capitolo del volume autobiografico Things Near and Far, pubblicato nel 1923:

“But as for anything vital in the secret order, or anything that mattered two straws to any reasonable being, there was nothing of it, and less than nothing. Among the members there were, indeed, persons of very high attainments, who, in my opinion, ought to have known better after a year’s membership or less; but the society as a society was pure foolishness concerned with impotent and imbecile Abracadabras. It knew nothing about anything and concealed the fact under an impressive ritual and a sonorous phraseology. It had no wisdom, even of the inferior or lower kind, in its leadership; [...]”

“Ma in quanto ad alcunché di vitale nell’Ordine segreto, o qualunque cosa che importasse un fico ad alcun essere ragionevole, di questo non c’era nulla, e men che nulla. Fra i membri v’erano, in effetti, persone d’alta cultura le quali, a mio giudizio, dopo un anno o meno d’affiliazione avrebbero dovuto avere più buonsenso; ma la società quanto a società era pura sciocchezza incentrata su inutili e imbecilli “Abracadabra.” Essa non sapeva niente di niente, e nascondeva la cosa sotto a un rituale di grand’effetto e una fraseologia altisonante. Non aveva saggezza, nella sua guida, nemmeno dell’inferiore o del più basso genere; [...]”

La traduzione è mia, restando l’originale inedito in Italia. L’autore gallese si riferisce all’Ordine in tutta trasparenza come Order of the Twilight Star, proseguendo le invettive, non senza caustico umorismo, ben oltre il brano estratto in precedenza.

Per approfondire, sui rapporti fra autori del fantastico e Golden Dawn si può leggere in inglese l’articolo di Leigh Blackmore Hermetic Horrors. Weird Fiction Writers and the Order of the Golden Dawn, disponibile negli archivi web di Scribd.

Andrea Bonazzi

lunedì 24 gennaio 2011

EsoTerra: The Journal of Extreme Culture in unico volume

EsoTerra: The Journal of Extreme Culture, 2011, copertinaRivista americana underground incentrata sulla “cultura estrema”, per circa dieci anni EsoTerra ha proposto interviste con artisti, scrittori e musicisti accanto ad articoli sull’occulto, su fenomeni bizzarri e argomenti misteriosi nella tradizione di Charles Fort. Le sue pagine hanno ospitato diverse personalità spesso provocatorie e visionarie come Alan Moore, HR Giger, Genesis P-Orridge, Marilyn Manson, David Tibet, Thomas Ligotti e molti altri personaggi “alternativi” che hanno contribuito alla testata, o ne sono stati intervistati su temi inusuali e in modo approfondito.

Questo e altro fra i migliori scritti e le proposte artistiche del magazine viene oggi raccolto in un unico volume, EsoTerra: The Journal of Extreme Culture, selezionato dal suo curatore Chad Hensley e pubblicato negli Stati Uniti da Creation Books.

Il libro comprende materiali dall’inedito numero conclusivo di EsoTerra e, fra i contenuti d’interesse per i cultori dell’insolito e del fantastico, interviste e opere artistiche di John Coulthart, Harry O. Morris e Andrew Chumbley, oltre a uno speciale “The Nightmare Network” di Thomas Ligotti, la sua intervista e un’intervista a David Tibet condotta dallo stesso Ligotti.

Volume illustrato e di grande formato, la prima edizione della raccolta è apparsa nel dicembre scorso in una tiratura limitata di 50 copie, a copertina rigida e con stampa autografata dagli artisti al prezzo collezionistico di 65 dollari. A fine marzo, invece, la sua pubblicazione commerciale in un assai più accessibile trade paperback.

Informazioni presso il sito di EsoTerra e sulla pagina web dedicata dell’editore Creation Books.

EsoTerra: The Journal of Extreme Culture
a cura di Chad Hensley
Creation Books, 2011
brossura, 320 pagine, $24.95
ISBN 9781840681666

Andrea Bonazzi

sabato 22 gennaio 2011

Alex Andreyev, “una realtà separata”

Alex Andreyev, Second Invasion of Martians
Alex Andreyev, Under the Rain
Alex Andreyev, Way Home
Alex Andreyev, You Leave
Alex Andreyev, Metronomicon 01
Alex Andreyev, Metronomicon 14

Vive e lavora a San Pietroburgo il trentottenne russo Alex Andreyev, da vent’anni attivo nei campi della grafica passando dalle tecniche tradizionali alla pittura digitale, su temi che si avventurano volentieri e apertamente nel fantastico.

“Il mio stile si descrive al meglio come surrealismo,” scrive nella nota biografica sulle pagine web di Alex Andreyev. A separate reality. Un surreale che si sposa con i classici della fantascienza nelle illustrazioni per i romanzi L’invincibile e Pianeta Eden di Stanislaw Lem, e la più recente concept art per il nuovo film d’animazione Kin-Dza-Dza. O ancora nella serie di elaborazioni fotografiche in bianco e nero del personale progetto The Metronomicon, a ritrarre un’alternativa, folle visione sotterranea – e quasi lovecraftiana – della metropolitana di Mosca.

Gallerie: sito ufficiale dell’artista www.alexandreev.com; blog personale alexandreev.livejournal.com; pagine dedicate su DeviantArt e su Facebook.

Andrea Bonazzi

giovedì 20 gennaio 2011

The Womb of Time, due storie lovecraftiane di Brian Stableford

The Womb of Time, 2011, copertinaSeconda uscita nella serie “New Millennium Mythos” della Perilous Press, collana curata da S.T. Joshi dedicata a nuove opere originali nel filone dei “Miti di Cthulhu”, The Womb of Time di Brian Stableford raccoglie un romanzo breve e una novella dell’autore britannico, più noto in Italia per la sue storie d’ambito fantascientifico e qui alle prese con atmosfere tipicamente lovecraftiane.

In The Womb of Time, il rustico villaggio inglese di Dunwich (reale località costiera del Suffolk) sta lentamente sgretolandosi nel mare, quando il ritiro delle onde per una rara condizione di marea sembra promettere il ritrovamento di rovine antiche, di tesori sepolti e della perduta vera corona d’Inghilterra. Tre studiosi arrivano in paese, ognuno coi suoi segreti scopi, ma al momento di ritrovarsi all’insegna della Hidden Crown, i misteri che li hanno convocati iniziano ad assumere una propria vita, offrendo loro sulla riva un breve ma sconvolgente scorcio dell’ultimo Altrove. Sogni ed elucubrazioni s’intrecceranno con un terrore senziente e senza nome, in un’audace reinterpretazione della concezione stessa e della minaccia di Cthulhu.

La musica possiede l’incanto di arginare gli impulsi più selvaggi, ma nelle mani sbagliate può anche aprire il varco a sfere di malvagità infinite. Sorta di seguito al racconto di H.P. Lovecraft, in The Legacy of Erich Zann un assassino vaga per le strade di Parigi sulle orme del muto violoncellista della Rue d’Auseil, e soltanto il più grande investigatore criminale d’Europa, Auguste Dupin, potrà sperare di sventare un folle piano per riprendere ciò che aveva interrotto il medesimo Erich Zann. Con abile maestria che trascende il pastiche fine a sé stesso, Stableford introduce il brillante detective creato da Edgar Allan Poe nella cosmica irrazionalità dell’universo lovecraftiano.

“Due delle più potenti e intelligenti narrazioni lovecraftiane scritte negli ultimi anni” secondo S.T. Joshi, che firma l’introduzione alla raccolta. Con copertina e illustrazioni interne di Cyril Van Der Haegen, il volume è disponibile in una tiratura limitata di 250 copie numerate e autografate in vendita presso l’editore al prezzo di $49.00, in attesa della sua più accessibile edizione commerciale.

Informazioni sullo store del sito ufficiale di Perilous Press.

The Womb of Time
Brian Stableford
Perilous Press, 2011
copertina rigida, 248 pagine, $32.95
ISBN 0970400031

Andrea Bonazzi

martedì 18 gennaio 2011

Vampiri per IF – Insolito e Fantastico n. 5

Vampiri, IF – Insolito e Fantastico n. 5, 2010, copertinaFinalmente disponibile Vampiri, il n. 5 di IF – Insolito e Fantastico, trimestrale di letteratura, cinema, arte e musica di stampo fantastico, fantascientifico e weird pubblicato a cura di Carlo Bordoni per il Gruppo Editoriale Tabula Fati. Il blog ufficiale lo annunciava in preparazione fin dallo scorso agosto senza mai più aggiornare, tuttavia, alcuna novità sulla sua effettiva uscita prevista per l’ottobre del 2010, lasciando in una certa confusione i potenziali interessati.

Completamente dedicate ai vampiri le 128 pagine illustrate nel quinto numero tematico della rivista, come anticipato in rete dalla nota editoriale: “dopo il successo della serie cinematografica tratta dai romanzi di Stephanie Meyer, era più che mai necessario analizzare l'argomento. In questo numero ne parlano Giuseppe Panella, Gianfranco de Turris, Errico Passaro, Antonio Daniele, Gian Filippo Pizzo e Carlo Menzinger. Carlo Bordoni introduce il nuovissimo romanzo Tecniche di resurrezione di Gianfranco Manfredi, intervistato da Walter Catalano. Daniela Bolognini passa in rassegna la letteratura per ragazzi dedicata ai vampiri. Inoltre Riccardo Gramantieri e lo stesso Bordoni analizzano l'opera di Brian Lumley, lo scrittore inglese creatore della saga del Necroscopo. E poi ancora saggi, racconti e recensioni di Maria Parrino, Elena Romanello, Renzo Montagnoli, Salvatore Proietti, Claudio Asciuti, Renato Pestriniero, Andrea Coco, Pablo Dobrinin, Gianandrea de Antonellis e Francesco Troccoli”.

Una copia €8.00. La rivista è distribuita principalmente in abbonamento postale, al costo di €30.00 per quattro numeri, e in alcune librerie fiduciarie indicate sulla pagina web di IF – Insolito e Fantastico, presso la quale pure si trovano indicate le modalità d’ordine e di pagamento. Ai nuovi abbonati per il 2011 è riservata in omaggio una copia del romanzo di Carlo Bordoni In nome del padre (Baroni editore, 2001).

Per informazioni e richieste rivolgersi a rivistaif@yahoo.it oppure direzioneif@tiscali.it.

Andrea Bonazzi

domenica 16 gennaio 2011

Investigatori dell’occulto: disamina di un genere

John Silence, illustrazioneLa prima cosa da fare sarà senza dubbio definire bene la figura letteraria del “Dottore Psichico” o “Investigatore dell’Occulto”. La serie “classica”, per così dire (John Silence, Carnacki, Principe Zaleski etc.) deve le sue origini all’eminentissimo Sherlock Holmes, ma se ne discosta per molti particolari che cercheremo esaurientemente di elencare. Per cominciare, Holmes vive preferibilmente nel suo ritiro di Baker Street ma Scotland Yard, pur con qualche riserva, si tiene costantemente in contatto con lui, così come l’Intellighenzia londinese. Egli fra di loro è un “primus inter pares”, per lignaggio e propensioni nonostante la sua riservatezza, è buon amico-nemico dell’Investigatore Lestrade nonché (e questa è caratteristica imprescindibile) perfetto conoscitore della città in cui vive, Londra. Gli Investigatori dell’Occulto condividono con il loro “Padre putativo” praticamente solo quest’ultimo elemento.

Per quanto invece riguarda il resto, non si curano affatto dell’Intellighenzia né gli interessa particolarmente far parte dell’establishment, a meno che alcune “conoscenze altolocate” non siano necessarie a risolvere casi di peculiare complessità. Va pertanto rimarcato che, con l’esclusione del Principe Zaleski di Matthew Phipps Shiel, personaggio che appartiene alla nobiltà polacca ed è pertanto tenuto a conoscere gran parte delle altre genealogie nobiliari europee, questo elemento non è imprescindibile per un “Dottore psichico” tanto quanto lo è per il detective classico. E anche nel caso di Zaleski non si tratta a volte che di una pura “nota” di costume, utile solo a colorire ulteriormente trama e personaggio.

La scelta cosciente, da parte dell’“Investigatore dell’Occulto”, di mantenersi fuori dal mondo risponde altresì, come cercheremo di dimostrare, a un programma specifico. L’“Iniziato” gnostico, poco importa se la sua dottrina appartenga al “pessimismo” di Valentino, all’“Angelismo” di Basilide o al “Sofianismo” copto, deve liberarsi dall’opacità del mondo materiale e deve farlo tramite uno sforzo volontario e personale, e tramite l’esplorazione dei propri stadi nel cammino verso la “Rivelazione” finale. Gli elementi del mondo “esterno”, poco importa se sociali, linguistici, di lignaggio o di censo, non solo non costituiscono se non una perdita di tempo ma contribuiscono anche a inquinare ulteriormente la pura luce originaria dell’uomo “pneumatico”, l’uomo di spirito che è destinato alla conoscenza “gnosis”.

Se riflettiamo bene sulla temperie culturale e politica, presente nel periodo durante il quale questi scrittori davano vita alle loro creazioni letterarie, tale sfondo mistico non dovrebbe risultare particolarmente “forzato”. Non va dimenticato che Annie Besant, seguace e segretaria di Helena Petrovna Blavatski la fondatrice della Teosofìa, partecipò attivamente ai movimenti femministi dell’epoca, né che il Dottor Taverner di Dion Fortune (nome “iniziatico” della più prosaica scrittrice Violet Mary Firth, figura sulla quale torneremo più avanti) riflette perfettamente tutti gli elementi sopra indicati. Lo stesso socialismo di William Morris non era per niente alieno a tali componenti esoteriche, né il successivo “Comunismo” più rivoluzionario, con il suo programma di abbattimento delle differenze sociali sulla via del “Comunismo cosmico” che si può leggere anche “Rivelazione finale” o Eschaton.

William Hope Hodgson, l'autore di Carnacki, fotoSe vogliamo estenderci alla letteratura “moderna”, neppure la differenza fra “Babbani” e “Maghi di Hogwarts” della famosa e plurisfruttata saga di Harry Potter è particolarmente estranea alla differenza che le sette gnostiche dei primi secoli del cristianesimo stabilivano fra “uomini ilici” (da “Ule”, materia bruta) e “pneumatici” (uomini spirituali, veri gnostici). Per questo e altri motivi, il John Silence di Algernon Blackwood ha un passato e una condizione sociale sempre intravista o suggerita, mai del tutto esposta con chiarezza, e si occupa solo di casi “psichici” particolari, ma è quasi impossibile conoscere il “metodo” con il quale li scova, almeno prescindendo dalla categoria dell’“Occulto”. Il Principe Zaleski di Shiel vive come un recluso decadent nel suo torrione di beckfordiana memoria nel mezzo della campagna inglese, circondato da reperti archeologici che evocano un passato esotico e arcano, dai suoi libri di “teosofìa” (citazione testuale da Shiel) e dalle sue traduzioni di lingue “morte”. Thomas Carnacki, di Willam Hope Hodgson, si occupa solamente di casi proposti dai suoi sconosciuti amici e, per il resto, conduce la tipica vita del gentiluomo rurale (con un pizzico di “contafole” di paese che non guasta affatto), mentre il Dottor Taverner di Dion Fortune gestisce una “Clinica di salute mentale” (praticamente un manicomio), il che nell’Inghilterra dei primi del Novecento equivaleva in pratica a una morte sociale vera e propria, dato che i malati mentali venivano praticamente studiati alla stessa stregua dei “Selvaggi” anche durante gli ultimi anni dell’“Impero”.

Padre Brown d’altro canto, e dovremo includerlo in quanto nonostante la dichiarata ortodossia del suo creatore Gilbert Keith Chesterton non fa che confermare quanto detto sin qui, è un prete cattolico nell’Inghilterra anglicana (dunque un “papista”), mentre il Don Isidro di Jorge Luis Borges è addirittura un carcerato. Altra spiegazione di questo allontanamento spesso irreversibile dal mondo sociale andrà cercato, ancora, in alcuni concetti che lo gnosticismo iniziatico (che potremmo anche definire “eterodossia cattolica”) contribuisce a spiegare.

È molto difficile che i casi “soprannaturali” vengano cercati intenzionalmente da questa particolare classe di “professionisti”. Normalmente funziona al contrario secondo la formula tipica dei detectives “Hard Boiled”: – “Non sono io a cercare guai, sono i guai che cercano me!”. Questo tipo di racconti produce sempre qualche “coincidenza” per la quale il caso si propone “motu proprio” all’investigatore, come un gioco a incastro che alla fine “trova” il proprio protagonista.

All’interno dello gnosticismo, l’iniziato vero non ha più alcuna necessità di cercare il Mondo. Attraverso la sua “liberazione” (potremmo anche scrivere “emancipazione”) egli ha scoperto che l’Universo è solo un gioco di occultamenti progressivi, la luce viene nascosta dalle tenebre che non possono distruggerla, ma possono osteggiare l’iniziato. Una volta che l’Iniziato abbia assunto questa verità, non aiuterà i “Demiurghi” ponendosi egli stesso alla ricerca di un centro o “Polo”, che dia spiegazione della complessità del mondo (naturalmente si intende sempre per “Mondo” la complessa cosmogonia gnostica), non cercherà volontariamente il gioco di illusioni e confusioni che gli “Arconti” hanno sapientemente tessuto intorno agli ignari “tellurici”, ma sarà un “Polo” egli stesso (termine tradotto con “Qutb” nello gnosticismo persiano), aspetterà cioè che la Tenebra, non provocata, si muova e compia la sua mossa, per attirarle sul terreno dell’Iniziato, laddove egli potrà combatterla in situazione di vantaggio. Così, le vittime di casi soprannaturali del Dottor Taverner si riconoscono per alcuni “segni” specifici, indizio o di malattia peculiare o di “estraneità”, segni che l’Iniziato sa riconoscere, e quasi si pongono volontariamente nelle mani del Dottore riconoscendo intuitivamente la sua “Forte personalità psichica”.

I casi del Principe Zaleski sono sempre caratterizzati da una demoniaca complessità e lo “trovano” sempre nel momento in cui stanno per convertirsi in inevitabile tragedia, se non fosse per la soprannaturale capacità di risoluzione del Principe stesso, mentre la reputazione del Don Isidro di Borges è talmente incrollabile da permettergli di essere visitato costantemente dalla maggior parte dell’Intellighenzia argentina nella sua cella, quasi che la sua condizione di barbiere-carcerato non venga notata. Sappiamo già che Sherlock Holmes si appoggia, per la risoluzione dei suoi casi, alle risorse di Scotland Yard per quanto riguarda uomini e mezzi, per i nostri Investigatori dell’Occulto invece, non si tratta di nulla di così prosaico.

John Silence sembra avere, fra le sue conoscenze, un tipo particolare di “amici” che intervengono in suo aiuto quando necessario (a volte nemmeno questo fattore è lasciato direttamente all’intuizione del lettore); Il Dottor Taverner appartiene a una società iniziatica conosciuta sotto il nome di “Consiglio dei Sette” ed egli, a volte, è tenuto a intervenire per esplicita richiesta del Consiglio, quando il caso lo richieda, mentre quasi mai arriveremo a conoscere la natura esatta degli “amici” di Carnacki, né che tipo di criteri o fonti usi nel rinvenimento dei suoi casi paranormali.

Lo 'stimolante' del Principe Zaleski, illustrazionePer quanto invece riguarda il Principe Zaleski, egli sa esattamente come e quando muoversi e nessuno gli rifiuta aiuto, appoggio o informazioni, sia quale sia la gravità del caso. Vanno anche rimarcati i tratti apparentemente caricaturali di Zaleski rispetto al suo eminente patrigno di Baker Street, i quali in fondo non sono che un benevole ghigno di Matthew P. Shiel al suo illustre collega. Il detective di Arthur Conan Doyle è un entusiasta consumatore di cocaina, droga particolarmente stimolante per l’attività celebrale e i cui utilizzi clinici si stavano scoprendo proprio in quel periodo, mentre il Principe è un convinto fumatore di “cannabis indica”, oppiaceo dall’effetto calmante e onirico. Sherlock Holmes è uomo d’azione, può travestirsi in qualsiasi modo o foggia, spara ai criminali, gli dà la caccia senza pietà e lotta con loro all’ultimo sangue; Zaleski, piuttosto, risolve i suoi casi dal proprio torrione, “divinando” la soluzione grazie alle sue capacità intuitive (non deduttive), salvo nel famoso caso della “Società di Sparta” (la famosa “S.S.”, società fittizia la cui invenzione fu quasi profetica nei confronti della ben più reale “società” tedesca successiva), caso durante la risoluzione del quale il nostro viene quasi sacrificato dai suoi terribili accoliti, salvo poi uscire dalla situazione pronunciando una sola parola mistica, la natura della quale non potremo mai essere abbastanza dotti né preparati da scoprire.

Don Isidro Parodi, invece, non solo risolve tutti i suoi casi dalla cella del carcere in cui è rinchiuso, ma addirittura tutti cercano il suo aiuto, spontaneamente, come fosse un santo o un guru e non il barbiere di un quartiere povero argentino, mentre che dire di Padre Brown, ometto mite che non possiede né il phisique du role né l’inclinazione per mettersi a rincorrere criminali di qualsivoglia specie salvo, anche qui, l’eccezione costituita dal formidabile Flambeau che infatti si convertirà in accolito e seguace dell’umile ma implacabile pretino.

Altro fattore di cui dovremo tenere conto è l’utilizzo occulto del “colore” o della “sensazione “sottile”, che è un elemento chiave per comprendere il genere di “Investigazione soprannaturale”. Il lettore o lo scrittore “profano”, quello cioè più attento ai particolari del racconto di investigazione classico, si avvale di un tipo di interpretazione “per genere” così da porre sempre maggiore attenzione alla trama e agli elementi “polizieschi”, naturali e soprannaturali che siano, ma dimentica sempre che l’autore sa sempre più di quanto voglia lasciar intendere; bisogna leggere tra le righe della storia, per così dire, ed è là che si cela il vero “giallo”.

La ragione principale del declino di questo genere letterario sta nella sua apparente “artificialità”, che sembra contravvenire sprezzantemente ai principi basilari del genere. Le fonti e gli anelli delle catene deduttive di Sherlock paiono campati in aria solo all’inizio, ma alla fine appaiono chiari e ben sottolineati. Quando il detective di Baker Street sembra risolvere l’impossibile con un coup de main, il lettore si sente diviso fra l’ovvia stupefazione per la risoluzione del caso e la spiegazione di come l’investigatore abbia potuto superare gli ostacoli messi sul suo cammino grazie alla propria stupefacente conoscenza di persone e ambienti. Ma nei casi “Occulti” si sente nauseato a causa di tutti questi riferimenti ad “Amici superiori”, siano “Il Consiglio dei Sette” di Taverner o le “S.S.” di Zaleski impossibilitate a nuocere a causa di una non meglio identificata “parola di potere”. Per ovviare a questa nausea, basta solo scendere più nel dettaglio, usare una immaginazione “visiva”.

Se le regole del genere investigativo impongono di fornire al lettore “tutti” gli indizi necessari alla comprensione di come il caso sia stato risolto, gli autori di cui sopra non possono costituire in nessun caso un’eccezione, dato che questo genere letterario è sempre un esercizio di equilibrio perfetto tra elementi “Fantastici” ed elementi “reali”, e non tragga in inganno l’apparente “faciloneria” con la quale l’Harry Dickson di Jean Ray sembra fare uso sconsiderato del’elemento fantastico per scardinare la base deduttiva classica del racconto di investigazione: anche lì si sta facendo un uso ragionato e coerente di termini ed indizi. Cadere eccessivamente dall’una o dall’altra parte sarebbe pertanto un gesto di disattenzione da parte di un autore che si rispetti, ecco perché l’“Investigatore psichico” necessita di un lavoro più difficile per essere debitamente tratteggiato rispetto a quello “deduttivo” classico. Ma dove si possono trovare certi indizi senza ricorrere al frusto espediente del Deus ex Machina?

Arthur Machen, altro autore sul quale dovremo tornare più avanti, si è operato molto in questo gioco di riferimenti “occulti”. L’antesignano di tale tecnica è stato senza dubbio Robert Louis Stevenson nel suo New Arabian Nights, ripreso e arricchito dal Tale of the Three Impostors di Machen sulla cui lettura simbolica ha scritto belle pagine, a suo tempo, Elèmire Zolla. Ma è nel suo romanzo semi-autobiografico The Hill of Dreams che Machen descrive una tipica inziazione gnostica, secondo la formula fortunata (utilizzata peraltro nel Demian di Hermann Hesse con le stesse premesse simboliche) del “Romanzo di formazione”.

Investigatore dell'occulto, fotoIl protagonista de La collina dei sogni di Machen vive alcune abbaglianti visioni del passato mitico della sua terra (l’“Insula Avallaunius” o “Isola di Avalon” delle leggende celtiche), in principio sotto forma di incubi oppressivi, per poi rendersi conto che il clima di terrore generato proviene solamente dalla sovrapposizione di un mondo “Reale” (quello archetipico delle figure mitologiche) su quello “apparente” e fittizio della Londra industriale e operaia (e non al contrario. Se la lettura vi sembrasse forzata, ricordatevi della complessa simbologia che sta alla base de Il signore degli anelli e di cosa siano realmente gli “Orcs”…). Tutto il romanzo, nonostante la sua “sottigliezza” che spesso rende la lettura lenta e laboriosa, è in realtà molto interessante ed evocativo, ma risulta ancora più interessante se si tiene conto dei dettagli e degli “indizi” che Machen lasciò per il lettore e che contribuiscono a inquadrare molte altri capolavori del Fantastico in una prospettiva più ampia e meno artificiale della loro fortuna attuale.

L’intero romanzo va in realtà letto seguendo passo per passo gli stadi della trasmutazione alchemica. La prima parte; o “Età dell’ignoranza” del protagonista corrisponderà al “Nigredo” (opera al nero, operazione sulla materia bruta e ignorante, “rozza”, non temperata), la seconda parte, quella durante la quale l’eroe scopre che le sue visioni non sono pericolose, corrisponde già a uno stadio di “raffinamento” della materia originale, quello in cui l’eroe scopre la propria complessità “pneumatica” attraverso un “sentimento esterno”, un “matrimonio bianco” (leggi non consumato, l’amore di Machen è quasi sempre scevro da componenti sessuali); siamo pertanto nell’“opera al rosso”, quella del trasporto erotico verso la divinità, il “rubedo” che è come un roseto che si risveglia alla vita primaverile, e in Machen, infatti, il “rubor” acquista via via una serie concatenata di similitudini. La pubertà che si risveglia, il porpora delle torri di Avalon quando cala il crepuscolo, poco prima che l’immaginazione salvifica affondi nella notte, il “rossore” delle gote dell’innamorata del protagonista, il “risveglio” della passione, etc.

C’è chi ha tacciato Machen di “Decadente mancato”, ed è stato praticamente Mario Praz nel suo La carne, la morte e il diavolo, saggio sul decadentismo. Mancato dove? Proprio in questa sua “puritana” reticenza riguardo al sesso, troppo stilizzato, sempre simbolico, mai concretizzato, in aperto contrasto con gli amplessi esorbitanti di un Aubrey Beardsley, di un D’Annunzio o di un Huysmans, ma si è trattato di reticenza puritana da parte sua o del semplice fatto che Machen “voleva” che fosse così, in quanto non gli interessava “impressionare” o “scandalizzare” il lettore, ma rappresentare un stadio mistico più che una semplice esperienza erotica? Che faremo allora, tacceremo di puritanesimo anche i poeti mistici arabi e persiani o gli attribuiremo, al contrario, uno sfrenato erotismo represso?

Così il buon autore di investigazione soprannaturale agisce in soldoni come Machen, dissemina indizi, suggerisce colori e figure che solo un mitografo preparato riesce a scoprire, soprattutto un mitografo “informato”. Zaleski risolve i suoi casi meditando accanto alla mummia di una principessa egizia; è un simbolo dell’intuizione che “dorme sotto le ceneri” della mortalità, della passione nascosta, simbolo a sua volta dell’attività occulta del protagonista celata dal suo aspetto apparente di esiliato polacco, decadente e oppiomane; di “mummia” appunto morta al mondo. Ed è oltretutto un “rebus” che chissà non possa rivelarci qualcosa in più sulla sua qualità di “Iniziato”; “Passio surgit de Umbra” era il nome occulto di una affiliata femminile alla Golden Dawn, è sicuramente un indizio in più, anche se mai ne avremo la conferma definitiva dato che la mitografìa non si avvale di schiaccianti prove cronologiche o filologiche.

In altre parole, la ragione della fine di questo genere letterario ai giorni nostri sta propriamente nell’“oggetto” dell’investigazione. Questi autori sapevano dare ai loro racconti un’aura di genuino terrore in quanto si interrogavano metafisicamente sull’“Essenza” del Male, più che sui suoi agenti. Per Machen esiste una differenza ben precisa fra “Il Male” inteso nella sua accezione di “Santità rovesciata” e la brutalità dell’assassino, del killer seriale, dello stupratore, del genio del crimine organizzato o del mafioso, che costituiscono la fauna del detective classico.

Six Problems for Don Isidro Parodi, copertinaPer illustrare meglio cosa si intende dire, non c’è che analizzare ciò che in proposito scrisse Borges, che di tali giochi a rimandi metafisici basò tutta la sua letteratura, o buona parte di essa. Le figure “buffonesche” che confidano nelle soprannaturali capacità intuitive di Don Isidro Parodi sono figure caricaturali, sia della becera borghesia argentina dell’epoca sia di “tipi umani” che Borges decide di mettere alla berlina, e vanno sì inquadrati nelle figure linguistiche del cocoliche e del lunfardo, generi letterari più o meno culti che Borges intendeva scherzosamente criticare, ma si possono anche interpretare, a seconda degli argomenti, con le carte dei tarocchi. I suoi racconti, di fatto, fanno pensare molto a Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino.

Il primo racconto della serie parla di un inganno ben congegnato, ma dal movente incomprensibile. Fondamentalmente, la figura comica e ingenua figura di Achille Molinari ricorda moltissimo il Flambeau (“infiammabile”) di Padre Brown. Nel caso di Chesterton (peraltro ammiratissimo da Borges), si tratta di un giovane brillante ma confuso, che da bizzarro e geniale criminale si converte in amico e spalla inseparabile del suo ex-arcinemico. Nel caso di Borges si tratta invece di un giornalista brillante e intelligente, ma fondamentalmente ingenuo e credulone, che per la sua “opacità” viene pesantemente buggerato invece di ottenere la tanto desiderata adesione a una misteriosa setta orientale. Nel caso di Borges, le qualità di Molinari si trovano invertite rispetto a quelle di Flambeau, dato che il primo rimane decisamente ancorato alla sua “telluricità”. La figura corrisponde quasi esattamente, secondo l’interpretazione “occulta” del tarocco, allo “zero” o “Matto”.

Nel pensiero del neoplatonico Plotino, alle cui intuizioni si deve principalmente tutta l’interpretazione esoterica e alchemica dei tarocchi, che è molto più recente di quanto l’Occultismo voglia riconoscere, lo zero corrisponde all’“Abisso indifferenziato” o “Caos”. Il Caos è propriamente la confusione, laddove il basso si confonde con l’alto, la verità con la menzogna, l’apparenza con la realtà: ecco perché la carta mostra la figura di un giovane con cappello da buffone, vestito di stracci lisi e multicolori e inseguito da un cane. Così Molinari crede per tutta la durata del racconto di stare partecipando a una iniziazione reale, quando al contrario si tratta solo di una burla ben organizzata. Gli Orientali stanno solo prendendolo in giro, e precisamente per confondere “l’alto con il basso”.

Ricorda molto “Il Mago” dei tarocchi. Il mazzo detto “Marsigliese” ci presenta Le bateleur come un giovane che sembra mostrare, su di un banco che somiglia a quello degli illusionisti, una serie disparata di oggetti come se il personaggio stesse preparandosi a qualche trucco di magia. Ed è così che vediamo Gervasio Montenegro nel racconto di Borges, anche se si tratta del piano reclinabile nello scompartimento di un treno. Ma va ricordato che all’interno degli Arcani Maggiori, il Mago è l’unica figura che mantiene uno sguardo obliquo invece che rivolgerlo alla sinistra, alla destra o al fronte delll’osservatore. Sembra più che altro un giocoliere che non sa più che inventarsi, o un artista che non sa ancora bene come utilizzare tutti i suoi strumenti. È questa ambiguità furfantesca il tratto distintivo di Montenegro, questa abilità nel confondere la totale incomprensione del mistero poliziesco con un’apparente entusiasmo del tipo “ho capito tutto!”. Anche Montenegro assomiglia molto ad alcune simpatiche canaglie di Padre Brown.

Abbiamo scelto solo queste due per non allungare eccessivamente il brodo, ma credo che il succo si sia capito. Fondamentalmente, quello di Borges è un gioco di specchi dove l’immagine si confonde col suo doppio e si moltiplica all’infinito, contribuendo a scagliare il mistero su di un piano più sottile, complesso e metafisico. Savastano diventa una replica più “popolare” di Molinari, il quale è la replica più “intellettuale” di Sangiacomo, etc. Ma è anche il gioco favorito da Borges, la macchinazione nella macchinazione, la confusione fra copia e originale.

La Cosmogonia gnostica successiva a Plotino, quella cioè attribuita da Sant’Ireneo a Basilide e Valentino, è basata sull’esistenza di intermediari fra lo gnostico e la Divinità. Nei sistemi “negativi” questi Angeli sono conosciuti con il nome di “Arconti”, overo principi archetipici di difetti umani; in quelli “Positivi” sono figure che assomigliano molto agli “Elohim”, angeli o spiriti che governano pianeti o case planetarie, come l’Oyarses di Clive Staples Lewis nel suo Ciclo di Edwin Ransom. L’interpretazione occultistica dei tarocchi, che non risale anteriormente al Secolo Diciottesimo, comprende sia il sistema negativo che quello positivo. Don Isidro Parodi è il “Polo” (Qutb), il “Liberato” attraverso l’Iniziazione ovvero, secondo Basilide, L’“Adamo Originario”, che essendo passato attraverso i cieli e le stelle, che rappresentano gli umani difetti, si è purificato e ha ritrovato il suo stato originario.

Ma senza dubbio, se Don Isidro è passato attraverso tutte le esperienze di coloro che cercano il suo aiuto e se questi rappresentano simbolicamente gli Angeli gnostici, il detective incarcerato è un “Iniziato” che non arriva mai realmente a raggiungere la libertà che sta nell’unicità del Dio Plotiniano, in quanto questo “Uno” è sempre lo specchio o la copia imperfetta di qualcos’altro, cioè è sempre un “Due” un “Tre” e così via. Somiglia all’Almotasim del racconto omonimo, che alla fine non è la Divinità ma solo lo specchio di Una divinità maggiore, che è lo specchio di un’altra e così all’infinito, ma questa è solo la visione personale di Borges.

Senza dubbio gli altri Investigatori psichici hanno le stesse capacità del Don argentino: osservare, aspettare, correggere attraverso la conoscenza “gnosis”. In molti dei casi di cui ci parla Dion Fortune, il Dottor Taverner si limita, per quasi tutto il tempo della narrazione, a seguire non visto lo sviluppo del caso e le sue logiche conseguenze per poi “correggere” l’equivoco prima che impedisca la normale risoluzione, come nel caso della “Figlia di Pan” e nel caso dell’Ondina.

Prince Zaleski and Cummings King Monk, 1977, copertinaGià abbiamo parlato del poseur Zaleski, mentre John Silence sa sempre in anticipo di che si tratta o quasi, gli basta guardare attentamente l’interlocutore “con uno sguardo dei suoi” e la sua abilità specifica sta nel farsi aiutare dai suoi collaboratori senza che questi abbiano il tempo di riflettere sull’esatta natura del fenomeno. Conoscenza che, non essendo iniziati, causerebbe probabilmente il loro tracollo psichico. In altre parole, queste figure di “Detectives-iniziati” assomigliano molto agli “Istari” di Tolkien, uomini cioè il cui alto grado di conoscenza (Gnosis), gli ha permesso di raggiungere poteri quasi angelici. Che la maggior parte di questi autori (eccetto naturalmente Borges, Hodgson e Ray) sia appartenuta all’ordine della Golden Dawn è rilevante solo nel senso delle possibili conoscenze di occultismo con cui la setta li deve aver più o meno familiarizzati.

È vero che sia Machen che Blackwood cercheranno di dimenticare quel tipo di esperienza, ma nessuno dei due, né tantomeno Dion Fortune che creò poi la sua personale conventicola magica, dimenticò mai l’occultismo. Machen formò la sua personale visione mistica, basata sul cristianesimo celtico-medievale, sull’alchimia; Blackwood non smise mai di parlare dell’Occulto, anche in conferenze americane e programmi radiofonici, mentre Dion Fortune continuò a promuovere le proprie conoscenze magiche nel suo Order of the Inner Light.

Quel che voglio dire è che per scrivere un buon giallo “soprannaturale” bisogna possedere necessariamente una infarinatura di tali dottrine, in particolare per quanto concerne i due principi metafisici di “Bene” e “Male”. Ecco perché i brividi di un Blackwood non saranno mai paragonabili a quelli di un Seabury Quinn o di un Sidney Horler, ma potranno assomigliare semmai a quelli di un Manly Wade Wellman, scrittore americano che con il suo Judge Pursuivant pare ritornare parzialmente ai fasti di un Carnacki e di un John Silence.

Attualmente, solo John Connolly con il suo Charlie “Bird” Parker continua degnamente questo filone, stavolta partendo da premesse dell’Hard-Boiled più che del giallo di investigazione alla Conan Doyle. In altre parole, un buon scrittore deve sempre documentarsi scientificamente prima di affrontare questo difficile genere e mi potete credere se vi dico che quella “Occulta”, per uno che sa il suo mestiere (di scrivere) è una “Scienza” oggettiva e filologicamente fondata quanto qualsiasi altra…

Riporto qui una bibliografia parziale in italiano. Chi fosse interessato a non spendere troppo (dato che a parte una traduzione recente del John Silence, tutte le altre sono fuori catalogo e costano abbastanza) può ordinare i testi in lingua presso le librerie in rete oppure leggerli gratis, sempre in inglese, con il Project Gutenberg.

Gianni Montanari (a cura di), Investigatori del
l’occulto, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1990 [In particolare la buona introduzione del curatore]
J.L. Borges – A. Bioy Casares, Sei problemi per Don Isidro Parodi, Einaudi, Torino, 1975
W.H. Hodgson, Carnacki, cacciatore di spettri, SIAD Edizioni, Milano, 1978
M.P. Shiel, Il principe Zaleski, Sellerio, Palermo, 1986
Dion Fortune, I segreti di Taverner, dottore dell’occulto, Venexia, Roma, 2003
A. Blackwood, John Silence e altri incubi, UTET, Torino, 2010

Saggistica:
Plotino, Enneadas, Ed. It. testo a fronte, Rusconi, Milano, 2006
Henry Corbin, Corps Spirituelle et terre Celeste, Ed. Bouchet Chastel, Paris, 1979, p. 123
San Ireneo, Contra Haereses, Ed. It. testo a fronte, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori, Milano, 2003
Ioan P. Couliano, Experiences de l’extase, Payot, Paris, 1984, p. 8-9, pp.19 e seg.
Israel Regardie, The Golden Dawn, Llewelyn Publications, Woodbury, MN , 1971, p. 27
Henry Corbin, Corps Spirituelle et terre Celeste, Ed. Bouchet Chastel, Paris, 1979

Mariano D’Anza

venerdì 14 gennaio 2011

Mezzanotte: c’è Clark Ashton Smith alla radio

Clark Ashton Smith nella sua casa ad Auburn, 1941, foto“Il Black Falcon era la nave più veloce e la più potenete di tutte quelle che issavano la bandiera nera dei pirati. Quando la tempesta arrivò, i trentasei bucanieri trovarono riparo nell’Isola Segreta e lì procedettero all’interramento dell’enorme bottino. Quando, passata la tempesta, iniziarono a caricare a bordo i barili pieni della refurtiva, scorsero uno strano oggetto adagiato sulla sabbia, per metà dentro e per metà fuori...”

Soltanto ieri si ricordava il 118° compleanno di Clark Ashton Smith (nato il 13 gennaio 1893 e scomparso il 14 agosto del 1961) e proprio questa notte, su Rai Radio3 per la serie dei Racconti della Mezzanotte, si annuncia in programmazione una riduzione radiofonica del suo racconto “Il vino dell’Atlantide” (“A Vintage from Atlantis”, 1933), con Toni Bertorelli e Ferruccio Casacci per la regia di Beppe Navello. Il file della puntata, in formato RealAudio, resterà per qualche tempo riascoltabile e scaricabile dalle pagine dedicate sul sito di Radio3 Rai.

Il programma non è affatto nuovo all’adattamento di racconti anche di genere fantastico, usualmente compressi nei dieci minuti circa di ogni trasmissione. “Il grande dio Auto” (“The Great God Awto”, 1940), un’altra breve storia di C.A. Smith questa volta a carattere satirico, è andata in onda il 12 aprile scorso ed è fortunatamente ancora reperibile in formato Mp3 fra gli archivi web di MediaFire.

Andrea Bonazzi

Il Necronomicon di Zarono

Zarono, Fragments from the Necronomicon
Zarono, Fragments from the Necronomicon
Zarono, Fragments from the Necronomicon
Zarono, Fragments from the Necronomicon

Ha iniziato nel 2002 a vedere su Ebay le proprie illustrazioni e altri manufatti ispirati ai “Miti di Cthulhu” e al Necronomicon, lasciando che le sole opere lo rappresentassero nel proporsi al pubblico semplicemente con il nome di Zarono.

Nessun’altra informazione biografica emerge, scavando in Internet, se non la sua provenienza dalla cittadina statunitense di Madisonville, nel Tennessee, la sua passione per il disegno “eldritch horror” e le sue letture favorite: H.P. Lovecraft, Clark Ashton Smith, Robert E. Howard, l’orrore e il macabro.

I suoi “frammenti dal Necronomicon” sono stampe rifinite a mano su carta pergamenata in formati attorno ai 20x28 cm., riproduzioni dei suoi disegni originali a penna e inchiostro che inseriscono interpretazioni di entità e creature della letteratura lovecraftiana nel contesto di “perdute pagine” del grimorio maledetto.

Galleria: Zarono’s album su Photobucket. Store: Zarono items su Ebay.

Andrea Bonazzi

mercoledì 12 gennaio 2011

A Means to Freedom: le lettere di H.P. Lovecraft e Robert E. Howard

A Means to Freedom: The Letters of H.P. Lovecraft and Robert E. Howard (Volume 1: 1930-1932), 2009-2011, copertina
A Means to Freedom: The Letters of H.P. Lovecraft and Robert E. Howard (Volume 2: 1933-1936), 2009-2011, copertina

Pubblicato nel 2009 da Hippocampus Press in una edizione limitata a soli 300 set di copie, A Means to Freedom: The Letters of H.P. Lovecraft and Robert E. Howard raccoglie in doppio volume tutto lo scambio epistolare oggi disponibile tra Howard Phillips Lovecraft e Robert Ervin Howard, con le lettere di entrambi gli autori dal 1930 fino alla morte, nel 1936, del creatore di Conan e della heroic fantasy moderna. Un’edizione particolarmente ambita – se non “indispensabile” – per l’agguerrito e vasto fandom di entrambi gli scrittori, rapidamente esaurita e ormai quasi introvabile, proposta a prezzi demenziali sul mercato del collezionismo di settore. Di qui la richiesta di una sua ristampa più economica e maggiormente accessibile ai lettori: una versione questa volta in paperback che la Hippocampus annuncia prossima in uscita, finalmente, a marzo.

In più di mille pagine a cura degli esperti Rusty Burke, S.T. Joshi e David E. Schultz, quello con R.E. Howard è fra i più interessanti degli scambi epistolari di H.P. Lovecraft. Ricco di confronti sul piano personale, storico e letterario, ma soprattutto su posizioni diametralmente opposte: l’esaltazione del barbarismo come stato naturale dell’umanità, sostenuta dal texano, contro la strenua difesa della civiltà occidentale da parte del Gentiluomo di Providence. Il quale, per una volta tanto, trova degno antagonista alle sue tesi.

Dall’ammirazione reciproca alla critica sulle rispettive opere, la discussione di nuove storie, le opinioni letterarie, le esperienze e i viaggi, si passa ai temi storici: attraverso la mediazione di Weird Tales, infatti, Howard contattò Lovecraft proprio a proposito di una frase in gaelico al termine de “I topi nel muro”, pensando che quest’ultimo intendesse sostenere una particolare tesi sull’insediamento dei celti nelle Isole Britanniche, mentre la citazione era semplicemente tratta, come aggiuntiva nota di colore, da un’annotazione al racconto “The Sin-Eater” di Fiona Macleod.

Dalle migrazioni celtiche e l’espansione romana, che li trovava partigiani sui due fronti, all’epoca contemporanea in un intenso scambio di approfondimenti, racconti e personalissime visioni sulla civilizzazione e la storia, non ultima quella locale, dal New England dell’uno alla vita di frontiera dell’altro con le vivide, potenti rievocazioni narrative di Bob Howard che tanto impressionarono il suo corrispondente.

Di grande interesse anche i netti attriti sul piano delle personalità, decisamente inusuali nell’ampio epistolario lovecraftiano, accesi dal giovane del Texas, talvolta umorale, guardingo e permaloso, o riattizzati dal sotterraneo sarcasmo e dalle pose enciclopediche del più anziano gentleman del Rhode Island, forse fin lì troppo abituato ad aver facile ragione dei suoi interlocutori. Incomprensioni e piccoli scontri di carattere sempre e comunque ricomposti, fra i due, nella massima stima e considerazione.

Inalterata la grafica delle due copertine, illustrate da David C. Verba su scorci della cattedrale di St. John a Providence e della Main Street di Cross Plains, la riedizione è disponibile in una tiratura di mille doppie brossure al costo di 55 dollari, contro i 100 degli originali a copertina rigida.

Una descrizione dell’opera, con indice dei contenuti, è reperibile sul sito di The H.P. Lovecraft Archives. Informazioni e ordini presso la pagina web dedicata su www.hippocampuspress.com.

A Means to Freedom: The Letters of H.P. Lovecraft and Robert E. Howard
Volume 1: 1930-1932 / Volume 2: 1933-1936
a cura di Rusty Burke, S.T. Joshi e David E. Schultz
Hippocampus Press, 2011
brossura, 2 volumi, 1004 pagine, $55.00
ISBN 9780984480296

Andrea Bonazzi

lunedì 10 gennaio 2011

Jack Tacchi a Molla: le storie di “Spring-heel’d Jack”, il terrore di Londra

Jack Tacchi a Molla: il Terrore di Londra, 2010, copertina“Attenzione! Falso Sir Michael Dacre, verrà un giorno, molto presto, nel quale il tuo cuore sarà colmo del dolore di tutte le torture dei dannati – dei miseri e degli emarginati che disprezzi, e questo avverrà per mano mia, per opera di colui che tu hai battezzato Jack Tacchi a Molla!”

Da Count Magnus Press arriva il recupero tra folklore e letteratura popolare delle ottocentesche – e da noi ancora inedite – storie inglesi di Jack Tacchi a Molla: il Terrore di Londra, per la traduzione e cura di Giuseppe Lo Biondo dagli anonimi originali della serie Spring-heel’d Jack: The Terror of London, versione pubblicata nel 1885 dal settimanale londinese The Boy’s Strand.

Di aspetto diabolico nel suo mantello nero, con le mani artigliate, le orecchie a punta e i rossi occhi fiammeggianti, capace di spiccare salti di prodigiosa altezza – che gli valgono, appunto, l’appellativo di “Tacchi a Molla” – la figura di Spring Heeled Jack nasce come una leggenda urbana, a Londra, a partire dal 1837 quando un primo resoconto si diffonde descrivendo un incontro con questa strana creatura che d’improvviso, nottetempo, sbuca fuori dal Barnes Cemetery scavalcando i cancelli del camposanto in un sol balzo. Le voci di nuovi incontri notturni si moltiplicano presto e del demoniaco saltatore, il quale pare giocasse scherzi spaventosi terrorizzando le sue vittime senza però realmente far del male, finirà per occuparsi anche il serissimo The Times.

Da mito metropolitano, nuovo spauracchio dell’epoca industriale, “Jack Tacchi a Molla” diventa presto un personaggio di spicco nella narrativa britannica “di consumo” del periodo vittoriano, che ne drammatizza le inquietanti vicende romanzate in un ciclo di storie a grande effetto. Come i suoi omologhi Dick Turpin, Sweeney Tood o Varney il Vampiro – anch’essi ad affollare le pagine dei Penny Dreadful, fornendo brividi e macabro sensazionalismo a buon mercato a un pubblico sempre crescente di lettori – Jack ha ispirato nel tempo, in maniera più o meno dichiarata e consapevole, diverse produzioni dell’immaginario sia nelle forme dell’intrattenimento che nelle leggende popolari fino ai nostri giorni.

L’edizione italiana comprende i sei episodi narrativi del serial, arricchendosi di molte illustrazioni in bianco e nero tratte dalle originali uscite, per chiudersi con una lunga ed esaustiva nota critica e un apparato bibliografico finale.

Il volumetto è disponibile attraverso lo store di Count Magnus Press su Lulu.com, con un’anteprima in 65 pagine – consultabile qui a seguito – comprendente l’indice dei contenuti, la prima completa parte dell’opera e la postfazione. Informazioni sul blog countmagnus.blogspot.com.

Jack Tacchi a Molla: il Terrore di Londra
Anonimo
a cura di Giuseppe Lo Biondo
Count Magnus Press, 2010
brossura, illustrazioni in b/n, 188 pagine, €13.00




Andrea Bonazzi