mercoledì 27 febbraio 2013

La doppia vita di Stefan Grabiński. Una lettura “meta-fantastica” de Il Villaggio Nero

Il villaggio nero, 2012, copertina
Ogni tanto – molto raramente, in verità – salta fuori un libro che rappresenta una sorta di rivelazione e una scoperta per il fortunato autore del rinvenimento. Nel campo della letteratura fantastica, soprattutto, è oggi difficile imbattersi in opere che non siano le solite note, in letture di qualità che alla forza immaginifica e visionaria delle parole uniscano idee e concetti di pari potenza ed efficacia. Il Villaggio Nero è uno di questi libri. Mirabile, invero, perché uscito fuori quasi dal nulla, da uno scrittore che fino a ieri risultava del tutto sconosciuto anche ai più ferrati cultori del genere. Pubblicato nella bella collana “Biblioteca dell’Immaginario” delle Edizioni Hypnos, per la meritoria cura di Andrea Bonazzi, porta finalmente alla ribalta anche da noi, in modo imperioso, il nome di Stefan Grabiński (1887-1936), unico e solo scrittore di letteratura fantastica nella Polonia tra le due Guerre. Un autore dell’Est europeo, dunque, ma capace di rivaleggiarre e, forse, persino di superare, per concetti ardimentosi e portata cosmica, autentici giganti come Lovecraft, Blackwood, Chambers, Machen o Hodgson. Come loro, Grabiński è stato in grado di costruire con la sua opera inquietanti simbolismi, e di intessere attraverso di essa incredibili atmosfere di orrore in agguato dietro l’angolo

I racconti racchiusi in questa prima (e si spera non ultima) antologia italiana rappresentano una lettura seducente e sconcertante; da essi trasuda un fascino tenebroso, un’allettante, vertiginosa e agghiacciante profondità. È una lettura che colpisce e lascia il segno, che ammalia, che apre a suggestioni arcane e ad altre consapevolezze. È anche un viaggio impressionante nella mente di un uomo che non accettò mai le sue limitazioni umane. Gli appassionati del fantastico siano avvisati: Il Villaggio Nero è un gioiello, per quanto oscuro e tenebroso, uno dei libri più belli, originali e stimolanti usciti in Italia negli ultimi anni nel campo della letteratura fantastica.

Nei dodici racconti qui raccolti si agitano forze terribili, creature e presenze misteriose, incubi indicibili e orrori filtrati dalla frattura stessa della realtà. Vi troviamo uomini solitari che affrontano i fantasmi del proprio inconscio, folli sfide contro l’incarnazione del Tempo, treni spettrali, vampire e donne demoniache, visioni di altre dimensioni, tetri villaggi che nascondono oscuri segreti, e dimore infestate e maledette. E ancora, sogni che prendono vita, cose maligne ed entità eteree e immateriali, ma anche terrori più tangibili che prendono corpo dall’inconscio e dalle aberrazioni fisiche e mentali.

Ma c’è dietro molto più di tutto questo.

Anche per via della strana filosofia che li permea, i racconti di Grabiński sono considerati un caso unico, brillanti e innovativi esempi di un tipo particolare di fantastico che lo scrittore stesso proponeva di chiamare “psicofantastico” (o “metafantastico”) perché scritti in opposizione ai più convenzionali racconti di genere che uscivano in quel periodo. Anche quando usa gli elementi classici del folklore europeo, Grabiński li aggiorna e li riporta al presente, seguendo le contemporanee correnti della scienza e della filosofia. In questo il suo approccio alla letteratura orrorifica è perfettamente moderno, poiché si svincola dagli elementi della semplice tradizione e si arricchisce di simboli, figure e metafore che vanno al di là della semplice rêverie fantastica. La sua opera letteraria è pertanto atipica nel suo genere: in essa il macabro, il sovrumano, il trascendente, si innesta in un substrato che ha le sue fonti tanto nella materia scientifica quanto nei saperi alternativi, ma anche nella psicologia, nella filosofia e nel metafisico.

Le patologie della mente umana sono un perno dei racconti bizzarri di Stefan Grabiński; lo scrittore infatti fu un vero maestro nel rappresentare costrutti neurotici, teorie insane e strane fobie. Perché è alla follia stessa che il genio spesso si rapporta. Come ha scritto un suo studioso e traduttore, Grabiński “unisce le concezioni di antichi filosofi come Eraclito e Platone con la filosofia contemporanea di Henry Bergson e Maurice Maeterlink, in una battaglia contro un mondo moderno in cui il senso originale e vero della natura umana viene cancellato dalle macchine, dai sistemi repressivi e dalla miopia di alcuni” (cfr. Miroslaw Lipinski, Introduzione a The Dark Domain, Dedalus European Classics, 1993).

Ma chi era, davvero, Stefan Grabiński? Al di là della semplice biografia, che lo vuole uomo mite e riservato, maestro in una piccola scuola di periferia, in pochi forse sanno che Grabiński conduceva una doppia vita: di giorno si divideva tra la sua professione di insegnante e quella di scrittore, mentre di notte leggeva avidamente, studiava ed esercitava tutto ciò che atteneva ai domini dell’occulto. Quest’ultimo aspetto ne fa una figura di scrittore eccentrico e maledetto, che conosceva perfettamente le materie arcane, dalla teosofia allo spiritismo, senza tralasciare i classici della demonologia, magia e alchimia. Studiava, dunque, e indagava ogni teoria bizzarra o anticonvenzionale che poteva permettergli di elevare il suo pensiero sopra la realtà limitante della condizione umana, con lo scopo di abbattere le barriere tra i mondi, di penetrare i confini al di là della vita. Riteneva infatti che la morte non fosse la fine. “Ho sempre creduto,” disse a un amico che andò a fargli visita prima che morisse, “che nell’aldilà fiorisca una nuova vita, nuovi mondi che la visione del povero cervello umano non può scorgere”. A questo amico promise anche di ritornare dalla morte, come un fantasma.

Stefan Grabiński, foto
E contro un fantasma Grabiński lottò per tutta la sua breve e disperata esistenza: il fantasma della morte. Afflitto sin da fanciullo dalla tubercolosi, cercò di ribellarsi alla sua infermità e alla tirannia di un corpo minato dalla malattia gettandosi disperatamente nello studio di ogni teoria o scienza, anche la più bislacca, che poteva offrirgli un appiglio o una via d’uscita alla sua precaria condizione. Alla sua fragilità di uomo, Grabiński opponeva il potere della conoscenza. E l’esercizio e lo sviluppo della mente e delle sue facoltà più straordinarie, in modo particolare, lo spinsero a intraprendere un viaggio solitario nei territori più estremi dell’occulto. Attingendo a una varietà di fonti – soprattutto testi medioevali di alchimia e alla filosofia Buddista e Induista, ma anche alle dottrine della moderna scienza – lo scrittore arrivò alla conclusione che è il pensiero a creare la realtà, ed è il pensiero il vero artefice dell’esistenza materiale dell’universo.

Le idee fantastiche di Grabiński trovano la loro fonte nella sua concezione pluralistica e neo-platonica della realtà, secondo cui tutto si muove con l’atto della creazione della forza motrice del pensiero, secondo il concetto dinamico ispirato alle dottrine di Nietzsche e di Bergson, quest’ultimo una riconosciuta influenza sulla sua narrativa. “L’attivazione della mente, la sua fonte come propulsore della realtà” – scrive sempre Miroslaw Lipinski – “è la chiave per comprendere il pensiero di Grabiński e le sue idee circa il soprannaturale. Al contrario di molti scrittori di letteratura fantastica, egli credeva davvero in ciò che scriveva, nel significato divino del verbo scritto. Nulla di ciò che scriveva era per lui semplice intrattenimento: la sua opera è l’espressione di un’anima sincera”. (Cfr. introduzione a The Motion Demon, Ash-Tree Press, 2005).

Dunque, Stefan Grabiński credeva in ciò che scriveva. E i suoi racconti sono, in definitiva, l’espressione di una mente complessa e tormentata, fortemente ossessionata dall’occulto e dai fantasmi di una realtà che gli fu sempre ostile. Come rivelò nelle sue “Confessioni” (Wyznaniach, 1926): “Ci sono stati momenti molto tristi nella mia vita, soprattutto tra i miei 15 e i 21 anni, i cui sudari funebri gettarono come un’ombra nei miei giorni a venire. Conobbi l’orrore misterioso della vita, e mi convinsi che il Male è altrettanto potente del Bene”.

Ne Il Villaggio Nero è raccolta una scelta significativa degli straordinari racconti di Stefan Grabiński, che vanno da “Il demone del movimento”, dove un treno diventa lo scenario, al tempo stesso inquietante e surreale, di un crimine orrendo, a “La stanza grigia”, racconto-incubo di un uomo che si ritrova a vivere in un locale stregato dalla maligna presenza di un precedente inquilino, da “Il villaggio nero”, che dà titolo alla raccolta e che narra di un bizzarro villaggio dai tetri colori, che appare solo in sogno e abitato da strani personaggi, a “La vendetta degli elementali”, in cui un pompiere dalle straordinarie capacità ignifughe, tali da renderlo un fenomeno agli occhi della gente, viene in contatto con creature maligne capaci di manipolare il fuoco, probabilmente esseri di un’ignota dimensione.

Molti di questi racconti sono costruiti secondo un modello simile: dapprima nella vita “normale” dei protagonisti iniziano a manifestarsi fenomeni misteriosi o insoliti, che li portano a confrontarsi con realtà altre, e infine – in finali spesso sorprendenti – si assiste alla trasformazione o metamorfosi interiore dei protagonisti o, più spesso, alla loro rovina.

Luogo d’azione della maggior parte delle storie sono le città di provincia o sobborghi isolati, edifici e case solitarie, stazioni ferroviarie spettrali e abbandonate. La realtà e la psicologia dei protagonisti è rappresentata con realistica attenzione, e c’è un’abile costruzione di stati d’animo particolari dell’uomo che sfociano nell’inquietudine e in momenti creativi di abile tensione.

I motivi espressivi più ricorrenti in questi racconti si possono individuare nei seguenti: 1) il problema dell’identità; 2) l’esistenza di realtà parallele che si muovono dietro il velo della realtà; 3) la vita dopo la morte; 4) il passato che torna a reclamare i suoi debiti con il presente; 5) il fascino della scienza e degli studi sul paranormale; 6) l’elemento della follia e della donna demonio (o femme fatale). Alle volte i temi predominanti divengono quasi lovecraftiani, in quanto costruiti intorno alle aberrazioni della psicologia e alle forze soprannaturali che giacciono in attesa di vendetta, gettando sull’uomo maligni avvertimenti dall’Altrove.

Un paio di storie vengono dalla pregevole raccolta Demon ruchu (1919), un unicum nella storia della letteratura fantastica e soprannaturale, dove tutti i racconti sono incentrati sul tema dei treni e delle ferrovie (un’ossessione di Grabiński), che diventano simboli perfetti di quell’energia o forza spirituale che, secondo alcune filosofie metafisiche, sottende alla realtà influenzando la materia. Bergson chiamava questa forza élan vital, lo “slancio vitale”, che è quella forza naturale e nascosta della vita che fa muovere l’universo e tutte le cose (cfr. Henry Bergson, Pensiero e movimento, Ed. Bompiani, 2000). Il treno, quindi, come un diretto feticcio della filosofia anti-materialistica di Grabiński.

Un’altra delle forze propulsive della vita, il sesso, diventa un ulteriore elemento perturbante nella strana filosofia Grabińskiana, e prende forma narrativa in racconti che, in accordo con le teorie freudiane contemporanee dell’autore, aprono a curiose interpretazioni e a sottesi simbolismi psicoanalitici. Le oscure forze della libido si muovono dietro alcune delle storie più inquietanti e potenti di questa antologia, quali “L’amante di Szamota” o “A casa di Sara”, dove incauti protagonisti smarriscono sé stessi in storie dell’orrido di sconvolgente e conturbante qualità. La prosa di Grabiński (a cui la traduzione di Bonazzi rende un servizio eccellente) è talmente misurata, a tal punto efficace, da riuscire a rendere estremamente lievi, perfino romantiche (ma un romanticismo nero, nerissimo) anche immagini necrofile che in altre mani risulterebbero estremamente violente e gratuite: ed ecco che un bacio dato al capo mozzato di una giovane ragazza (nel racconto “L’engramma di Szatera”) diventa l’ossessione languida e malinconica di un uomo solitario; che un uomo che fa l’amore con un corpo morto di donna, un tronco privo di arti e testa (in “A casa di Sara”) incarna tutta la passionalità di un amante irretito nelle spire del desiderio amoroso irrisolto.

Stefan Grabiński, illustrazione di Gino Andrea Carosini
Non poteva mancare in questa raccolta il racconto che costituisce forse il supremo monumento artistico di Grabiński: “L’Area”. Protagonista ne è il suo alter-ego, Wrzesmian, nel quale prendono piena forma i tormenti dello scrittore che, come il personaggio di carta, viveva isolato e recluso in una magione appartata ai margini della città. Da una finestra che affaccia sulla casa di fronte, solitaria e deserta, Wrzesmian assisterà alla propria dissoluzione fisica e psichica, allorché gli abitanti della dimora inquietante emergeranno come fantasmi dai suoi sogni, veri e propri incubi che si materializzano dall’inconscio delle sue fantasie alterate.

A confermare quindi la lungimirante scelta del curatore, è presente in questa silloge uno dei racconti più strani di Grabiński, il fantasmagorico “Saturnin Sektor”, che dietro una trama sibillina e apparentemente ermetica palesa meglio di tutti gli altri le influenze del già citato filosofo Henry Bergson (1859-1941), la cui opera superò le tradizioni ottocentesche dello spiritualismo e del positivismo ed ebbe una forte influenza nei campi della psicologia, dell’arte e della letteratura dei suoi tempi. In Grabiński diventa un nume tutelare che occhieggia ammiccante dietro il substrato della fantasticheria; nelle folgoranti pagine di Bergson sul sogno e il déja-vu, l’oblio e il sonnambulismo, i fenomeni psichici e il rapporto tra la materia e lo spirito (si vedano in particolare i suoi saggi L’Evoluzione Creatrice, Raffaello Cortina Editore, 2002, Materia e memoria, Laterza, 2009, ma soprattutto Ipnosi e fantasmi, Civitas, 2012, o la bizzarra Conferenza sui fantasmi, Theoria, 1993) ritroviamo l’asse portante dell’opera Grabińskiana.

Ma per tornare al racconto nominato, “Saturnin Sektor”, che elabora sul tema (persistente nell’opera di Grabiński) della paranoia e della schizofrenia, ancora una volta è presente un protagonista alienato i cui deliri ossessivi sfoceranno in un omicidio; in questo caso però non è una persona umana a morire, ma il Tempo stesso, o meglio lo zeitgeist che determina così anche la fine di un’epoca. Qui i fenomeni di personalità dissociata del protagonista rappresentano le opposte teorie del tempo, e quindi un passaggio dalla vecchia epoca verso la moderna; cosicché l’inevitabile omicidio del climax diventa un chiaro simbolo di quel cambiamento sociale e culturale in atto agli inizi del Novecento e ben recepito dall’autore.

Anche in questo racconto Grabiński usa una figura fantastica ricorrente nella sua narrativa: quella del “doppio”. Molte delle sue storie mettono in scena protagonisti tormentati da frammenti della loro personalità inconsapevolmente dissociata, che poi s’incarnano in doppelgänger che li perseguitano. Questi doppi mostruosi di solito diventano odiati avversari, come appunto in “Saturnin Sektor”, o nel grottesco racconto “Strabismus” (non presente in questa raccolta). Altre volte queste incarnazioni della personalità problematica dei personaggi assume la forma di una elusiva femme fatale (“L’amante di Szamota”), ma più spesso la parte alienata dell’Io si manifesta in forme diverse: in “L’Area”, per esempio, si riferisce a un magico spazio dove la bloccata creatività artistica del protagonista è libera di esprimersi e di emergere dal subconscio. Molti di questi racconti possono definirsi – come ha brillantemente suggerito il critico Brian Stableford“studi di personali e interiori frammentazioni” (cfr. St. James Guide to Horror, Ghost & Gothic Writers, a cura di David Pringle, St. James Press, Detroit, 1998, p. 667).

I temi cardine di questa fantastica antologia del bizzarro, come abbiamo visto, sono molteplici e complessi, e vanno dallo sdoppiamento di personalità alla questione del male intrinseco nell’uomo, dall’esistenza di molteplici piani di esistenza, a sogni che si realizzano nella realtà tangibile, ecc. Ma è soprattutto l’ossessione il motivo principale che domina. Gli antieroi dei racconti di Grabiński sono infatti per lo più persone segnate dallo stigma di esperienze dolorose, uomini tormentati da varie turbe e fobie. Ciò diventa chiaro se si guarda anche alla biografia dell’autore. Grabiński fu sempre interessato alla psicologia, alla psicopatologia, alla psichiatria e in generale a tutte quelle scienze cognitive capaci di aprire a nuove e inesplorate dimensioni dell’inconscio. Il suo lavoro da insegnante lo considerava come una necessità, piuttosto che una passione (anche se era un insegnante molto stimato dai suoi colleghi e dagli studenti, che lo definivano un uomo integro e di sani principi), un modo con cui dissimulava il suo vero interesse per le cose segrete e invisibili, arcane e misteriose, intime e profonde, e celate agli occhi degli uomini.

Era un uomo in bilico tra due mondi, Grabiński, quello della realtà e quello dell’ignoto, anche se al di fuori del campo letterario è difficile trovare segni di questo suo coinvolgimento per il trascendentale e l’occulto, passioni che coltivava solitarie, senza condividerle con altri, in una sorta di ascetico cammino che, riteneva, poteva condurlo verso l’immortalità dello spirito. Introverso e schivo, tranquillo e riservato, Grabiński fu sempre attento a non lasciar trapelare nulla del fuoco interiore che lo divorava. Spesso lo si vedeva camminare, da solo, lungo le stazioni ferroviarie, dove raccoglieva spunti e idee per i suoi racconti. La ferrovia e quel che la rappresenta (treni, strade ferrate, binari, rotaie, stazioni) è del resto un luogo topico da sempre, un simbolo di evasione da una realtà monotona e un viatico per l’altrove, (cfr. Remo Cesarani, Treni di carta. L’immaginario in ferrovia: l’irruzione del treno nella letteratura moderna, Marietti, 1993).

Alla luce di tutto questo, due cose risaltano innanzitutto alla mente dopo aver letto i racconti contenuti ne Il Villaggio Nero: a) quanto quelle storie siano fortemente autobiografiche; b) quanto lo scrittore fosse realmente dentro di esse, intrinsecamente legato alla sua opera e ai suoi personaggi.

Stefan Grabiński, questo filosofo misantropo sedotto dal soprannaturale e dall’introversa esplorazione dei misteri della vita, questo ometto strano e appartato dal resto del mondo, eccentrico nelle sue ideee e perso nelle sue fantasticherie, che credeva in ciò che scriveva, nella relatività del tempo, nei poteri della mente umana e nella sua capacità di mutare le cose, finì i suoi giorni il 12 novembre 1936, morendo in povertà, solo così com’era sempre vissuto (a parte una breve parentesi matrimoniale) e dimenticato da tutti. Ma qualcosa è rimasto, e il suo spirito continua a perdurare come lui si era ripromesso. La sua lucida follia, le sue inquietudini, che lo portarono a investigare indifferentemente la scienza e l’occulto, sono tutte lì, nei suoi racconti. Ed è il fantastico più puro, perché forgiato dalle visioni di una mente che non ebbe limiti.



Informazioni sul volume presso il sito dell’editrice www.edizionihypnos.com.

Il Villaggio Nero. Racconti Fantastici
Stefan Grabiński
Biblioteca dell’Immaginario, Edizioni Hypnos, 2012
brossura, 300 pagine, €21.90
ISBN 9788896952085
Pietro Guarriello

lunedì 25 febbraio 2013

Luce Nera: omaggio a Lovecraft al Teatro dei Conciatori di Roma

Luce Nera, foto di scenaOmaggio teatrale all’opera di H.P. Lovecraft, lo spettacolo Luce Nera scritto da Marina Ruta sarà in scena dal 26 febbraio al 3 marzo presso il Teatro dei Conciatori, in Via dei Conciatori 5 a Roma, su adattamento e regia di Marco Mattolini per l’interpretazione di Alberto Di Stasio, Leonardo Sbragia e Fabio Vasco.

“Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) lo scrittore americano a cui rende omaggio questo testo, iniziò a pubblicare sulle riviste popolari (pulp magazines) e, prendendo le mosse dal grande Edgar Allan Poe, accentuò una connotazione pressoché metafisica e cultuale della ricerca letteraria, creando uno stile quasi magico, destinato a culminare nella «letteratura visionaria» e nella fantascienza, il cui apice moderno annovera, tra gli altri, Philip K. Dick e James Ballard”.

“Il racconto teatrale,” prosegue la presentazione, “parte dal professor Aron, archeologo e antropologo, che rimane invischiato nei suoi sogni orribili e divide la sua esperienza con Caleb, uno sconosciuto «fratello oscuro», giovane tossicodipendente appena uscito da una comunità, che nei sogni si riconosce nell’Altro, della genia dei Gemelli distruttori creati appositamente dagli Esseri Antichi. Una terza figura è individuata nel sacerdote della comunità del giovane (il disintossicatore) che allucina vedendo nel suo assistito una creatura dannata”.

“Il lavoro, in un’epoca di crisi delle ideologie e rovesciamento dei valori, vuol essere la metafora delle incertezze e della paura che si annidano nel paradosso di una scienza priva di interiorità, fonte di ulteriore disagio esistenziale e sociale che turba le personalità più sensibili,” come conclude la nota introduttiva al testo in rappresentazione. “I mostri sognati (?) dal professore e dal suo giovane doppio sono una congerie di spaventosi simboli, che si annidano nel profondo del nostro inconscio, pronti a irrompere nella nostra consapevolezza quando le certezze, come negli anni 30 di Lovecraft, vengono a mancare. Una visione apocalittica, dunque, colma d’orrore, ma anche di ironia, riferimenti misteriosofici e alla fine non priva di speranza”.

Informazioni sul sito ufficiale www.teatrodeiconciatori.it, o attraverso le pagine web di romatoday.it.

Luce Nera
di Marina Ruta
adattamento e regia di Marco Mattolini.
con Alberto Di Stasio, Leonardo Sbragia, Fabio Vasco
scene e costumi di Andrea Stanisci
Teatro dei Conciatori
Via dei Conciatori, 5
00154 Roma
dal 26 febbraio al 3 marzo 2013
martedì, mercoledì venerdì e sabato ore 21:00 – domenica e giovedì ore 18:00
biglietto intero 15 Euro, ridotto 12 Euro; tessera associativa 2 Euro
prenotazioni: tel. 0645448982 – 0645470031
info@teatrodeiconciatori.it
Andrea Bonazzi

sabato 23 febbraio 2013

The Ghosts & Scholars Book of Shadows, fantasmi nella tradizione di M.R. James

The Ghosts & Scholars Book of Shadows, 2012, coperina di di Paul LoweEdito dalla Sarob Press di Robert Morgan, una small press dedita al genere horror soprannaturale, The Ghosts & Scholars Book of Shadows raccoglie dodici racconti di autori contemporanei ispirati alle ghost stories di Montague Rhodes James.

L’antologia, un’edizione limitata in 340 copie, nasce da una competizione letteraria del 2011, organizzata dalla Ghosts & Scholars M.R. James Newsletter, nella quale gli autori furono chiamati a cimentarsi con la scrittura di un prequel o di un seguito ai racconti di M.R. James.

La editor Rosemary Pardoe lanciava così la sfida, nella primavera del 2011, sulle pagine della newsletter:

[…] Che fine ha fatto il ‘satiro’ (o i ‘satiri’) alla fine di «Un episodio di storia cattedrale»? I vicoli di Islington sono ancora frequentati dall’essere incontrato dal dottor Abell in «Due dottori»? Che ne è stato dei resti delle atrocità in «Un intrattenimento serale», e il conte Magnus e il suo piccolo amico sono ancora in agguato a un qualche crocevia nell’Essex? In merito ai prequel, io per prima vorrei sapere che tipo di tesoro ha trovato il canonico Alberico, come è stato custodito, e i dettagli della sua morte nel letto, a causa di un attacco improvviso. E qual era esattamente il sistema di credenze che spinse James Wilson a far riporre le sue ceneri nel globo al centro del labirinto di Mr. Humphrey: qual è il significato delle figure del globo – Wilson era membro di una setta gnostica? Devo andare avanti? Sono sicura che potrete pensare a molti altri misteri che pretendono una soluzione e una risposta.”

La qualità delle storie non deluse le aspettative, e le migliori furono selezionate per un’antologia; tra queste la vincitrice della competizione, “Quis est Iste?” di Christopher Harman, l’unica a essere pubblicata in precedenza nella newsletter. Pur prendendo spunto dai racconti di James, le storie non sono scritte in uno stile rispettosamente jamesiano ma rispecchiano, invece, lo stile degli autori, rendendo l’antologia più moderna e abbordabile agli appassionati di weird tale in genere. I titoli e le rispettive ispirazioni sono:

Helen Grant – Alberic de Mauléon (Canon Alberic’s Scrap-book)
Rick Kennett – Anningley Hall, Early Morning (The Mezzotint)
John Llewellyn Probert – The Mezzotaint (The Mezzotint)
Christopher Harman – Quis est Iste? (Oh, Whistle, and I’ll Come to You, My Lad)
Jacqueline Simpson – The Guardian (The Treasure of Abbot Thomas)
Reggie Oliver – Between Four Yews (A School Story)
Louis Marvick – The Mirror of Don Ferrante (Casting the Runes)
Mark Valentine – Fire Companions (Two Doctors)
Derek John – Of Three Girls and of Their Talk (Wailing Well)
C.E. Ward – The Gift (The Experiment)
David A. Sutton – Malice (The Malice of Inanimate Objects)
Peter Bell – Glamour of Madness (A Vignette)


Il libro contiene un’introduzione di R. Pardoe, oltre alle note biografiche sugli autori, ed è reperibile attraverso le pagine web di Sarob Press. In copertina è riprodotta un’opera di Paul Lowe, ispirata al noto racconto “Oh, Whistle, and I’ll Come to You, My Lad”.

La schiera degli imitatori di M.R. James è da sempre ben definita e nutrita, probabilmente anche perché James diede, nelle sue prefazioni e in alcuni articoli, chiare indicazioni di stile e d’intenti, che molti autori hanno fatto proprie.

The James Gang: A Bibliography of Writers in the M.R. James Tradition, 1991

Nel 1979 fu creata da Rosemary Pardoe, già co-fondatrice della British Fantasy Society, la rivista Ghost & Scholars, con l’intento promuovere gli studi su M.R. James e incoraggiare nuovi autori a scrivere racconti in tale tradizione. La testata pubblicò il trentatreesimo e ultimo numero nel 2001, ma l’attività di ricerca storica e letteraria prosegue tuttora sotto forma di newsletter, nella quale occasionalmente vengono proposti racconti di autori moderni.

Dall’esperienza della rivista vide la luce nel 1987 l’antologia Ghosts and Scholars: Ghost Stories in the Tradition of M. R. James, seguita poi da The James Gang: A Bibliography of Writers in the M.R. James Tradition (1991), un chapbook di poche pagine che elenca circa cento autori ispirati da James. Il libretto, sempre a cura di Rosemary Pardoe, è considerato oggi una pubblicazione imperdibile per i cultori del prevosto di Eton. Questa prima antologia, oltre che i racconti di alcuni scrittori classici dalla “James Gang”, includeva racconti scritti sulla base di alcune trame lasciate incompiute da James (“Stories I have tried to write”). Altri due sviluppi di trame lasciate incompiute furono poi pubblicati nella newsletter (si tratta di “The game of Bear” e “Merfield House”, nella n. 12 del 2007).

Nel 2001 Ramsey Campbell compilò Meddling with Ghosts: Stories in the Tradition of M. R. James, che include anche una versione ampliata di The James Gang, e il suo tributo a James, “The Guide”, e che può essere considerata un proseguimento del libro della Pardoe. L’antologia è divisa in tre sezioni: i precursori, i contemporanei, e gli eredi.

Entrambe le antologie hanno avuto una loro edizione italiana. Si tratta di Fantasmi: storie e altre storie sulle orme di M.R. James, curata da Gabriele La Porta, edizione Newton Compton, e di Racconti Sinistri nella tradizione di M.R. James, edizione Sylvestre Bonnard. Purtroppo, l’edizione italiana di Racconti sinistri non include The James Gang, né il racconto “The White Sack” di A.N.L. Munby pubblicato dalla stessa editrice ne La mano di alabastro, edizione italiana dell’unica raccolta di Munby.

Ghosts and Scholars: Ghost Stories in the Tradition of M. R. James, 1987, copertina
Meddling with Ghosts. 2001, copertina
Fantasmi: storie e altre storie, 1989, copertina
Racconti sinistri, 2006, copertina
- AA.VV.; a cura di Rosemary Pardoe; The Ghosts & Scholars Book of Shadows; Sarob Press; Neuilly-le-Vendin, 2012; copertina rigida, 144 pagine, 340 copie numerate.
- AA.VV.; a cura di Rosemary Pardoe e Richard Dalby; Ghosts and Scholars: Ghost Stories in the Tradition of M. R. James; Crucible, 1987.
- Rosemary Pardoe; The James Gang: A Bibliography of Writers in the M.R. James Tradition; The Haunted Library, Hoole, Chester, England, 1991.
- AA.VV.; a cura di Ramsey Campbell; Meddling with Ghosts: Ghost Stories in the Tradition of M. R. James; The British Library, 2001.
- AA.VV.; a cura di Rosemary Pardoe e Richard Dalby; Fantasmi: storie e altre storie sulle orme di M.R. James; Newton Compton, 1989.
- AA.VV.; a cura di Ramsey Campbell; Racconti sinistri nella tradizione di M.R. James; Sylvestre Bonnard, 2006.


Per maggiori informazioni su Ghost & Scholars si rimanda al sito web dedicato www.pardoes.info.
 
Giuseppe Lo Biondo

mercoledì 20 febbraio 2013

Sable Revery, la poesia fantastica di Robert Nelson

Sable Revery, 2012, copertina“Ancora una volta, si rende nostro triste compito rendere nota della morte di un prezioso collaboratore. Robert Nelson è morto nella sua casa di St. Charles, nell’Illinois, dopo una malattia di due settimane. Per quanto fosse un giovane, poco più che ventenne, aveva sviluppato un profondo senso del poetico e una spiccata sensibilità verso i toni e le sfumature della parola. Il suo primo incoraggiamento lo aveva ricevuto nientemeno che da un poeta quale lo steso Clark Ashton Smith. Le sue opere davano chiara promessa che avrebbe occupato, un giorno, un posto rilevante fra i grandi della poesia; una promessa che ora – ahimè! – non potrà più portarsi a compimento.”

Questo il necrologio che il direttore Farnsworth Wright scriveva su Weird Tales del novembre 1935, quattro mesi dopo la scomparsa del giovanissimo Robert William Nelson (23 luglio 1912 – 22 luglio 1935), autore di suggestivi ed effettivamente promettenti versi macabri, cupamente fantastici fra il modello di un Edgar Allan Poe e un’entusiastica ammirazione personale verso Clark Ashton Smith, con il quale entrò in corrispondenza.

Dopo aver brevemente frequentato le pagine amatoriali di The Fantasy Fan e The Phantagraph, avviando contatti epistolari con C.A. Smith, con H.P. Lovecraft ed esponenti del fandom come Robert H. Barlow, proprio Weird Tales aveva fornito a Nelson una certa visibilità editoriale professionalmente pubblicandogli le poesie “Sable Revery” (settembre 1934), “Dream-Stair” (aprile ’35) e “Under the Tomb” (maggio ’35), mentre due altre – “Jorgas” (febbraio ’36) e “Night of Unrest” (settembre ’37) – vi saranno proposte solamente postume.

Cinque delle sole sette poesie rimaste, insieme agli assai più acerbi frammenti in prosa e al poco materiale sopravvissuti su stampa. Tutto il resto, a quanto pare, distrutto dall’autore una fase di estremo scoramento che lo condurrà al ricovero per “collasso nervoso” in ospedale, l’11 luglio del 1935, come attestato in un paio di brevi articoli del piccolo giornale cittadino The St. Charles Chronicle. Il 22 luglio, infine – il giorno prima del suo ventitreesimo compleanno –, la morte... Senza alcuna menzione della causa, con la discrezione e il tatto di un quotidiano di provincia. Si parla solo di decesso “dopo settimane di malattia”, come anche Lovecraft scriverà ai propri conoscenti. L’ipotesi più che plausibile espressa da Douglas A. Anderson, nella propria introduzione al volumetto Sable Revery, è quella d’una morte per le conseguenze di un tentato suicidio.

Pubblicato dall’americana Nodens Books, Sable Revery: Poems, Sketches and Letters raccoglie assieme per la prima volta l’intera e scarna opera superstite di Robert Nelson. Oltre ai suoi versi, le tre sezioni del libro in 58 pagine comprendono i brevi schizzi – fra narrativa e prose poems – scritti per le fanzines, le lettere da “appassionato” inviate alle stesse riviste Phantagraph, Fantasy Fan e Weird Tales e, particolarmente interessanti, alcune lettere di Howard Phillips Lovecraft. Quattro indirizzate a Nelson tra l’ottobre del 1934 e il gennaio del ’35 e una lettera di condoglianze alla madre, datata 19 settembre 1935, nella quale il gentiluomo di Providence esprime il proprio rammarico per una potenzialità artistica destinata a rimanere inespressa:

“Le sua promesse nel campo della letteratura mi apparivano veramente considerevoli; poiché, a dispetto dei segni d’una costruzione giovanile – qua e là indefinitezza o eccesso di colore –, il suo lavoro aveva una distinta ricchezza immaginifica e una forza d’atmosfera che stavano rapidamente migliorando attraverso la critica e l’autodisciplina. Mi aspettavo di vederlo svilupparsi al pari di altri giovani dei quali ho seguito le carriere – August W. Derleth, Donald Wandrei, Frank B. Long, etc. – oggi figure ben consolidate del mondo della scrittura weird.”

Versi di Robert Nelson

Grazie alla popolarità persistente di Weird Tales, di Robert Nelson è stata tradotta in italiano la poesia forse più rappresentativa, “Sable Revery”, come “Tetra fantasticheria” nella versione a firma di Gianni Pilo in La finestra verde, Il Meglio di Weird Tales n. 14 (Fanucci, 1988), cui viene però attribuito erroneamente il titolo originale di “Thoughts”.

Il volumetto di Nodens Books, con una inconfondibile Caduta di Lucifero di Gustave Dorè ad animarne la copertina, è disponibile on demand in brossura al prezzo di 10 dollari, oppure nell’edizione a copertina rigida per $22. Informazioni al sito ufficiale www.nodensbooks.com, o sulla pagina del relativo store di lulu.com presso la quale è consultabile un’anteprima di dodici pagine comprendenti l’intera introduzione.

Sable Revery: Poems, Sketches and Letters
Robert Nelson
Nodens Books, 2012
brossura, 58 pagine, $10.00
ISBN 9780615652252
Andrea Bonazzi


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domenica 17 febbraio 2013

Quis est iste qui venit? I fantasmi di M.R. James.


Chi è colui che viene?

L’emblematica citazione biblica, contenuta nel racconto “Oh, Whistle, and I’ll Come to You, My Lad” spesso richiama Montague Rhodes James e, di riflesso, il racconto di fantasmi anglosassone. Questa associazione di idee trae forse origine dal potere suggestivo della domanda in questione, che possiede, nella sua immediatezza, quel particolare senso del mistero ispirato dalle ghost stories.

Dalla prima edizione di “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)
Dalla prima edizione di “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)

Il racconto, pubblicato originariamente nelle Ghost Stories of an Antiquary (1904), narra dell’evocazione di un essere spettrale, richiamato involontariamente dal protagonista che ha maldestramente ignorato, per via di una curiosità quasi oziosa, un oscuro avvertimento; l’identità e le ragioni di questa apparizione rimarranno tuttavia dei punti irrisolti.

Il protagonista della storia è Parkins, un professore di ontografia (dubbio insegnamento accademico, funzionale in qualche modo al racconto), che conduce per puro caso delle ricerche sul sito di alcune rovine templari. L’azione si svolge nella località balneare di Burnstow (cittadina fittizia, ispirata a Felixstowe, nel Suffolk), dove Parkins si reca per un periodo di riposo da dedicare al golf. Il protagoniosta del racconto viene presentato al lettore come scettico nei confronti del sovrannaturale e, per non lasciare alcun dubbio, dichiara esplicitamente la propria posizione:
“A proposito di quanto avete detto adesso, colonnello, penso di dovervi dire che la mia posizione in materia è molto rigida. Sono infatti un convinto detrattore di quello che è chiamato ‘soprannaturale’.”
Parkins mostra quindi (e ispira al lettore) quell’atteggiamento scettico che predispone maggiormente al brivido soprannaturale, secondo una posizione che accomuna l’estetica di M.R. James a quella di H.P. Lovecraft.

Nel corso delle sue ricerche presso le rovine templari, il professore rinviene un fischietto che reca le misteriose incisoni “Quis est iste qui venit” (circondate da svastiche che qui non hanno la connotazione negativa poi data dal nazismo, ma possono essere lette come simboli di auspicio) e le iscrizioni “FUR/FLA/FLE/BIS”. Incuriosito dall’oggetto, e quasi a voler esorcizzare il mistero che questo rappresenta, lo usa con incauta leggerezza. Il fischio emesso ha un suono inquietante e causa a Parkins delle strane visioni notturne, fino a quando, al compimento del climax del racconto, egli viene aggredito da un misterioso essere fatto da lenzuola di lino contorte, nella stanza della pensione dove alloggia. Il racconto sviluppa in sostanza il tema della violazione di un avvertimento e della punizione causata da questa contravvenzione: soggetto ancestrale che ispira, nella sua essenzialità, un innato senso di inquietudine nel lettore.

Illustrazione di James Mac Bride da “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)
Illustrazione di James Mac Bride da “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)

A intensifcare la portata del sinistro mistero (chi è colui che viene?) , vi è il fatto che questo viene proposto attraverso un evocativo verso biblico (Isaia 63:1) che profetizza la venuta di Cristo tra le genti.

“Quis est iste qui venit de Edom
tinctis vestibus de Bosra
iste formonsus in stola sua gradiens
in multitudine fortitudinis suae
ego qui loquor iustitiam
et propugnator sum ad salvandum”

“Chi è costui che viene da Edom,
da Bozra con le vesti tinte di rosso?
Costui, splendido nella sua veste,
che avanza nella pienezza della sua forza?
– Io, che parlo con giustizia,
sono grande nel soccorrere.”

La domanda, resa familiare dal verso (familiare era di certo a James e al suo entourage), rimane comunque irrisolta, e non può che trovare terreno fertile nell’intimo del lettore. L’uso di materia religiosa da parte di James è tutt’altro che casuale, come segnala Peter Penzoldt. James gioca con la superstizione che vuole che frasi isolate della Bibbia, ottenute casualmente, abbiano una valenza profetica. Va detto, che la tecnica narrativa di James poggia sulla creazione di una sospensione dell’incredulità molto convincente, senza la quale il climax finale risulterebbe troppo avventato e inverosimile. In tal senso l’uso di materia biblica è uno degli espedienti che rende il lettore incline ad accettare passivamente dei fatti inspiegabili. Si ricordi in questo senso la lezione di Roger Caillois che esclude categoricamente (cfr. Nel cuore del fantastico) il sentimento fantastico da qualsiasi opera a sfondo religioso.
“Niente di ciò che è oggetto di fede può apparire fantastico.”
L’abilità di Montague Rhodes James è tutta nella costruzione di un intreccio teso a provocare quel disagio e quell’inquietudine, preparatori alla scena finale. I suoi racconti, in generale, rinnovano la ghost story vittoriana e sono attenti a quei tratti psicologici che caratterizzarono il racconto di fantasmi nel periodo edwardiano. I cliché del gotico: lugubri manieri, l’incombere sul presente di un terribile passato, le eroine perseguitate, i cimiteri solitari, i fantasmi dal bianco sudario, fanno ormai parte per James di un canone ben definito e perdono il ruolo di veicoli principali del terrore per i suoi smaliziati lettori. Lo scenario si sposta sempre più verso luoghi e personaggi familiari, e che rendono maggiormente plausibile l’elemento soprannaturale della storia. Il terrore viene spostato da un momento di dissonanza esteriore, da una minaccia fisica tangibile, a una imperfezione interiore, a uno scompiglio dell’animo evocato attraverso immagini e atmosfere apparentemente comuni e innocue, che preparano il lettore e lo rendono disposto ad acettare l’autenticità degli eventi soprannaturali.

Illustrazione di James Mac Bride da “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)
Illustrazione di James Mc Bride da “Ghost Stories of an Antiquary” (1904)

Nel racconto in questione le scene più inquietanti sono ambientate nel rassicurante scenario di una spiaggia, alla luce del giorno (si potrebbe qui pensare a R.L. Stevenson, ma il fine ultimo dei due scrittori è decisamente differente). Lo stesso titolo del racconto “Oh, Whistle, and I’ll Come to You, My Lad”, tratto da una ballata (“Oh, Whistle, and I’ll Came to You”, 1793) di Robert Burns, poeta scozzese del XVIII secolo, comunica un’immagine bucolica e gioiosa. Immagini niente affatto cupe e sicuramente familiari al lettore di James, assumono qui una valenza nuova e si fanno carico di una nota stridente. Niente di originale, è vero, se si pensa all’uso del perturbante in letteratura che fece E.T.A. Hoffmann, anche se quest’ultimo è maggiormente legato al gotico e al grottesco, inteso come deformazione caricaturale della realtà. Non è un caso che in M.R. James il classico spettro dal lenzuolo bianco non sia ricoperto da un improbabile sudario, ma dalle comuni lenzuola di lino di un letto comune, come quello che potrebbe trovarsi in un qualsiasi hotel.

Se da una parte l’incertezza su chi o cosa venga evocato dal suono del fischietto genera inquietudine, a intensificare l’appresione vi è il sospetto che sia stato violato un ordine ben preciso, un avvertimento.

Immagine dall’omonimo film della BBC (1968)Uno dei tratti distintivi del narrato di James (ma si potrebbe dire della ghost story in generale) sta nel fatto che molte cose sono soltanto suggerite al lettore, che in tal modo attiva dei meccanismi personali di elaborazione del testo, creando un elevato livello di partecipazione emotiva. Un esempio di questa tecnica, è rappresentato dall’oscuro avvertimento inciso nel fischietto: “FUR/FLA/FLE/BIS”, del quale James non dà alcuna spiegazione. Esistono diverse interpretazioni in merito all’iscrizione, ma la più accreditata è quella della studiosa Rosemary Pardoe, secondo cui l’iscrizione andrebbe letta come “Fur, Flabis, Flebis” ossia “Ladro, soffierai, piangerai”.

Parkins pagherà infatti per la sua curiosità, e per avere ignorato l’avvertimento, ma chi o che cosa abbia effettivamente evocato, non lo saprà mai. Quel che importa a James non è svelare il mistero, come potrebbe accadere in un racconto poliziesco, ma crearlo e lasciare il lettore con la curiostà verso la soluzione del mistero, e con quel senso di disagio che può dare un evento che, in fin dei conti, non ha alcuna spiegazione razionale.

Va rilevato che James presuppone nel suo lettore l’atteggiamento scientifico e curioso dei suoi personaggi, con i quali il lettore è portato ad immedesimarsi (complice anche la scarsa descrizione psicologica di questi) . È certamente necessario partire dall’assunto che i segni del passato e gli indizi possano essere decifrati e compresi, per rendere appieno il fallimento di questa indagine. E in questo James non può che esser figlio dello spirito scientifico dell’età vittoriana. Del resto, ne “La pietra di confine del vicino” James fa dire ad un suo personaggio:
 “Ricordate, se vi piace… che io sono un vittoriano per nascita e per educazione, e che l’albero vittoriano, molto ragionevolmente, porta dei frutti vittoriani.
I suoi protagonisti sono studiosi ed eruditi, e nello specifico hanno tutti mezzi necessari a risolvere gli enigmi proposti, come potrebbe avvenire in un racconto poliziesco. Lo stesso Parkins è un professore universitario, e ha tutti gli strumenti indispensabili alla soluzione dell’enigma. È il suo fallimento che amplifica la portata del mistero. Del resto l’atteggiamento dell’antiquario di James non è dissimile da quello di un detective. Gli indizi del passato costituiscono per lui le chiavi per poter leggere la storia e talvolta per risolvere degli enigmi. Il fallimento di questa indagine costituisce l’elemento fantastico dei racconti. Ma si tratta di un fallimento premeditato, inprescindibile, risaputo e condiviso a priori con il lettore. La spiegazione dei fatti non verrà mai. Il soprannaturale viene consegnato al lettore come un dato di fatto, reso credibile da una precisa tecnica narrativa e, soprattutto, da un’atmosfera magistralmente creata. Ma l’orrore soprannaturale si limita a un momento puramente estetico. In questo James si differenzia da altri maestri del genere come Sheridan Le Fanu o Algernon Blackwood che spesso non resistono alla tentazione di spiegare i fatti sovrannaturali, forse con eccessiva partecipazione, indebolendo in tal modo il climax e l’effetto orrorifico delle storie (ma Blackwood e, in modo minore, Le Fanu hanno intenti chiaramente differenti).

Lo schema dell’avvertimento violato e della conseguente punizione fa parte della struttura base di un buon numero di fiabe e se ne trovano svariati esempi nelle sacre scritture e nella letteratura classica (si pensi alla storia del Paradiso Terrestre o a quella del vaso di Pandora). Uno schema più volte associato a James è quello della nota fiaba di Barbablù. James riprende spesso questa struttura e cita la fiaba esplicitamente in “The Residence At Whitminster”. Tuttavia, in molte varianti della favola classica, l’ordine delle cose che è sovvertito, viene alla fine ristabilito: non avviene lo stesso nei racconti di James. In sostanza uno schema che inconsciamente è radicato nell’uomo, viene violato e questo aggiunge un ulteriore elemento di disagio nel lettore.

Julia Briggs rileva, giustamente, che la psicologia dei personaggi dei racconti di James è superficiale e non è posta una grande attenzione su essa. Arriva anche ad affermare che
“Dai suoi racconti la psicologia è completamente e arditamente bandita.”

Ghost Stories of an Antiquary (1904)Questo è evidente anche nel racconto in questione: per esempio il motivo chiave dello sviluppo della storia, la curiosità di Parkins, non è sviluppato in termini psicologici del personaggio, ma viene fornito come un fatto e non importa, ai fini della storia, compredere il motivo di tale curiosità. David Punter fa tuttavia notare che, se da una parte l’affermazione della Briggs è corretta, questo non significa che James non sia attento alla psicologia, in particolare a quella del lettore, in quanto egli cerca, con cognizione di causa, di innescare in esso quei meccanismi del perturbante che, essendo basati su una convincente forma di sospensione dell’incredulità, garantiscono un efficace effetto terrifico. È quindi l’intreccio, lo sviluppo della storia, e soprattutto l’atmosfera quello che interessa veramente a James, perchè attraverso questi elementi James ha la possibilità di interagire maggiormente con il lettore. I personaggi hanno lo scopo funzionale di asservire alla trama e la loro psicologia non necessita di particolari giustificazioni. Non va dimenticato, in generale, che i racconti di James erano nati per essere letti pubblicamente, “ [...] ad amici pazienti, usualmente durante il periodo natalizio,” (cfr. Prefazione a Ghost Stories of an Antiquary) e che la forma e l’obiettivo ne hanno in maniera forte plasmato lo stile e il narrato.

Per concludere potremmo dire che, in un modo particolare, l’attributo psicologico si può applicare ai racconti di M.R. James, anche se non si può negare che la cosiddetta ghost story psicologica oggi definisce un ben altro filone, nel quale l’elemento sovrannaturale trova la sua sede naturale nell’inconscio dei personaggi. In questo filone possiamo collocare alcuni tra i più grandi maestri della letteratura sovrannaturale: Henry James, Oliver Onions, E.F. Harvey, Robert Aickman, Walter de la Mare.

Oggi James è considerato un maestro giustamente imitato. Forse questa attribuzione potrebbe risultare eccessiva, per un autore che non considerava le ghost stories il fulcro della propria attività letteraria. Di certo egli ha fatto propri i dettami di un genere molto particolare, la cui evoluzione non poteva che essere limitata e destinata alla ripetizione e all’imitazione, dati i suoi angusti limiti.


Bibliografia:
Montague Rhodes James; Ghost Stories of an Antiquary; Edward Arnold, London; 1904.
Peter Penzoldt; The Supernatural in Fiction; Prometheus Books; New York; 1952.
Julia Briggs; Night Visitors: Rise and Fall of the English Ghost Story; Faber & Faber; London; 1977
Roger Caillois; Nel cuore del Fantastico; Feltrinelli; Milano; 1984.
Julia Briggs; Visitatori notturni; Bompiani; Milano; 1988.
David Putner; Storia della letteratura del terrore. Il «gotico» dal Settecento a oggi; Editori Riuniti; Milano; 2006.
AA.VV.; Warnings To The Curious: A Sheaf of Criticism on M. R. James; Hippocampus Press; New York; 2007.



Giuseppe Lo Biondo
(in prima versione su Quis est iste qui venit? del 28/03/11)

giovedì 14 febbraio 2013

Donne Pericolose a Torino! Primo ciclo di incontri: La Dea, il serpente, il giardino

Donne Pericolose: La Dea, il serpente, il giardino, locandinaDopo gli appuntamenti con la prima serie di Tutto Dracula, dedicati al celebre vampiro del romanzo di Stoker, la Libera Università dell’Immaginario attraverso la Associazione Culturale Verba... Manent di Torino introduce al tema mitico della femme fatale con Donne pericolose, in un primo ciclo di incontri a cura dell’esperto Franco Pezzini dal titolo La Dea, il serpente, il giardino.

“Dalle dee alle piratesse, dalle spie alle vampire, l’immaginario collettivo conosce verso modelli femminili «alternativi», non sottomessi ai valori dominanti, un atteggiamento insieme di fascinazione e diffidenza. E un itinerario tra questi volti è anche una galleria delle ambiguità dell’Occidente,” come presenta la locandina dell’evento.

“Idoli di perversità, divoratrici, vampire: nell’immaginario occidentale (di consumo e non solo) le immagini della «cattiva ragazza» non sono esattamente tranquillizzanti. Il ciclo esplora alcuni paradigmi mitici – Lilith, Medusa, Empusa, Lamia… – tra origini arcaiche e riscritture letterarie, figurative, mediatiche moderne.”

L’iscrizione è gratuita e comprende il rilascio della tessera dell’Associazione Culturale Verba… Manent, che ospita gli incontri nei propri locali nel corso di cinque serate fra il 22 febbraio e il 21 giugno 2013.

Donne Pericolose. Primo ciclo: La Dea, il serpente, il giardino
Venerdì 22 febbraio - ore 18,30: La Pitonessa nel giardino
Venerdì 8 marzo - ore 18,30: Lilith della notte
Venerdì 5 aprile - ore 18,30: Medusa danza
Venerdì 7 giugno - ore 18,30: Empusa e il professore
Venerdì 21 giugno - ore 18,30: Lamento per Lamia


Tutti gli incontri si svolgono presso:
Associazione Culturale Verba… Manent
Via Michele Lessona 46, Torino
Informazioni: tel. 011/19887056
info@verba-manent.eu
www.verba-manent.eu
Andrea Bonazzi

mercoledì 13 febbraio 2013

SF Sociologica. La società del presente vista dal futuro in IF – Insolito e Fantastico #12

IF – Insolito e Fantastico #12, 2012, copertinaNella sua nuova impostazione, ora interamente riservata ai soli interventi critici, agli articoli, alle recensioni e le rassegne, è in arrivo il numero speciale di IF – Insolito e Fantastico dedicato alla SF Sociologica. La società del presente vista dal futuro, dodicesima uscita del trimestrale saggistico a esplorazione dei generi del fantastico, della fantascienza e dell’horror fino al giallo e il noir, pubblicato da Edizioni Tabula Fati per la consueta cura di Carlo Bordoni.

“C’era una volta la SF sociologica. Attorno agli anni Sessanta, prima della svolta politica del ’68 e della conseguente «pausa di riflessione», alcuni scrittori presero a misurarsi con temi più immediatamente vicini alla società del tempo. Segno di disagio o di una rinnovata coscienza civile, ma anche di un’improvvisa stanchezza per la narrativa tradizionale, con i suoi razzi, i viaggi interplanetari, le invasioni aliene e le colonizzazioni galattiche. Finito il tempo della guerra fredda, che aveva contrassegnato gli anni 50 con la paura dell’invasione comunista, metaforizzata nelle Starship Troopers (1959) di Heinlein e nei baccelli dei Body Snatchers (1954) di Jack Finney, la SF torna ad occuparsi del futuro imminente,” introduce Bordoni nel proprio editoriale “La SF Sociologica e le paure sociali del fantastico”, continuando nella presentazione di IF #12.

“La definiscono SF sociologica per sfumare la sua componente scientifica e mettere in risalto la sua vocazione critica nei confronti di una società postbellica che sta cambiando rapidamente, affrettandosi verso un futuro che non sembra poi così lontano. A differenza dei romanzi distopici di Wells, Orwell e Huxley, la SF sociologica è più leggera, pervasa di una trasparente ironia. Critica il presente con occhio divertito, mettendo in guardia contro la diversità possibile senza eccessivo pessimismo. La sua componente ottimistica, tipica del modello americano, non le impedisce di trattare con mano ferrea problemi sociali di grande rilevanza, certe volte anticipandone il verificarsi: si veda il caso di Pohl e Kornbluth (The Space Merchants, 1952) e dell’invadenza della pubblicità. Ma il timore sociale più avvertito in quel periodo di crescita economica, di benessere generalizzato e di fiducia nel progresso, che Bauman ha definito «i gloriosi trenta», è la sovrappopolazione. L’incubo di un mondo minacciato dalla più terribile delle profezie malthusiane, provocato dall’allungamento della vita media e dai progressi della medicina. Perché la sovrappopolazione non è solo affollamento, riduzione degli spazi, coabitazione, ma soprattutto condivisione delle sempre più ridotte riserve alimentari. Harry Harrison, pseudonimo di Henry Maxwell Dempsey (1925- 2012), ci ha offerto con Largo! Largo! (Make Room! Make Room!, 1966) l’inquietante affresco di un futuro ammalato di sovrappopolazione, dove si può uccidere per un secchio d’acqua potabile e l’energia elettrica si ricava dalla dinamo di una vecchia bicicletta. Più simile a un quartiere degradato di Bangkok che a una metropoli super-tecnologizzata del futuro, la sua New York del 1999 è un luogo orribile che dimostra l’inutilità dell’esistenza quando è priva dello spazio vitale”.

“Oggi che altri orrori, ben più cruenti, hanno preso il posto della minaccia della sovrappopolazione, la SF sociologica degli anni Sessanta ha perduto un po’ del suo carattere provocatorio, ma non di interesse per chi guarda a un futuro denso di incognite. La componente sociologica, semmai, è divenuta una costante di buona parte della narrativa fantastica, ormai lontana da un contenuto puramente d’evasione e dal piacere dell’avventura fine a se stesso. Nella sua parabola la fantascienza, come ogni altro prodotto culturale, torna sempre all’uomo”.

IF #12 – SF Sociologica propone una serie di saggi di rilievo: Riccardo Gramantieri si occupa di Skinner, Roberta Amato di Doris Lessing, Giuseppe Panella interviene su Pohl e Kornbluth, Stefano Manferlotti su Wells e Saramago. Guido Bulla scrive su Connolly e Orwell, Bruna Mancini su Ballard, Giuseppe Lippi su Buzzati e Annamaria Fassio su Tevis, mentre su Asimov si esprime Gian Filippo Pizzo. Seguono la seconda parte del lungo saggio di Arielle Saiber sulla fantascienza italiana e una rassegna di Claudio Asciuti sul cinema giapponese, oltre alle recensioni della vasta sezione “Visti & Letti”, ampliata a fornire uno spazio maggiore per la critica.

La rivista è distribuita principalmente in abbonamento postale. Ogni copia di 128 pagine illustrate al prezzo di 8.00 Euro. Abbonamento: 30.00 Euro per quattro numeri. Per informazioni, abbonamenti e richieste rivolgersi a rivistaif@yahoo.it. Tutti i dettagli presso le pagine web di insolitoefantastico.blogspot.it

SF Sociologica. La società del presente vista dal futuro
IF – Insolito e Fantastico #12
a cura di Carlo Bordoni
Edizioni Tabula Fati, 2012
brossura, 128 pagine, €8.00

Andrea Bonazzi

domenica 10 febbraio 2013

Lovecraft Antologia. Volume I: in Italia i fumetti lovecraftiani SelfMadeHero

Lovecraft Antologia. Voume I, 2013, copertinaNe avevamo parlato proprio qui, nel 2011, quando l’editrice specializzata britannica SelfMadeHero presentò il suo primo antologico volume di adattamenti a fumetti della narrativa breve di Howard Phillips Lovecraft. Un corposo albo inteso a proporre l’opera di sceneggiatori e artisti d’esperienza accanto a nomi relativamente nuovi per i comics books di genere, per dare vita a sette classici racconti lovecraftiani sui temi dell’ignoto, della follia, dell’orrore cosmico e del macabro.

Lovecraft Antologia. Volume I viene finalmente pubblicato anche nel nostro paese, nell’edizione italiana della Magic Press in un brossurato di oltre centoventi pagine a colori, formato 17x24 cm., conservando la suggestiva copertina originale di Ben Templesmith.

“Per decenni i racconti di H.P. Lovecraft hanno affascinato e terrorizzato in egual misura i lettori di tutto il mondo. E la fama dei «Miti di Chtulhu» è cresciuta fino a diventare leggenda. In questa prima antologia, i migliori talenti del fumetto inglese si cimentano con i temi dell’ignoto, degli Antichi e della loro macabra minaccia,” – come riporta la nota editoriale. – “Primo volume di una collana interamente dedicata al visionario di Providence”.

Informazioni presso il sito ufficiale www.magicpress.it. Queste le storie incluse nel volume primo, coi relativi autori e illustratori:

Il richiamo di Chtulhu – Ian Edginton, illustrato da D’Israeli.
L’abitatore del buio – Dan Lockwood, ill. Shane Ivan Oakley
L’orrore di Dunwich – Rob Davis, ill. INJ Culbard
Il colore venuto dallo spazio – David Hine, ill. Mark Stafford
La maschera di Innsmouth – Leah Moore e John Reppion, ill. Leigh Gallagher
I topi nel muro – Dan Lockwood, ill. David Hartman
Dagon – Dan Lockwood, ill. Alice Duke


Immagine da Lovecraft Antologia. Volume 1, 2013
Immagine da Lovecraft Antologia. Volume 1, 2013
Immagine da Lovecraft Antologia. Volume 1, 2013
Immagine da Lovecraft Antologia. Volume 1, 2013

Lovecraft Antologia. Volume I
H.P. Lovecraft, Ian Edginton e AA.VV.
collana Lovecraft Antologia, Magic Press, 2013
brossura, 128 pagine a colori, €15.00
ISBN 9788877596154

Andrea Bonazzi

giovedì 7 febbraio 2013

Il senso del futuro. Carlo Pagetti e la fantascienza nella letteratura americana

Il senso del futuro, 2013, copertinaApparso nel 1970 per la Biblioteca di Studi Americani delle romane Edizioni di Storia e Letteratura, nel suo saggio Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana Carlo Pagetti riprendeva alcuni dei propri interventi pubblicati su Studi Americani, rielaborando altri temi proposti sul quotidiano Il Gazzettino e la rivista specializzata Gamma, sino a compilare quel che da subito sarebbe divenuto uno dei più autorevoli testi critici e divulgativi sulla science fiction letteraria statunitense scritti in italiano.

Una rinnovata edizione de Il senso del futuro viene riproposta oggi in libreria da Mimesis, a inaugurare la nuova collana tematica DeGenere diretta da Nicoletta Vallorani. Eccone la presentazione:

“La fantascienza ha ispirato il cinema, soprattutto nell’epoca degli effetti speciali. Ma questo affascinante genere ha le sue origini nobili nella letteratura. Questo libro ci guida alle radici della fantascienza, nei romanzi soprattutto di lingua anglosassone. Il primo romanzo del genere? I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Questa la tesi di Carlo Pagetti, uno dei più brillanti esperti del settore che ha il merito di aver portato lo studio della fantascienza nelle università italiane. Da Swift si passa poi a Herbert George Wells, fino ai classici dei nostri tempi come Ray Bradbury, Philip K. Dick e William Burroughs. Un affascinante viaggio che scopre il genere nei suoi ingredienti artigianali, nella struttura narrativa più genuina, cui la macchina tecnologica del cinema ha solo aggiunto elementi spettacolari. Questo libro è l’opportunità di immergersi in un’arte che parla direttamente alla nostra immaginazione, che scava nell’idea sempre in movimento del futuro possibile”.

Carlo Pagetti è insegnante di Letteratura inglese contemporanea e Cultura anglo-americana presso l’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato monografie e saggistica sul romanzo inglese e nord-americano, sull’utopia e l’immaginario scientifico, sui generi narrativi del Novecento e gli studi culturali. Del 2010 è Il corallo della vita, incentrato su Darwin e l’immaginario letterario. Ha tradotto e introdotto la trilogia dell’Enrico VI di Shakespeare, mentre Charles Dickens e Joseph Conrad sono tra gli autori da lui più volte visitati. Nell’ambito della fantascienza e del romanzo utopico ha pubblicato introduzioni, saggi e volumi sia in italiano che in inglese su H.G. Wells, George Orwell, Ursula K. Le Guin e altri scrittori americani. Dal 2000 cura le edizioni complete in italiano dell’opera narrativa di Philip K. Dick.

Informazioni complete sulle pagine Internet di Mimesis Edizioni.

Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana
Carlo Pagetti
collana Degenere, Mimesis Edizioni, 2013
brossura, 332 pagine, €26.00
ISBN 9788857513027

Tatiana Martino

lunedì 4 febbraio 2013

A Look Behind the Derleth Mythos: August Derleth oltre i miti di Cthulhu

A Look Behind the Derleth Mythos, 2012, copertinaDa solo e unico tutore della “eredità” letteraria di H.P. Lovecraft – tanto da vantarne (dubbi) diritti legali impedendo ad altri di scrivere narrativa sui “miti di Cthulhu”, da lui stesso così battezzati e codificati rigorosamente in un’interpretazione personale lontana dalle originarie concezioni –, a scrittore di supposte “continuazioni” dell’opera di Lovecraft, in realtà storie originali basate su un paio appena di brevissimi frammenti e su un taccuino di spunti lasciati dal sognatore di Providence… Insomma, da esclusivo custode e detentore dell’opera lovecraftiana, August Derleth si è ritrovato bersaglio dai primi anni 70, dopo la sua scomparsa, di innumerevoli critiche a proposito della propria gestione di un tale patrimonio. Indiscutibile nella propria abilità e versatilità come autore, la critica moderna ha da allora iniziato a ridimensionare i suoi interventi su Lovecraft, a chiarirne i drastici fraintendimenti e, in sostanza, ad accedere al gentiluomo del New England senza più finalmente filtri, limiti e intermediari, dando il via ai primi veri e propri studi critici e biografici.

In controtendenza a svariati decenni di un tale atteggiamento critico nei confronti di Derleth giunge adesso A Look Behind the Derleth Mythos: Origins of the Cthulhu Mythos, un corposo saggio di John D. Haefele inteso a rivalutarne l’operato e le attività nel suo complesso, pubblicato attraverso il marchio editoriale specializzato danese di H. Harksen Productions.

“È tempo di mettere le cose in chiaro. Per decenni i critici hanno ritratto August Derleth come un uomo intrattabile, uno sciocco e a volte persino un malvagio, macchiando il suo lascito nella storia del moderno racconto weird,” – tiene a puntualizzare la presentazione editoriale del volume, che prosegue: – “A Look Behind the Derleth Mythos: Origins of the Cthulhu Mythos contiene nuovi e completi studi nei quali, con argomentazioni forti e solide prove, John D. Haefele respinge le critiche e dimostra perché sia giunto il tempo di ristabilire la reputazione di Derleth, perché sia il momento di riconoscerlo come uno dei più grandi; un poliedrico, prodigioso e straordinario scrittore ed editore. Base della controversia sono le «collaborazioni postume» di Derleth con H.P. Lovecraft, coinvolgendo i suoi pastiches e il dibattito relativo ai «Miti di Cthulhu» contrapposti ai «Miti di Derleth». A questo e altro ancora guarda Haefele, analizzandolo in avvincente maniera. Con sorprendenti, eppure convincenti risultati”.

La prefazione è a firma di W.H. Pugmire, principale esponente della contemporanea narrativa dei miti di Cthulhu. In oltre quattrocento pagine comprendenti illustrazioni e riproduzioni iconografiche, il libro ripercorre le vicende del fondatore della Arkham House, la storia della casa editrice e di buona parte della weird fiction americana che ne attraversò le pagine.

Lo stesso John D. Haefele è autore fra l’altro della precedente monografia tematica August Derleth Redux: The Weird Tale 1930-1971, con la quale già nel 2009 prese a introdurre i medesimi argomenti.

Peccato per la scelta di rendere l’edizione disponibile nel solo formato a copertina rigida, rendendone così non esattamente abbordabile il prezzo di copertina. Tramite il sito web di lulu.com, che distribuisce il titolo, è disponibile un’anteprima di quattordici pagine – qui sotto consultabile – comprensive di prefazione, introduzione dell’autore, indici e bibliografia.

A Look Behind the Derleth Mythos
Origins of the Cthulhu Mythos
John D. Haefele
H. Harksen Productions, 2012
copertina rigida, 392 pagine, $59.99
ISBN 9788799499458
Andrea Bonazzi



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venerdì 1 febbraio 2013

Il sonno della ragione. Racconti fantastici del XIX secolo. Spagna e Ispanoamerica

Il sonno della ragione, 2012, copertinaCurata e tradotta da Pietro Valletti per l’editrice romana Aracne, Il sonno della ragione. Racconti fantastici del XIX secolo. Spagna e Ispanoamerica è un’antologia del fantastico ottocentesco fra Penisola Iberica e America Latina, attraverso una rassegna di autori anche piuttosto inusuali per le nostre letture, in un panorama di classici da Gustavo Adolfo Bécquer fino a Leopoldo Lugones.

“Quando si parla di letteratura fantastica si pensa a tutte quelle opere che presentano eventi, personaggi o ambientazioni inverosimili, che hanno popolato e tuttora popolano tante avventure scritte o tramandate. In ciascuno di noi c’è, in qualche modo, un «reparto» ricco di questa letteratura. «Alla nostra sensibilità d’oggi l’elemento soprannaturale al centro di questi intrecci appare sempre carico di senso, come l’insorgere dell’inconscio, del represso, del dimenticato, dell’allontanato dalla nostra attenzione razionale. In ciò va vista la modernità del fantastico, la ragione del suo ritorno di fortuna nella nostra epoca. Sentiamo che il fantastico ci dice cose che ci riguardano direttamente... » (Italo Calvino)”.

“Questo volume” – continua la presentazione della raccolta – “raccoglie dodici suggestivi racconti, poco conosciuti al grande pubblico, di alcuni fra gli autori più importanti della letteratura spagnola e ispanoamericana dell’Ottocento. La loro lettura diventa, così, un appassionante viaggio nella psicologia e nell’immaginario collettivo di un intero secolo”.

scarica l'anteprima PDF, iconaInformazioni al completo presso la pagina dedicata sul sito www.aracneeditrice.it, dove in formato PDF (336k) è disponibile al download l’intera introduzione a firma del curatore stesso. Questi i contenuti per esteso:

Introduzione – Pietro Valletti
Luisa – Eugenio de Ochoa.
Gaspar Blondín – Juan Montalvo
Il Monte delle Anime – Gustavo Adolfo Bécquer
La Madonna di Paul Rubens – José Zorrilla
Chi ascolta sente il proprio male – Juana Manuela Gorriti
La principessa e il monello – Benito Pérez Galdós
Il pavese di un ventaglio – Pedro Escamilla
Lanchitas – Roa Bárcena
La donna alta. Racconto di paura – Pedro Antonio de Alarcón
Horacio Kalibang o gli automi – Eduardo Ladislao Holmberg
Il caso della signorina Amelia – Rubén Darío
Lo specchio nero – Leopoldo Lugones


Il sonno della ragione
Racconti fantastici del XIX secolo. Spagna e Ispanoamerica
a cura di Pietro Valletti
collana Filamenti, Aracne Editrice, 2012
brossura, 208 pagine, €16.00
ISBN 9788854856806

Tatiana Martino