I vampiri dello spazio (The Space Vampires, 1976) di Colin Wilson... Uno strano romanzo che si presta ad essere sottoposto a numerose tipologie di lettura e interpretazione è recentemente tornato fra le mie mani, complice una bancarella di libri usati. Un vecchio Urania mi ha consentito di ritrovare tematiche, pregi e difetti di un libro che ha avuto senz’altro un notevole peso nella storia della letteratura fantastica.
Fra i vari livelli di lettura posseduti dal testo, il primo che balza agli occhi è senz’altro la sovrastruttura fantascientifica che lo domina. Potente e pervasiva a livello scenografico, in realtà a un’analisi più approfondita si rivela piuttosto un mero fondale sul quale ambientare poi un diverso tipo di racconto di tutt’altro genere. Il pretesto della narrazione è infatti il ritrovamento da parte di un’astronave terrestre di un enorme relitto vagante nello spazio, all’interno del quale sono presenti una sorta di cripte di vetro/metallo che ospitano figure umane apparentemente in animazione sospesa. Gli esploratori giungono presto ad aprire alcune di tali cripte per studiare i corpi e a tale scopo questi vengono portati sulla Terra ove, come è facile immaginare, ben presto si ridesteranno divenendo una pericolosa minaccia per l’umanità, fuggendo dall’istituto dove erano custoditi e divenendo oggetto di ricerca da parte degli investigatori. Essi sono infatti vampiri di energia, che necessitano di assorbire le forze vitali degli altri esseri per sopravvivere e che sono in grado di trasferire la propria essenza vitale da un corpo all’altro.
Se, quindi, l’ambientazione di partenza è prettamente fantascientifica (astronavi e astronauti, alieni, caccia agli stessi), col progredire del racconto gli elementi tecnologici e futuribili iniziano a affievolirsi sempre di più col trascorrere degli interessi del racconto verso altri registri. A tale livello iniziale, tuttavia, si innesta potentemente un immaginario estremamente cinematografico da parte dell’autore. È noto come egli stesso abbia sceneggiato, in seguito, il proprio libro per la trasposizione operata da Tobe Hooper dal titolo Space Vampires (Lifeforce, 1985) e perciò esista già storicamente un filo doppio che collega le opere uscite tramite i due media, ma la “cinematicità” del testo non si limita a questo elemento poiché balza agli occhi sia mediante la potenza di impianto delle scene, sia nel taglio e nell’impostazione delle sequenze narrative che nello stesso dinamismo dell’azione, quando ovviamente essa sia presente.
Ma ancora questo non basta. La concezione dello spazio esterno come fonte di fascinazione e insieme di oscura minaccia è infatti patrimonio della fantascienza tutta (non solo, però: ricordiamoci del fondamentale contributo al tema di H.P. Lovecraft), ma appare particolarmente evidente nel presente romanzo. Cinematograficamente, spicca in particolare alla memoria il contributo portato da numerose pellicole, a partire da quelle degli anni 50 incentrate sulla minaccia degli alieni, fino a Il pianeta proibito senza dimenticare il ciclo di Alien e numerosissimi altri film, i quali allo stesso modo pongono al centro della narrazione il risvegliarsi o il penetrare in un mondo sostanzialmente ordinato di forze esterne irresistibili (interne, si scoprirà, ne Il pianeta proibito, ma è un altro legame che analizzeremo meglio in seguito), portatrici di una minaccia cosmica in grado di alterare l’equilibrio e portare virtualmente alla distruzione un’umanità ignara e antropocentricamente ancorata al proprio limitato orizzonte mentale.
Altrettanto potente e pervasivo è stato nel corso del tempo, sia per il cinema che per la letteratura, il tema della colossale astronave planetaria (abbandonata o meno che essa sia), ricorrente poi – tanto per citare a caso le prime opere che balzano alla mente – nel ciclo di Hyperion di Dan Simmons o – in diversi modi – in film come Star Wars e Punto di non ritorno, per esempio. Nel caso in questione ha in ispecie rilevanza il fatto che il vascello risulti apparentemente desolato e deserto, funereo e sepolcrale, frutto di una civiltà tecnologicamente ed esteticamente avanzatissima, poiché le scene inerenti l’esplorazione della “Stranger” (questo il nome con cui la nave viene battezzata) sono fra le più affascinanti, per quanto non fra le più importanti contenutisticamente, della narrazione.
Se però nella nostra analisi abbandoniamo il guscio e ci facciamo via via strada verso il nocciolo dell’opera, potremo vedere come fra i vari significati del romanzo assuma valore primario tutto un complesso di livelli interpretativi legati alla caratterizzazione psicologica, all’indagine a mo’ di detective story, al tema erotico, al vampirismo inteso come caratteristica insita nell’esistenza biologica di ogni essere. Si tratta di livelli estremamente ricchi di interesse e continuamente interconnessi. La ricerca degli alieni fuggitivi si configura infatti come sia un’indagine volta a catturare i “criminali” del caso (e ricorre spesso nelle parole dei personaggi, infatti, il parallelismo vampiro/criminale) e in quest’ottica occorre bene ricordare come Colin Wilson fosse appunto soprattutto criminologo e autore di gialli, oltre che esperto di soprannaturale.
Ma tale indagine si somma anche a una ricerca interiore all’interno della psiche, per la quale si conclude alla fine come il vampirismo sia una sorta di forma di empatia psicologica esistente in natura, tramite la quale conscio e inconscio instaurano delle relazioni di particolare natura con le altre persone, amici, nemici, prede e in particolare con l’altro sesso nelle dinamiche di tipo sentimentale/sessuale (e non a caso nell’economia del romanzo largo spazio è dedicato – e non per mero voyeurismo letterario – alla rappresentazione dell’espressione fisica di tali pulsioni). La ricerca scientifica dei personaggi si configura dunque in definitiva come una ricerca relativa all’interiorità umana e solo di conseguenza a quella degli alieni i quali – in tal senso – si rivelano alla descrizione notevolmente antropomorfizzati per quanto riguarda sia le motivazioni, che le reazioni, che le considerazioni psicologiche.
Ecco quindi che da un romanzo in partenza di “semplice” sci-fi siamo già passati verso una narrazione più legata all’uomo, e per traslato alle sue estremizzazioni vampiriche venute dallo spazio, sorta di superuomini deviati e devianti con tendenze criminali, la sconfitta dei quali intende ripristinare lo status quo ante. Proprio in questo senso si concretizza ancora di più il legame con Il pianeta proibito di cui si parlava prima, poiché allo stesso modo nel quale le minacce esterne si rivelavano in realtà nel film minacce interne, i famosi “mostri dell’Id”, legati alle pulsioni emotive più oscuramente inconfessabili, portate alla luce tramite la tecnologia e in grado di assumere forma concreta, così pure i vampiri dello spazio si individuano dapprima attraverso i macchinari di analisi supposti nel romanzo e costituiscono allo stesso modo specchi distorti del medesimo vampirismo dei protagonisti (non è un caso che il principale personaggio, Carlsen, sia proprio nella parte centrale del romanzo perennemente in bilico fra la propria natura umana e quella supposta vampirica trasmessagli forse attraverso l’“infezione” degli alieni, in un dubbio esistenziale di somma rilevanza all’interno dell’economia della storia).
Fra tutti i livelli di lettura presenti nel romanzo, però, uno è sicuramente più d’impatto e forse costituisce quello che interessa di più in questa sede, e cioè quello meta-narrativo, e proprio con esso cercherò di concludere la mia breve analisi degli aspetti salienti dell’opera di Colin Wilson. In sintesi, allora, sarà proprio questo livello di lettura che potrà permettere di dare definizione chiarificatrice del genere al quale esso appartiene, poiché ritengo che proprio la meta-narrazione costituisca la cifra di interpretazione più significativa dei suoi contenuti o, in altre parole, il tessuto connettivo che tiene insieme le varie anime del testo che – va detto – apparirebbero altrimenti nel complesso abbastanza disomogenee fra di loro, per quanto strettamente legate dalla trama. Non si tratta più – o non soltanto, almeno – di romanzo fantascientifico, giallo, psicologico, erotico, allora, ma appunto di romanzo meta-narrativo, in quanto attraverso gli strumenti e i riferimenti della letteratura esso riesce a rendere densi, veicolare e portare a conclusione i propri contenuti più pregnanti.
Numerosissimi sono gli elementi che potremmo definire meta-narrativi all’interno della storia. Ciò che spicca di più allo sguardo del lettore è in primo luogo il continuo riferimento alla tradizione vampirica come è stata consolidata dalla vulgata letteraria e cinematografica. I personaggi (e Wilson strizza l’occhio tramite loro) si trovano ad adottare e a conformarsi in larga parte a dei comportamenti e delle conoscenze che caratterizzano la figura del vampiro, ma solo per interpretarne la valenza in una nuova ottica. In questo modo i vampiri della tradizione folklorica e letteraria si scoprono essere quegli stessi alieni che nella notte dei tempi calarono sulla terra per iniziare a influenzarne lo sviluppo, e che sono perciò stati ricordati poi attraverso le generazioni anche a livello mitico. Molto di ciò che si narra nelle leggende si ritrova perciò verificato anche nel romanzo: dall’avversione all’aglio alla forza superiore, ai poteri ipnotici, alla potenza e irresistibilità sessuale, alla possibilità di cambiare forma (entro certi limiti). Il dialogo con Bram Stoker è costante e importantissimo, tant’è vero che – per citare il caso più incisivo – come in Dracula a un certo punto la possibilità di individuare le mosse del vampiro perviene attraverso l’ipnosi di una sua precedente vittima, così pure nel romanzo wilsoniano il legame empatico/psicologico fra Carlsen e l’alieno consente per mezzo della trance ipnotica di definirne una precisa localizzazione.
Ma non è l’unico aspetto degno di nota a costituire una correlazione, poiché come nel Dracula esisteva il personaggio di Van Helsing, così qui abbiamo la figura del Conte Von Geijerstam il quale ne rappresenta in pratica una diretta prosecuzione. Come il filosofo olandese, esso è uno studioso di scienze umane (psicologo) il quale viene ad acquisire una sapienza particolare sui vampiri che è poi in grado di distribuire ai personaggi affinché essi la sfruttino per avversarli.
Ma non ci si può limitare solo a queste corrispondenze meta-narrative: se il dialogo con Stoker è importante, altrettanto risulta esserlo quello con Arthur Conan Doyle, poiché la rappresentazione di Londra e degli ambienti polizieschi londinesi non si discosta poi granché da quanto è possibile leggere nelle pagine di Sherlock Holmes. Non è un caso, peraltro, che proprio la coppia dei protagonisti Fallada - Carlsen richiami volutamente e alluda direttamente a quella Holmes - Watson, con la decisiva differenza che se in principio è Fallada colui che sembra “saperne di più,” progressivamente il ruolo dell’investigatore sarà assunto decisamente da Carlsen (e giustappunto Fallada gli sottolineerà manifestamente, infatti, di assomigliare sempre di più a Sherlock Holmes nel proprio ragionamento deduttivo!).
E, tuttavia, l’ordine di riferimenti più incisivo e decisivo che si può individuare non concerne soprattutto queste opere, bensì consiste in tutta una serie di manifesti legami direttissimi con la letteratura weird e soprannaturale, nello specifico ricollegandosi prepotentemente alla storia narrata nel celeberrimo racconto-capolavoro di Montague Rhodes James dal titolo “Il Conte Magnus”. I protagonisti, infatti, non solo si dirigono in Svezia – luogo deputato del racconto di riferimento – per incontrare il Conte Von Geijerstam, ma scoprono nientemeno che esso ha scelto di ritirarsi a vivere nella medesima magione del Conte Magnus (la quale può riflettere a sua volta, secondo lo status costitutivo del genere fantastico, innumerevoli altre case solitarie e in qualche modo sinistre della letteratura).
Di più, la loro indagine svedese e il loro dialogo che svelerà tutti i retroscena del vampirismo sarà legato a filo triplo con la vicenda letteraria narrata da James, tant’è vero che verrà addirittura riportato, discusso e interpretato nel testo da parte dei personaggi il passo jamesiano finzionalmente attribuito al diario di Magnus e relativo al “Pellegrinaggio Nero”, che lo avrebbe messo in contatto con le potenze delle tenebre. Per poter andare avanti nella loro investigazione e scoprire la vera natura del vampirismo, allora, i detectives non solo dovranno leggere i documenti appartenuti all’alchimista e ora in mano a Von Geijerstam, ma anche visitarne il laboratorio, nonché la stessa cripta, venendo a scoprire infine come il vampirismo del Conte non fosse altro che la risultante dell’invasamento da parte degli alieni che - come si diceva prima - già in passato bazzicavano frequentemente il nostro pianeta come “riserva di caccia”.
Ecco quindi che intrecciato ai differenti temi del racconto e alla complessiva intelaiatura meta-narrativa scopriamo ne I vampiri dello spazio anche una profondissima riscrittura, o meglio integrazione, de “Il Conte Magnus” di James (fra le varie cose narrate da Von Geijerstam, veniamo a sapere anche della sua sorte successiva al risveglio del quale avevamo appreso l’andamento nella narrazione ottocentesca). Il testo viene quindi completato e riorientato all’interno di una nuova e moderna lettura fantascientifico-psicologico-horrorifica, introducendo anche elementi a ulteriore tradizione weird che dal racconto originale jamesiano non sarebbero stati davvero desumibili.
Se incerta a suo tempo era, infatti, la forma del terribile famiglio che si era procurato nel corso del “Pellegrinaggio Nero” e che lo seguiva ovunque (quello stesso che compariva negli arazzi e nelle sculture del testo di James, terrorizzando con il proprio aspetto indefinibile), adesso se ne fornisce una chiave interpretativa attraverso un’ipotesi anatomica riconoscibile che il lettore scaltro non può non cogliere, poiché sul sepolcro di Magnus – con un’innovazione decisa rispetto alla diversa descrizione del sarcofago da parte di James – viene fatta campeggiare in bella vista e con evidenza una figura dal misterioso significato, quella di un polpo nero con volto umano. Allo stesso modo, peraltro, di cefalopode si scopre essere il corpo originale dei vampiri dello spazio, come infatti lasciavano ipotizzare anche alcune forme organiche analoghe custodite nel vetro all’interno dell’astronave “Stranger”. E non è il caso di dire a quale scrittore in particolare si debba il proliferare di forme tentacolari e molluscoidi all’interno della tradizione letteraria fantascientifica e dell’orrore, e ci si rifaccia quindi attraverso questo riferimento letterario...
Fra giochi di specchi che si riflettono reciprocamente, incastri e stratificazioni successive, ecco dunque che i diversi livelli del romanzo lungi dal semplificarsi risultano sempre più intrecciati in un legame estremamente complesso. Si potrebbe proseguire, ma ci si fermerà qui poiché mi pare di aver abbastanza dimostrato la tesi interpretativa più interessante del presente articolo, e cioè che se un’unità si può trovare nel romanzo wilsoniano essa non può essere fornita tanto dai contenuti, quanto bensì dall’interpretazione stessa, vale a dire proprio dalla meta-narrazione, che indicando e contrassegnando la via che conduce dalla tradizione letteraria all’originalità di un’opera moderna consente di costruire su di essa numerosi edifici distinti, appartenenti in ogni caso, tuttavia, certamente al medesimo territorio.
Umberto Sisia
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