martedì 29 marzo 2011

The Best Horror of the Year, terzo volume a cura di Ellen Datlow

The Best Horror of the Year. Volume Three, 2011, copertinaEsce a giugno The Best Horror of the Year. Volume Three, il terzo volume annuale curato da Ellen Datlow per l’americana Night Shade Books con la “crema” della narrativa breve horror dell’anno precedente, una scelta delle migliori opere di genere pubblicate nel 2010.

“Cos’è che ci prova timore, che ci innervosisce? Quali le cause del delizioso brivido di paura che ci scorre lungo la spina dorsale? Sembra che le risposte cambino ogni anno; ogni anno si eleva la sbarra, la vite si restringe. Ellen Datlow conosce quel che ci spaventa: i 21 racconti in questa antologia sono stati selezionati da riviste, webzines, antologie, rassegne letterarie e singole raccolte d’autore a rappresentare il meglio dell’anno per l’orrore”.

Classici moderni come Tanith Lee, Richard Christian Matheson o Joe Lansdale si affiancano dunque ai nuovi (per il pubblico italiano) ed emergenti autori della contemporanea weird fiction, da Laird Barron a John Langan, Reggie Oliver e Joe Pulver in un ampio panorama dell’odierno racconto del terrore.

L’illustrazione in copertina è di Allen Williams. Maggiori informazioni presso la pagina dedicata sul sito web dell’editore, mentre riportiamo a seguito l’indice dei contenuti del volume:

Summation 2010 – Ellen Datlow
At the Riding School – Cody Goodfellow
Mr. Pigsny – Reggie Oliver
City of the Dog – John Langan
Just Outside Our Windows, Deep Inside Our Walls – Brian Hodge
Lesser Demons – Norman Partridge
When the Zombies Win – Karina Sumner-Smith
--30-- – Laird Barron
Fallen Boys – Mark Morris
Was She Wicked? Was She Good? – M. Rickert
The Fear – Richard Harland
Till the Morning Comes – Stephen Graham Jones
Shomer – Glen Hirshberg
Oh I Do Like to Be Beside the Seaside – Christopher Fowler
The Obscure Bird – Nicholas Royle
Transfiguration – Richard Christian Matheson
The Days of Flaming Motorcycles – Catherynne M. Valente
The Folding Man – Joe R. Lansdale
Just Another Desert Night With Blood – Joseph S. Pulver, Sr.
Black and White Sky – Tanith Lee
At Night When the Demons Come – Ray Cluley
The Revel – John Langan


The Best Horror of the Year. Volume Three
a cura di Ellen Datlow
Night Shade Books, 2011
brossura, 300 pagine, $15.99
ISBN 9781597802178

Andrea Bonazzi

domenica 27 marzo 2011

The Necronomicon: Book of Dead Names, gioco di carte online

The Necronomicon: Book of Dead Names, immagine
Giocabile dal febbraio scorso sulla piattaforma web gratuita di Kongregate, The Necronomicon: Book of Dead Names è la terza perfezionata versione del flash card game lovecraftiano già apparso in rete come The Necronomicon nel 2007-2008, sempre a firma di Graham Plowman che qui ne presenta il nuovo aggiornamento per la sua Games of Cthulhu Production:

“Combatti ancora una volta contro I Miti di Cthulhu di H.P. Lovecraft in questo seguito del Necronomicon Flash Card Game. Gioca creature, personaggi, antichi tomi e altre carte direttamente sul tavolo di gioco. Attacca il tuo avversario cercando di non perdere tutti i tuoi punti sanità e diventare «suicida». Cerca di sopravvivere quando «le stelle sono allineate» e da uno a tre Grandi Antichi entrano in gioco per portare il caos nella partita. Completa i 30 rounds, cercando di raggiungere il massimo punteggio «S» in ciascun turno, e mettiti alla prova in tutti e 18 gli obiettivi. E per concludere, un grazie a tutti gli amici su Kongregate che sono in larga parte responsabili per le illustrazioni sulle carte”.

Risolto nel frattempo qualche bug con il rilascio della versione 1.4, fra le principali novità inserite troviamo un ampliamento del “tavolo di gioco” su cui posizionare le carte attive sul momento, con la possibilità di calare fino a quattro “mostri” in posizione di attacco o di difesa, oltre agli slot riservati a tomi, personaggi e ambienti. Perdere più di cinque punti sanità oltre il limite comporta adesso il rischio di sconfitta immediata per “follia suicida”, verificato in ogni turno, mentre diverse combinazioni di carte possono mettere le stelle “in giusta posizione” con effetti devastanti. Il tutorial “How to play” spiega comunque passo a passo tutti gli elementi necessari per giocare la partita.

Links:
The Necronomicon Flash Card Game – versione precedente (2008)
The Necronomicon: Book of Dead Names – nuova versione (2011)

Andrea Bonazzi

venerdì 25 marzo 2011

April R. Derleth, 1954-2011

April R. Derleth, fotoLa editrice americana April R. Derleth, 56 anni, è morta lo scorso 21 marzo. Figlia dello scrittore August Derleth, April era comproprietaria della Arkham House insieme al fratello Walden, conducendone l’attività editoriale come presidentessa e amministratrice esecutiva dal 2002.

Nata il 9 agosto del 1954, April Rose Derleth aveva cinque anni quando i suoi genitori divorziarono e lei venne affidata al padre. August Derleth fu il co-fondatore dell'Arkham House, con Donald Wandrei, nel 1939. Dopo la sua morte nel 1971, Wandrei assunse brevemente la direzione editoriale per essere quindi sostituito da James Turner, il quale supervisionò le operazioni fino a che April non assunse il controllo della casa editrice di famiglia, cercando di riportarne le pubblicazioni entro l’ambito originario della weird fiction classica dopo un certo periodo di rilancio principalmente incentrato sulla fantascienza.

Recentemente tornata a nuova attività, con diversi titoli in cantiere per la conduzione dei nuovi curatori Robert Weinberg e George Vanderburgh, dal proprio sito web ufficiale la storica Arkham House ha annunciato la temporanea sospensione degli ordini in corso e delle vendite.

Fin qui, in sostanza, i comunicati e necrologi apparsi in rete il 22 marzo scorso, da SF Site a Locus Online, seguiti dall’unanime ondata di cordoglio e di ricordi personali tuttora in diffusione attraverso le reti sociali e i canali informativi del fantastico non solo americano.

Andrea Bonazzi

mercoledì 23 marzo 2011

Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero

Onda d’abisso, 2010, copertina, 2004L’antologia italiana Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero arriva come una ventata di aria fresca nel panorama del Fantastico Italiano. L’esperimento non è nuovo e si avvale di illustri predecessori. Occorrerà ritornare agli anni Ottanta-Novanta e a una illustre casa editrice, la Marino Solfanelli, che con la sua serie Le Ali della Fantasia molto si adoperò nella difficile impresa di “sdoganare” un genere, quello Fantastico, in un Paese, l’Italia, che ha sempre guardato con sospetto non scevro da implicazioni culturali, sociali e politiche questo genere.

Si trattò a suo tempo di un esperimento generoso e lungimirante, che ebbe il merito di far conoscere al pubblico autori della caratura di Riccardo Leveghi, Claudio Asciuti, Gianluigi Zuddas, Michele Mari, per non citarne che alcuni. Altra valida antologia (sempre marcata Solfanelli) fu I figli di Cthulhu, corale omaggio italiano alla narrativa di Lovecraft, viaggio interessante attraverso scenari “mediterranei” in alternativa alle atmosfere del New England del Maestro di Providence, a dimostrazione del fatto (se pure ce ne fosse stato il bisogno) che le linee tracciate da H.P. Lovecraft sono state e sono talmente potenti da poter prescindere da latitudini e fattori geografici o linguistici che dir si voglia.

Non va poi dimenticato quell’altro valido tentativo di stabilire i canoni di un “Fantastico” tutto italiano che fu Racconti di Tenebra, curato dal bravo Gabriele la Porta nel lontano 1987 per la Newton & Compton, diviso per generi e argomenti (“Demoni e affini”, “Spettri”, “Racconti del Mistero” etc.), porta narrativa aperta sul Mistero e sulle categorie del “Disturbante”. Potremmo anche risalire più indietro e fare riferimento al “Solaria” sul quale scrisse anche Montale o alla produzione fantastica di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, a ulteriore riprova del fatto che il genere Fantastico è ben lungi dall’essere sconosciuto nel Belpaese e conta antesignani illustri e capaci. Molti di questi autori sono stati poi inclusi, in segno di affettuoso omaggio, nella prestigiosa strenna del 2010 Racconti Fantastici del ’900 per gli Oscar Mondadori, curato da Giuseppe Lippi, e non dubitiamo del fatto che un futuro non troppo lontano (speriamo) vedrà molti degli autori inclusi nella raccolta Onda D’Abisso partecipi di un’ulteriore “strenna” sul Fantastico Italiano.

L’Antologia in questione consta di trenta racconti incentrati su di un unico tema, Il Mare, e si divide in tre sezioni distinte, rispettivamente “Sponde”, “Superfici”, “Abissi”, ognuna delle quali racchiude dieci racconti “a tema”. L’esperimento viene dalle menti fertili e immaginifiche di un “collettivo” di scrittura dal nome evocativo di “Carboneria Letteraria” e si avvale di una prefazione scritta da Valerio Evangelisti, vera e propria “eminenza grigia” (scriviamo affettuosamente) della Letteratura Fantastica italiana attuale. Recensire tutti e trenta i racconti inclusi nella raccolta sarebbe impresa troppo ardua, mi limiterò dunque a scegliere alcuni racconti da ogni sezione.

Il racconto di Alberto Cola intitolato “Le Bastarde”, contenuto nella prima sezione “Sponde”, segue punto per punto sia le indicazioni di Stephen King sulla costruzione del Terrore di tipo “Provinciale”, sia le preziosissime informazioni fornite da Thomas Ligotti nel suo “La Consolazione del Terrore”. Vi si trovano le inquietudini e le ombre della Provincia, in questo caso di quella abruzzese; il mare come causa dell’isolamento e della subalternità (per usare un’espressione cara a Ernesto De Martino) il motivo dell’edificazione di un centro abitato in una località marittima si sposa con le inquietudini tipiche dell’entrata nel mondo cosiddetto “moderno”, genera il fenomeno del turismo e apre nel contempo la stura all’irruzione dell’irrazionale inteso nel senso del “Rimosso” freudiano. Vi ritroviamo tutto il carico di aberrazioni e isolamento di una comunità piccola e chiusa a stretto e costante contatto con il mondo ancestrale del Soprannaturale. A scadenze regolari (tempo ciclico della comunità “rurale” o marittima in questo caso) fanno la loro apparizione delle “Entità” di origine malvagia, la cui natura e le cui fattezze sono solo “suggerite” e mai completamente mostrate, le quali si manifestano solo ai bambini e fanno di loro le vittime favorite.

Vi si ritrova tutto quel carico di angosce legato al mondo dell’Infanzia ferita e oltraggiata, che parte dalle preoccupazioni di tipo “Metafisico” di Arthur Machen (un racconto fra tutti: “The White People”) per sfociare in quelle di tipo socio-culturale di Stephen King (in particolare It). Il Mondo dell’Infanzia è pericolosamente vicino sia alla sfera della malvagità assoluta, come si sforza di dimostrare “Teologicamente” lo studioso Ambrose, nel racconto di Machen, sia al mondo dell’Innocenza e della solidarietà, ignorato dai grandi a causa del “Mal de vivre” tipico di una piccola comunità isolata. In mezzo fa capolino l’orrore “quotidiano” di un serial killer pederasta, elemento “sacrificale” che va qui inteso come il simbolo di una “Maturità” aberrante, che va eliminata a scopo catartico, dato che la narrazione è in prima persona e il protagonista è proprio un bambino. Vi si ritrovano gli elementi dell’“Horror sociale” moderno (incarnato dalla figura del serial-killer) e dell’orrore soprannaturale. Thomas Ligotti chiama quest’ultimo elemento “L’esca”, ovvero la “Promessa” di una conoscenza esoterica e occulta, elemento tipico anche della narrativa lovecraftiana.

immagine marinaLe Bastarde rinserrano in loro un mistero che è mistero del Male e della colpa, colpiscono solo gli innocenti, come i barboni di paese, gli anziani inermi, gli individui “di passaggio” (i turisti) e i bambini, gli unici che a causa della loro condizione “liminare”, al confine cioè fra il mondo opaco della maturità e quello caotico (in senso freudiano) dell’infanzia, sono in grado di vederle. Attraverso una catarsi sociale (il sacrificio del serial killer) i bambini “avvelenano” le Bastarde attraverso quello che Frazer definirebbe un “rito omeopatico” (un male usato per curare un altro male) e ristabiliscono così l’“Ordine” della realtà. Un pezzo magistrale quello di Cola, scritto con un registro quasi dialettale che lo rende ancor più efficace, un’opera di bravura.

In tutt’altri orrori ci cala invece il racconto “Gli Occhi” di Danilo Arona. Lo scrittore e saggista in questione invece (notevole anche il suo L’Ombra del Dio alato edito per Marco Tropea, vera e propria “Summa” di orrori archeologici e preistorici con più di una strizzata d’occhio al cinema e alla letteratura di genere) , si incunea nel solco di scrittori come Riccardo Leveghi e Gabriele La Porta. Il filone favorito da questi scrittori è un’affascinante mescolanza di esoterismo, orrore e fantapolitica con finale “a effetto”. Leveghi dette più di un saggio del suo particolare equilibrio sia con il racconto “Il Re del Mondo” (contenuto nella già citata raccolta I Figli di Cthulhu), sorta di “Call of Cthulhu” in versione “iniziatica” e quasi “Evoliana”, sia in Le Ali della Fantasia vol. IV (sempre per la Marino Solfanelli ed.) con il racconto “Le Montagne della Luna”, sorta di variazione sul tema dell’Apocalissi prossimo-ventura.

Arona ci parla di un’imminente catastrofe che miscela abilmente il tema della Tragedia naturale (Natura come Caos, tema Plotiniano già caro alla letteratura anglosassone, ma anche doloroso monito alla pericolosità delle rivoluzioni naturali, di cui la triste realtà attuale ci ha dato ben più di una dimostrazione) al tema di un’intelligenza “Cosmica” di origine maligna alla radice di tali fenomeni. Una serie “a catena” di eventi attribuibili alla famosa teoria caotica del “Butterfly effect” avvengono in concomitanza con la misteriosa apparizione in cielo di due nuvole a forma di occhi mostruosi.

“I fenomeni cataclismici o diluviali portano a ripetute scene di premonizione o a un provvisorio interesse per il misticismo. Chiusa un’epoca ne segue un’altra,” scriveva Leveghi ne “Il Re del Mondo”. “Chi ha progettato anni addietro l’Effetto Farfalla ben conosceva la psicologia del profondo. Morire annegati nel terrore, nelle proprie superstizioni o nel senso di colpa. Pochissimi si salveranno (attraverso i varchi-occhi dimensionali), ma saranno talmente terrorizzati che si asserviranno al Potere per generazioni,” scrive Arona. Nel primo caso si tratta di un’Apocalissi “Tradizionale”, che ricorda molto da vicino La crìse du monde moderne di René Guénon, nel secondo caso di un’Apocalissi “moderna” con il suo carico di angosce di fine millennio e di critica politico-sociale, ma il messaggio terrorifico è lo stesso per entrambi questi originali scrittori e nel secondo si tratta, inoltre, di un riuscito omaggio letterario alle teorie di Charles Fort, il ricercatore “non convenzionale” che con le sue “notizie dall’Altro Mondo”, fatte di piogge di sangue e passaggi nel cielo di Creature Mostruose, tanto contribuì allo sviluppo del realismo Fantastico.

Johann Heinrich Füssli, 'Odisseo di fronte a Scilla e Cariddi'Il racconto “Le Magnifiche sorti e progressive” di Andrea Angiolino e Francesca Garello è un originale e simpatico omaggio al “Dagon” di HPL, ambientato nella cornice ottocentesca della novella Unità d’Italia. Un Orrore ancestrale di classica memoria (la presenza del mostro Cariddi nella grotta di un paesino del Sud-Italia) fa la sua numinosa apparizione in pieno secolo di “progresso” e avanzamento sociale, fattore incarnato dalle simpatiche e realistiche figure di un ingegnere milanese e del suo assistente. Pare qui di ritrovare le stesse atmosfere della “Sirena” di Tomasi di Lampedusa e dei racconti “italiani” di Francis Marion Crawford, con la loro Italia del Sud calda e accogliente e con le vivide immagini di un retroterra culturale e geografico ricco di bellezza e di leggende ancora potenti e vitali, tragicamente attive e colte sull’orlo di un crepuscolo causato dall’avanzare del progresso e della macchina. Un mondo rurale visto nei barbagli di luce della poesia, prima del collasso causato dalla grande città con il suo carico foriero di “Magnifiche sorti e progressive” appunto.

Il racconto di Alessandro Cartoni intitolato “Naufragio per autospettatore” contenuto nella seconda parte dell’antologia dal nome evocativo di “Superfici”, potrebbe invece inaugurare un futuro Shock all’italiana. Il racconto contiene molti riferimenti a Richard Matheson, a partire dallo stile, secco, conciso, quasi da cronaca, in prima persona anche questo (come da tradizione “pulp”), essenziale nella sua economia da “storia di ordinaria follia”. La giornata al mare che un uomo qualunque trascorre con sua figlia, diventa il pretesto per una “fuga impossibile” dalla realtà di ogni giorno e dai suoi servili, inutili cliché.

Ogni elemento apparentemente “quotidiano” viene stravolto nel suo “doppio” grottesco e avvilente, dall’amichetto “leghista” della figlia del protagonista, alla rozza ostentazione di divertimento borghese da “Bon ton” spiaggistico esibita dagli altri bagnanti, sempre intravisti, sempre descritti marginalmente con pennellate di cinico manierismo, periferici ma persistenti moniti di un orrore latente e oppressivo, celato dalla sua apparente “normalità”. Perfino l’immagine, da sempre calma e dignitosa della terza età, viene stravolta e messa alla berlina da quegli “anziani in cuffia che galleggiano vicini come preservativi usati”, mentre una comica scena con un venditore ambulante fornisce l’ultimo simbolo di una spoliazione sociale agognata e sofferta e si sviluppa nell’originale epilogo alla Buzzati che conclude questo delizioso racconto.

“La Leggenda di Isla Colorada” di Angelo Marenzana si può invece definire un valido e potente omaggio alla narrativa “marinaresca” di William Hope Hodgson. Racconto ambientato al tempo della colonizzazione spagnola del Sudamerica, vi si narrano le vicissitudini dell’equipaggio di un personaggio storico, quell’Alvar Nunez detto “Cabeza de Vaca” (testa di vacca) che è stato il protagonista autentico di un tentativo fallito di esplorazione delle paludi della Lousiana ancora selvaggia e abitata da tribù di indiani ostili come i “Seminoles”, piagata da febbri malariche e da animali feroci. Qui invece il “Conquistador” si trova a dover fare fronte alla maledizione di un sacerdote azteco e alla insidie di un’isola che attira i marinai con colori e promesse di un riposo da lungo tempo agognato, sirena di terra e vegetazione tanto sgargiante quanto letale che incarna il fascino ambiguo dell’abisso e della colpa. La scena del “sacrificio” finale del marinaio principale colpevole dell’assassinio del sacerdote azteco merita di stare, per potenza drammatica, alla pari con molti altri personaggi altrettanto “condannati” della narrativa del Bloch ancora affezionato seguace di Lovecraft nonché dei suoi indimenticabili “Villain” come il dottor Carnoti o l’altrettanto brutale protagonista de “La stirpe di Bubastis”.

“Il misterioso diario del giovane Piotr” di Francesco Troccoli ci immerge a sua volta in atmosfere ben differenti ma non meno evocative e autorevoli. Attraverso il diario di un giovane fuori dal comune, veniamo dolcemente introdotti in un Mondo che potrebbe essere il nostro futuro più prossimo così come quello attualmente ben conosciuto ma ubicato in una dimensione parallela e veniamo a conoscenza di una nave di artisti circensi, ciascuno dotato di un potere particolare e di un particolare talento.

Salvador Dalì, 'Egg Born'Il racconto ricorda molto le magnifiche e crepuscolari atmosfere del Ray Bradbury di Paese d’Ottobre o de Il Popolo d’Autunno, pieno com’è di crepuscolare dolcezza, di un senso imminente di rivelazione e della consapevolezza corale della fine di un mondo sull’orlo di una ominosa trasfigurazione. La ciurma di artisti dotati di poteri mentali che sfiorano la magia ricorda invece la “Famiglia Eterna” di cui Bradbury descrive le gesta in racconti come “Uncle Einar” o “Book of Shadows”, sorta di famiglia “ideale” costituita da “mostri” come vampiri, lupi mannari o stregoni, ma scevra al tempo stesso di tutte le tensioni, gli orrori e le contraddizioni di una famiglia più “convenzionale”. Racconto di rara sensibilità quello di Troccoli, giocato tutto sul binomio del mare della memoria, mare che scorre incessante e mutevole, e ghiaccio polare, simbolo dell’immobilità della percezione nonché emblema dell’attesa fredda e pura di un messaggio finale.

La terza parte nonché quella conclusiva dell’Antologia, dal titolo “Abissi”, ci immerge invece in atmosfere forse più crude ma non meno evocative e originali. Il racconto di Simonetta Santamaria, “Senza colore e senza calore”, è uno spietato e feroce affresco che coniuga sapientemente bestialità umana a feralità mitologica. Le perverse e sanguinose attività ricreative di un gruppo di “Yuppies” milanesi in crociera agisce in parallelo con la ferinità subacquea di mostruose creature abissali frutto di incroci inter-specie, dedite alla caccia e alla nutrizione. L’orrore e la crudezza degli umani in crociera agisce in parallelo con la ferocia, forse più pura, degli abissi equorei. La violenza di superficie pare solo apparentemente superare in aberrazione quella mostruosa del popolo degli abissi, ma alla fine viene da questa sconfitta, la sua colpa amorale cancellata dalla legge fredda e onesta di una natura selvaggia. Il racconto della brava scrittrice partenopea è un racconto che racchiude una morale dura ma onesta che si può riassumere nell’allocuzione che Robert Ervin Howard mette in bocca a uno dei protagonisti del racconto “Beyond the Black River”: “La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la Barbarie, alla fine, trionferà…”.

“Nekton” di Paolo Agaraff è invece la storia di una discesa scientifica nelle profondità della fossa delle Marianne e di ciò che i due scienziati, fautori del progetto, vi ritrovano. Il racconto costituisce un delizioso omaggio al cinema di genere, nella fattispecie a The Abyss di James Cameron, anche se Agaraff preferisce concentrarsi sul tema del mare come “luogo del rimpianto” e del carico spesso fatalmente attrattivo del passato come luogo dell’oblio, piuttosto che sul messaggio “ecologista” e coralmente umanitario del film di Cameron. Non per questo “Nekton” risulta meno riuscito o meno imaginifico.

Concludiamo con il racconto di Massimo Mongai, “Le dimensioni dell’Abisso”, ironico omaggio alla Science Fiction di Frederic Brown e della sua scuola. Un bellicoso e militarista popolo alieno, braccato da altre specie per la sua compulsiva aggressività, raduna gli ultimi appartenenti alla propria specie (qualche milione) all’interno di una gigantesca astronave dotata di dispositivi potentissimi e di armi letali. Decide infine di invadere l’ultimo pianeta con il quale entra in contatto, la Terra appunto, e si inabissa nelle profondità del mare allo scopo di preparare l’aggressione finale… ma scopre a sue spese che le dimensioni sono importanti al fine di preparare un’invasione. Nella comica e al tempo stesso inquietante descrizione di un popolo alieno militarista e colonizzatore, dotato di una struttura sociale rigidamente piramidale, dove l’assassinio politico non solo viene accettato ma caldamente incoraggiato, ritroviamo le bizzarre e colorite descrizioni di popoli alieni di scrittori come Jack Vance e non possiamo che considerare il comico e surreale “finale a sorpresa” come una strizzata d’occhio alla narrativa del maestro statunitense.

Completa il volume una serie di accurate note bio-bibliografiche sulla vita e l’opera dei vari autori, acclusa alla fine di ogni racconto.

Bibliografia:
Tim Underwood e Chuck Miller (a cura di), L’Orrore secondo Stephen King, Mondadori, 1999
AA.VV., Le Ali della Fantasia, Marino Solfanelli 1981
AA.VV., Racconti Fantastici del ’900, Mondadori, 2009
AA.VV., Racconti di Tenebra, Newton & Compton, 1987


Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero
a cura di Alessandro Morbidelli
collana Germogli, L'orecchio di Van Gogh, 2010
brossura, 275 pagine, €15.00
ISBN 9788887487879

Mariano D’Anza

lunedì 21 marzo 2011

La mezzanotte weird di Radio3

Il racconto di mezzanotte, logo“Finalmente potrà vedere la testa di Medusa, quella vera recisa dalla spada di Perseo, ma senza il rischio di essere trasformato in pietra perché quel vecchio dal pallore mortale, dalla postura eretta, con i lineamenti raggrinziti come avorio scolpito, con quei capelli riccioluti e lunghi, gli occhi fiammeggianti, così simile a Caronte, gli ha garantito che lui sa cosa si deve fare”.

Questa la presentazione de La Gorgone di Clark Ashton Smith, breve adattamento radiofonico del racconto “The Gorgon” (apparso su Weird Tales nell’aprile del 1932), in onda alla mezzanotte di giovedì 24 marzo su Rai Radio3, con le voci di Alessandro Esposito e Carlo Ratti per la serie dei Racconti di Mezzanotte.

Già qualche tempo fa ci eravamo occupati della trasmissione radio della Rai, che per i suoi notturni appuntamenti con la narrativa breve aveva dato voce a un paio dei racconti di C.A. Smith con Il grande dio Auto e Il vino dell’Atlantide. Il tutto nel corso di un programma sempre più attento ai temi del fantastico, con la proposta di non pochi titoli di genere nei soli primi mesi di quest’anno.

Compresse nei dieci minuti circa di ogni singola serata, fra le riduzioni letterarie del palinsesto passato e prossimo dei Racconti di Mezzanotte troviamo opere decisamente weird come I ratti del cimitero e Con questi regali di Henry Kuttner, Casa Carver di Carl Jacobi o Ballata in nero di Charles Beaumont, oltre a storie di Robert W. Chambers, Mary Elizabeth Counselman e Harold Lawlor. Nomi d’epoca e contemporanei fra il weird tale e la fantascienza come Eando Binder, Emil Petaja, Gordon Dickson, William Nolan, Lewis Shiner e Richard Matheson, o ancora i più fantastici, sofisticati e letterari Giovanni Papini, Dino Buzzati, Leopoldo Lugones e Silvina Ocampo.

A fianco delle nuove produzioni, come riporta la pagina ufficiale del programma, “si ripropongono alcuni dei Racconti di mezzanotte trasmessi tra il 1979 e il 1987, trecento e più novelle gialle e noir, d'avventura e del mistero, lette e interpretate dalle voci più belle di quell’epoca radiofonica”.

Per maggiori informazioni, ma soprattutto per riascoltare o scaricare singolarmente tutte le puntate, rimandiamo alla homepage de I racconti di mezzanotte su www.radio3.rai.it.

Andrea Bonazzi

sabato 19 marzo 2011

Morfologia del licantropo: mito, leggenda e folklore

Poster per il film 'Van Helsing', 2004La credenza che un essere umano possa anche fisicamente trasformarsi in belva è antica e diffusa in tutto il mondo. Per limitarci alle sole tradizioni occidentali, la figura del licantropo viene talvolta confusa con gli elementi del vampirismo e della stregoneria, mantenendo in certo folklore alcuni retaggi del paganesimo, e persino d’una più antica adorazione totemica degli animali.

Altra considerazione è poi l’approccio al fenomeno quale mera malattia mentale: già nel II secolo il medico Galeno definiva la licantropia come “una forma di melanconia cerebrale”.

Il termine “licantropo” trova origine dal greco lykos, che significa lupo, unito ad anthropos, uomo, mentre “lupo mannaro” risale al latino lupus hominarius, cioè lupo come mangiatore d’uomini, oppure anche “simile all’uomo”. In inglese e nelle lingue germaniche, la parola werewolf si compone di wer, ovvero uomo (vir in latino) e wolf per lupo. Il francese loup-garou trova forse un’equivalenza fra garou e wer nel senso di uomo, attraverso più antichi termini quali warouls, warous o vairout.

La mitologia greca vede nella condanna divina le origini della trasformazione in licantropo, con l’esempio di Licaone, crudele re dell’Arcadia, che viene da Zeus tramutato in lupo per punizione del suo oltraggioso consumo di carne umana. Secondo certo folklore europeo, invece, per trovare un tale destino sarebbe sufficiente il nascere alla mezzanotte di Natale, addormentarsi a volto scoperto sotto la luna piena o altri simili incidenti, fino all’incorrere nella maledizione di una fattucchiera.

Lupo mannaro assale un cavaliere, xilografia medievaleSe non di origine ereditaria o di natura subìta, la licantropia può essere volontariamente ottenuta con mezzi magici. Come per il versipellis dell’epoca romana, così chiamato poiché si riteneva che il pelo del lupo gli crescesse verso l’interno del corpo, rivelandosi nella trasformazione come il rivoltarsi d’una pelliccia. Un tipico versipelle si trova nel Satyricon di Petronio Arbitro, già straordinariamente moderno nel riportare i più caratteristici luoghi comuni sul lupo mannaro.

Gli incantesimi necessari a un tale scopo possono comprendere l’uso di erbe, unguenti di macabra composizione, o la confezione di amuleti e oggetti speciali come cinture o vesti. Per i guerrieri nordici, che in nome di Odino si abbandonavano alla più folle esaltazione della battaglia, la trasmutazione metaforica in lupo, ulfhedinn, od orso, berserk, avveniva per mezzo di camicie fatte delle corrispettive pelli, indossate in luogo dell’armatura.

Altri fattori, in aggiunta al magico, sono l’idolatria del Maligno o il suo diretto intervento. Col diffondersi dei processi per stregoneria, nel XV secolo, crebbero infatti anche quelli per licantropia, proiettando sulle streghe il presunto potere, concesso dal diavolo, di mutarsi in forme animali.

Infine, la diffusione della licantropia può aver luogo per contagio, attraverso il morso del lupo mannaro secondo le più diffuse leggende (in realtà, assai più cinematografiche che popolari). La vittima sopravvissuta si troverà in questo caso soggetta alle fasi lunari, senza possibilità di controllo sulle proprie metamorfosi durante le notti di plenilunio, soprattutto nelle fasi iniziali della sua nuova soprannaturale carriera.

Uomo lupo in un bestiario del XV secoloNella trasformazione, il corpo del licantropo si ricopre di pelo sino al palmo delle mani, gli occhi si fanno rossi e ardenti, la voce diventa un ringhio gutturale e il soggetto tende a perdere la postura bipede eretta. Sia nella completa forma fisica di lupo che in una condizione ibrida fra questa e la conformazione umana, l’udito, la vista e l’olfatto si fanno più acuti, e l’uomo lupo acquisisce tutti i sensi e le abilità del predatore.

A queste caratteristiche si aggiunge una straordinaria capacità rigenerativa, che gli permette di guarire da ferite e lesioni con estrema e innaturale rapidità. Tornato in sé nella sua forma diurna, egli non serberà solitamente memoria delle proprie azioni, ritrovando però sul proprio corpo ogni residua grave ferita subita nel corso del suo stato mannaro.

Vi sono alcuni segni esteriori che, tradizionalmente, indicano la licantropia nelle persone: i peli sul palmo delle mani sono uno dei più tipici, insieme alle sopracciglia unite e all’insolita lunghezza del dito anulare. Alcuni animali, come i cani o i cavalli, non sopportano la vicinanza dei licantropi, in qualunque forma essi siano, e reagiscono con terrore alla loro presenza.

Le capacità di guarigione del licantropo sono forse all’origine della diceria che lo vuole invulnerabile alle armi comuni, argomento controverso fra le diverse fonti. Per uccidere uno di questi esseri, il metodo più classico è l’utilizzo di lame o proiettili in argento, elemento puro e fortemente simbolico, introdotto nel mito probabilmente da fonti cristiane. Metallo, tuttavia, troppo tenero per essere forgiato in efficaci strumenti di offesa: una pallottola d’argento, per esempio, troverebbe ben scarso impatto e penetrazione a una normale distanza di tiro. Altri sistemi sono la decapitazione e la privazione del cuore, procedure altamente consigliabili ad applicarsi anche dopo una canonica uccisione tramite argenteria, avendo poi cura di dare alle fiamme i resti della creatura come ulteriore margine di sicurezza.
Locandina del film 'The Wolf Man', 1941
Che il lupo mannaro sia soggetto agli esorcismi, o all’esibizione di simboli sacri come nel caso del vampiro, resta un’ipotesi assai dubbia. Benché non si escluda che esemplari d’inclinazione particolarmente religiosa possano risultare sensibili a tali espedienti. Esistono, piuttosto, alcuni tipi di piante ed erbe cui si attribuiscono caratteri protettivi contro il cosiddetto “mal di luna”, o persino il potere di mantenere gli uomini lupo a distanza. Tra queste il vischio, il frassino, e l’aconito o “luparia”.

“Anche l’uomo che ha puro il suo cuore
E ogni giorno si raccoglie in preghiera
Può diventar lupo, se fiorisce l’aconito
E la luna piena risplende la sera”

(Versi dal film L’uomo lupo, versione italiana di The Wolf Man, 1941)

Andrea Bonazzi

(pubblicato in origine su HorrorMagazine il 22/03/05)

mercoledì 16 marzo 2011

Dizionario dei luoghi fantastici

Dizionario dei luoghi fantastici, 2011, copertinaPubblicato originariamente nel 1980, ed espanso in due riprese nel 1987 e ’99, il Dictionary of Imaginary Places ebbe un’edizione italiana solo nel 1982, presso Rizzoli, stabilendosi come punto di riferimento e di consultazione per una toponomastica dell’immaginario non solo d’estrazione letteraria.

A quasi tre decenni di distanza, il Dizionario dei luoghi fantastici di Alberto Manguel e Gianni Guadalupi trova finalmente un’edizione nuova, aggiornata e ampliata ai suoi definitivi contenuti, nella traduzione di Ilaria Rizzato e Licia Brustolin per la casa editrice Archinto.

Il volume si arricchisce delle illustrazioni originali di Graham Greenfield e di Eric Beddows, oltre alle mappe e carte di James Cook, in quasi mille pagine di voci a copertura delle geografie fantastiche tra Arkham e la Terra di Mezzo, Atlantide e Utopia, il regno di Oz e Narnia. Un monumentale dizionario costretto a escludere, per meri motivi di spazio, soltanto i paradisi e gli inferni, i luoghi al di fuori della Terra e quelli del futuro.

“Il libro, edito per la prima volta nel 1980, piacque molto a Calvino,” riporta la nota editoriale. “Steso in forma di guida di viaggio, il Dizionario – ora riproposto in una versione aggiornata – descrive luoghi letterari immaginari come fossero davvero esistenti, e consente al lettore di orientarsi tra le geografie inventate dagli scrittori di ogni tempo. Un prezioso manuale per l’avventuriero della pagina scritta, corredato di dettagliate cartine e illustrazioni introvabili persino sui più attendibili atlanti ufficiali. Dalla città utopica alla selva infernale, ogni sorta di località fantastica è rappresentata in questo volume intriso d’ingegno ed erudizione, di humour e saggezza, che presenta con scherzosa sistematicità le immaginifiche finzioni topografiche di Calvino, Borges, Tolkien, Verne e molti altri”.

Informazioni presso la pagina web dell’editrice Archinto.

Dizionario dei luoghi fantastici
Alberto Manguel e Gianni Guadalupi
collana Lettere, Archinto, 2011
copertina rigida, 976 pagine, €50.00
ISBN 9788877685155

Andrea Bonazzi

lunedì 14 marzo 2011

Lovecraft in Famous Monsters of Filmland #255

Famous Monsters of Filmland #255, 2011, copertinaFondata da Forrest J Ackerman nel 1958, l’ormai leggendaria rivista statunitense ha una più che cinquantennale storia come punto di riferimento per gli appassionati del “cinema dei mostri”, in varie incarnazioni che hanno visto chiudere la testata originale nel 1983 per poi risorgere negli anni fra il 1993 e 2008 e, dopo la scomparsa di Ackerman, finalmente riprendere le uscite nella sua attuale incarnazione bimensile pubblicata dal 2010 per la Movieland Classics.

A cura di Jessie Lilley, Famous Monsters of Filmland #255 si annuncia disponibile da aprile con uno speciale Lovecraft Lives! dedicato all’opera di Howard Phillips Lovecraft, a partire dalla splendida copertina originale di Bob Eggleton direttamente ispirata ad At the Mountains of Madness – complice, di certo, l’atteso e in apparenza imminente kolossal per adulti in cui Guillermo Del Toro avrebbe dovuto trasporre l’omonima novella sul 3D del grande schermo, e che i contabili della Universal Pictures hanno abortito, appena di recente, rifiutando di finanziarne gli alti costi a meno di non ridurlo a “film per tutti”. Passino violenze e orrori, ma l’ateismo sottinteso della storia non è cosa per i tredicenni americani!

Sull’ultimo numero di Famous Monsters of Filmland, ai contenuti abituali horror e fantastici si affiancherà dunque uno sguardo in retrospettiva sul Gentiluomo di Providence, sulla sua narrativa e i numerosi film da essa tratti o derivati inclusa un’occhiata a Pickman’s Model, prossima produzione originale targata Imagi-Movies, il tutto con interventi e articoli a firma di Charles Coulombe, Brad Linaweaver e Ron Garmon.

Informazioni e ordini presso le pagine web ufficiali del magazine.

Famous Monsters of Filmland #255
Lovecraft Lives!
Movieland Classics LLC, May/June 2011
fascicolo, stampa a colori, 80 pagine, $9.99

Andrea Bonazzi

sabato 12 marzo 2011

Peter & Chris. I Dioscuri della notte

Peter & Chris. I Dioscuri della notte, 2010, copertinaCome cominciare a presentarvi il nuovo libro che ha costituito la mia lettura privilegiata degli ultimi giorni? Sarebbe possibile, innanzitutto, esordire definendolo “un saggio che si legge come fosse un romanzo”, se non me ne dovesse derivare qualche scrupolo. Potrebbe, difatti, essere controproducente: io stesso, se mi imbattessi da qualche parte in un’affermazione di questo genere, con il mio carattere un po’ sospettoso sarei indotto a dubitare fin dal principio sull’effettiva qualità di quanto si va recensendo.

Del resto, se di saggio si tratta parrebbe quantomeno ambiguo non applicarvi soprattutto le categorie interpretative relative alla saggistica, che dovrebbero privilegiare in primissimo luogo il rigore, la forza argomentativa, la profondità di pensiero e solo in seconda istanza la piacevolezza nel raccontare e fors’anche l’eleganza formale nell’esporre. In tal senso – se di saggio si deve parlare – a rigor di logica si dovrebbe iniziare a discutere principalmente del contenuto, e sarebbe essenzialmente su di esso che si dovrebbero dirigere in primis i vari strumenti della valutazione.

Nondimeno, nonostante quanto appena detto, e nonostante i dubbi che potrei legittimamente suscitare nei benevoli lettori che mi vorranno accompagnare in questa discussione, vorrei arrischiarmi lo stesso a principiare proprio con un’affermazione analoga alla suddetta nei confronti dell’ultimo lavoro di Franco Pezzini e Angelica Tintori, Peter & Chris. I Dioscuri della notte: si tratta di un saggio che si legge con il medesimo piacere che potrebbe procurare un (buon) romanzo. È vero, infatti, che talvolta anche le frasi più inflazionate contengono un nucleo cruciale di verità; mi pare significativo, perciò, sottolineare come appunto nel caso presente uno dei punti di forza dello studio degli autori sia in particolare la sua virtuosistica e profondissima capacità di coinvolgerci anche a livello stilistico (e quindi, alla fine dei conti, emotivo).

Non nuovi a esaltanti cavalcate letterario-cinematografiche (loro l’eccellente saggio sul cinema vampirico The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo, sempre per i tipi della Gargoyle Books) la coppia di saggisti fin dal principio ci prende metaforicamente per mano guidandoci attraverso le porte del passato e dell’immaginazione, per condurci a visitare i luoghi sia geografici che immaginari che mentali ove si sono sviluppati alcuni dei più grandi miti contemporanei del cinema di genere. Una sorta di mappatura di un sottouniverso – principalmente quello dell’horror britannico degli anni 60 e 70 – attraverso le vite parallele dei due (è il caso di dirlo) “mostri sacri” di questo periodo, almeno nel Regno Unito, vale a dire Peter Cushing e Christopher Lee.

Tutto questo per mezzo di un piglio preciso e denso di informazioni, giudizi critici, relazioni sui fatti e valutazioni sociologiche e psicologiche. Costantemente garbata – pervasa, ove fosse necessario, da una simpatica e coinvolgente ironia sdrammatizzante senza però trascurare la necessaria messe di dati, riferimenti, personaggi, citazioni –, l’elegante voce che pervade tutta la trattazione raccontando la vita e le opere dei due attori è un po’ il filo rosso che le conferisce non solo piacevolezza, ma soprattutto unitarietà e autorevolezza.

Peter Cushing e Christopher Lee, fotoTutto il materiale documentario proposto ai lettori a sostegno delle argomentazioni scivola via con estrema leggerezza grazie alla capacità scrittoria degli autori, senza appesantire lo sviluppo dei ragionamenti e pur tuttavia cementandosi a livello profondo come il necessario puntello e pilastro che consente all’intera impalcatura saggistica di restare in piedi. Non un sintomo di superficialità questo, quindi, quanto la prova di una profondissima capacità da parte degli autori di coniugare forma e sostanza nel modo più armonico, fluente e insieme coeso che sia possibile. Potrebbero sembrare doti da poco, o sottintese a qualsiasi saggio di buona fattura, ma basta guardarsi intorno – e leggere – per rendersi conto di come siano invece qualità rare, purtroppo spesso neglette da larga parte degli studiosi odierni.

A partire da questa osservazione formale che mi pareva estremamente importante rimarcare in partenza alla presente nota, l’oggetto dello studio in esame è dedicato con grandissima attenzione a ripercorrere passo passo (scena per scena, addirittura) la carriera del “Team” o dei “Dioscuri” – come vengono definiti i due attori per il loro leggendario legame sia lavorativo che umano. Cushing e Lee vengono così giustamente individuati nella loro complementarità sia fisica che psicologica, non solo attraverso l’ovvia contrapposizione scenica che li ha visti spessissimo nelle vesti di avversari (il ruolo forse più celebre, come tutti sapranno, quello di Van Helsing/Cushing contro Dracula/Lee), ma anche attraverso la loro intima amicizia personale; tramite l’evolversi delle rispettive carriere il libro percorre le tappe salienti dell’esistenza di due figure che vivranno nel segno dell’acquisizione di una personalità mitica nell’immaginario dei fan, tale da trascendere molto spesso persino l’altissima qualità delle rispettive interpretazioni.

In altre parole, se il saggio inizia a presentare i personaggi fin dagli anni della giovinezza e della formazione, mostrandoci le fasi fondamentali della loro vita dalla nascita all’avvio della loro carriera, il cuore della trattazione è dedicato al loro incontro e sodalizio professionale che culminerà nella partecipazione in comune a numerosi capolavori, e nel complesso a ben ventidue pellicole (più o meno rilevanti).

Quello che viene messo in luce in modo particolarmente interessante, però, è come – raggiunta l’acme delle rispettive potenzialità fisiche e attoriali – la semplice presenza in un film di uno dei due attori, quando non di tutti e due, diverrà in grado di alludere a un sottotesto leggendario prima in formazione e successivamente pienamente consolidato, una vera e propria scuola inconfondibile, quella improntata al lavoro della mitica casa di produzione Hammer e degli studios a essa affini. La presenza di Cushing o di Lee, già di per sé marchio di fabbrica di un certo modo di fare cinema, diverrà tale da evidenziare – quasi per antonomasia – diverse tipologie di recitazione (quando non dello stesso genere Fantastico), pur sempre segnate da elevatissimo grado di professionalità e interesse.

Christopher Lee e Peter Cushing, fotoSe Cushing sarà l’emblema dell’algido, razionale e ascetico uomo di scienza intento a debellare le forze del male nelle pellicole per la regia di Terence Fisher (ma non solo), successivamente sarà anche la maschera dell’uomo tormentato, quella dell’eroe ambiguo che presenta inquietanti risvolti di debolezza e/o condiscendenza con l’oscurità, o ancora di colui che talora ne incarna a sua volta un’insinuante maschera (statisticamente un po’ meno rari, sono presenti – infatti – anche ruoli da villain per l’attore: leggendario il suo Barone Frankenstein, in particolare).

Lee sarà viceversa per la maggior parte dei casi il malvagio per eccellenza, tanto da diventare una delle facce più note del Dracula cinematografico, che interpreterà più di sette volte solo nel ciclo Hammer, oltre che il volto di numerosissimi altri mostri quali – ovviamente – la Creatura di Frankenstein e la Mummia. Ancora più numerose saranno, invece, le sue performances come “semplice” vampiro dalle più diverse identità, derivazioni e origini. Cattivo, si, ma a 360 gradi: e infatti l’attore rivestirà anche numerosi altri ruoli da villain, tutti però caratterizzati da un’estrema versatilità attoriale, dal suo celebre sguardo magnetico e penetrante, da una presenza scenica imponente e inconfondibile. Senza dimenticare come – specularmente all’amico – pure Lee si ritroverà talora a giocare in campo avversario interpretando anche dei “buoni” di notevole spessore.

Pezzini e Tintori non ci risparmiano giustamente nulla e nella loro puntuale e precisa disamina, le vicende biografiche dei due attori prendono vita e sono individuate come il trampolino di partenza per la costruzione di figure iconiche che trascenderanno la semplice esistenza fisica, che restano e resteranno in ognuno di noi, molto spesso incrociandosi con le storie umane e artistiche di numerose altre star indiscusse (citerò qui soltanto due delle fondamentali: John Carradine e soprattutto il grandissimo Vincent Price; con essi la Coppia lavorerà diverse volte, sia insieme che separatamente). E tutto questo senza mai negare la rispettiva umanissima personalità di Lee e Cushing nelle rispettive prove e difficoltà della vita di tutti i giorni, nonché l’assoluta saldezza del loro affetto amicale, alla quale componente si dedica il necessario spazio come obbligatorio contraltare della dimensione mitologica che viene analizzata in campo lavorativo.

Per chi come il sottoscritto, per ragioni meramente anagrafiche, non abbia fatto in tempo a vivere personalmente l’esaltante epopea Hammer & C. e abbia potuto goderne soltanto in maniera parziale e indiretta, il saggio dei Nostri riveste un’altra indubbia ragione di importanza, che gli conferisce un notevolissimo valore aggiunto. Esso costituisce, infatti, una sorta di guida e manuale di fruizione per numerosissimi film che – magari un po’ negletti o difficilmente reperibili sui circuiti tradizionali – possono essere riscoperti, contestualizzati e valutati attentamente alla luce della precisa indicazione dei punti di forza e di debolezza che ne hanno caratterizzato la lavorazione e l’esecuzione.

Lee e Cushing in 'The Gorgon', 1964Se si parte, infatti, dai celeberrimi monster movies che riprendono e reinterpretano in chiave innovativa quelli della statunitense Universal, quali The Curse of Frankenstein, Horror of Dracula, The Mummy (con tutti i necessari sequels delle rispettive famiglie, fra i quali vale la pena di citare in questa sede almeno Dracula, Prince of Darkness, poi Dracula A.D. 1972 e infine The Satanic Rites of Dracula per la presenza congiunta del Tandem), non manca un ampio spazio per un goticizzato e ispiratissimo The Hound of Baskervilles, dedicato a una versione in salsa Hammer del più noto romanzo del Detective di Baker Street. Oppure, si pensi ancora all’eccellente adattamento de Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di R.L. Stevenson dal titolo I, Monster. Ma, come si diceva, risulta forse ancora più curiosa e intrigante da seguire la trattazione che gli autori fanno di alcuni titoli un pochino meno noti ma di indubbio interesse, come The Gorgon, il film a episodi Dr. Terror’s House of Horrors, The Skull, The Creeping Flesh o ancora la commedia nera House of the Long Shadows che rappresenta l’ultima collaborazione importante fianco a fianco di Lee e Cushing.

In tal senso, numerosi lavori che personalmente non conoscevo sono entrati (ed entreranno) nel mio orizzonte culturale (e suppongo non solo nel mio) grazie alla presentazione dei saggisti. Di alcuni di essi ho già preso visione, grazie all’utilissimo strumento di YouTube, e non posso che concordare sulle opinioni sagge e razionali proposte nel presente volume.

Ecco, quindi, che anche grazie ai nostri studiosi le imprese cinematografiche di Lee e Cushing possono avere una rinnovata diffusione e una più ampia conoscenza al di là dei suddetti grandi capolavori (quelli per intenderci con i “mostri” classici del gotico), anche attraverso la visione di film cosiddetti “minori”, con l’unico peccato originale di un basso budget di lavorazione e di ridotti mezzi produttivi (se mai si tratta di una colpa e non di un pregio, in quanto il low cost nel fantastico ha sempre fatto molto bene, consentendo di lavorare più sulla suggestione del non visto che sulla facile spettacolarità dell’effetto speciale, o effettaccio che sia). E penso che, da un certo punto di vista, non si potrebbe fare a Pezzini e Tintori complimento migliore di questo: aver contribuito tramite la loro scrittura e la loro analisi non solo alla migliore comprensione di un fenomeno epocale nella storia artistica del Novecento, ma anche al rinfocolarsi del desiderio di conoscere meglio e più estesamente la sterminata filmografia di Cushing e Lee.

Lee e Cushing in 'Dr. Terror's House of Horrors', 1965Ma dal momento che la perfezione non è di questo mondo e che non sarebbe bene attirarmi sospetti di acriticità, parrebbe il caso di dover almeno cercare di individuare anche quali possano essere le manchevolezze, i fraintendimenti, le inopportune indulgenze, gli errori del saggio in esame. Il problema principale in quest’ottica (e c’è poco da fare in proposito – per fortuna) è che anche a ben cercare con una disamina lunga e scrupolosa, temo che il libro si ritroverebbe candidamente carente di mende e magagne di sorta, sia pure passato al vaglio particolarmente bilioso e livoroso di un qualsiasi recensore severo e arcigno. Figurarsi dinanzi al mio sguardo benevolo ed entusiasta!

Qualora dovessi proprio indicare un difetto essenziale dell’opera, tuttavia, penso che esso potrebbe essere individuato principalmente nell’assenza di un’appendice bio-biblio-filmografica circa il percorso biografico e l’attività completa dei due “Dioscuri della notte”, cosa che avrebbe costituito senz’altro l’eccellente coronamento, la ciliegina sulla torta – per così dire – del grossissimo lavoro svolto.

Se per rimarcare il mio apprezzamento a coronamento del discorso finora svolto e a mo’ di congedo finale dal presente articolo dovessi infine evidenziarne una finezza particolarmente piacevole, sia pure magari a un livello più frivolo, mi parrebbe il caso di ricordare senz’altro un’arguzia tipica di Pezzini e Tintori (già presente, peraltro, nei libri precedenti dei due), vale a dire il sapiente e capace uso di straordinari titoli e sottotitoli. Essi demarcano con gli ovvi fini pratici del caso l’andamento del susseguirsi dei capitoli, sempre nel segno del citazionismo più cinefilo e divertente tramite variazioni, giochi di parole e calembours, o in quello della battuta scherzosa, garbata e divertente. Per fare solo qualche esempio, eccone alcuni particolarmente sapidi e gustosi: “Megera e le sue sorelle (3.3.3)”, “Il mio nome è Sade, Marchese de Sade (4.3)”, “Il fascino discreto dell’autopsia (5.2.2)”, “L’ultimo uomo-demone del Pleistocene (5.4)”, e tanti altri.

Se non si fosse ancora capito fino a questo punto, quindi, la cinefilia è una malattia bellissima ma alquanto pervicace: quando ce l’hai nel sangue, è praticamente impossibile attenuarla o guarirne (e del resto, perché farlo?). Soprattutto, sfrutta tanti modi diversi di manifestarsi, è fortemente contagiosa e deve trovare uno sfogo.

Uno dei metodi per incanalare tutti questi effetti senza danno – e anzi procurandosi invece giovamento e vantaggio – è scrivere libri brillanti e interessanti (e appunto cinefili) quali Peter & Chris. I Dioscuri della notte. Come pure leggerli... Enjoy!

Peter & Chris. I Dioscuri della notte
Franco Pezzini e Angelica Tintori
Gargoyle Books, 2010
brossura, illustrato, 448 pagine, €16.00
ISBN 9788889541500

Umberto Sisia

giovedì 10 marzo 2011

Lovecraft: Teoria dell’Orrore, una recensione

“I rapporti fra uomini non stimolano la mia fantasia. Semmai è il rapporto dell’uomo con il cosmo, con l’ignoto, che solo riesce ad accendere in me la scintilla dell’immaginazione creatrice. Il punto di vista antropocentrico mi riesce insopportabile, perché non posso condividerne la primitiva miopia che esalta il mondo trascurando ciò che vi sta dietro. Il mio piacere è la meraviglia, l’inesplorato, l’inaspettato, ciò che è nascosto e quell’alcunchè d’immutabile che si cela dietro l’apparente mutevolezza delle cose. Rintracciare quel ch’è remoto nel vicino; l’eterno nell’effimero; il passato nel presente; l’infinito nel finito; queste sono le fonti del mio piacere e di ciò che io chiamo bellezza”. (H.P. Lovecraft, “In Difesa di Dagon”, 1921)

Howard Phillips Lovecraft, fotoNelle vesti di critico e di teorico letterario, non meno che in quelle di straordinario narratore dell’orrore, H.P. Lovecraft non sarà mai lodato abbastanza. Basti citare il suo fondamentale “Supernatural Horror in Literature”, il primo vero studio sulla narrativa dell’horror e del mistero che sia mai stato scritto – ancora oggi una pietra miliare nel suo genere e manifesto, mai come oggi così attuale, delle inquietudini del terrore in letteratura – per rendercene conto.

Ma Lovecraft ha scritto anche tutta una serie di sue brillanti argomentazioni sulla materia presa in oggetto, l’horror e il fantastico (materia eterea, irreale, da cui nascono tutte le fantasie...) e in particolare il cosmic horror che è al centro della sua poetica, e le sue interpretazioni hanno anticipato quelle di noti critici e teorizzatori del genere come Tolkien, Borges e Caillois, con il fantastico inteso come alternativa o Mondo Secondario (“secondary world”) e il soprannaturale visto quale interruzione e violazione delle Leggi naturali che dominano la Realtà.

Tutti questi straordinari saggi, utilissimi per indagare la filosofia alla base dell’opera dello scrittore, la sua estetica dell’orrore, e le pulsioni recondite da cui questo scaturisce, sono ora stati raccolti, per la prima volta al mondo (e per una volta tanto il vanto è tutto italiano) nel nuovissimo Teoria dell’Orrore. Tutti gli scritti critici di H.P. Lovecraft (Edizioni Bietti, 2011, pp. 560, €24.00), volume a cura del noto esperto e specialista Gianfranco de Turris, e con una Introduzione di S.T. Joshi, massima autorità su vita e opere del Maestro dell’Incubo.

In verità, non è un libro e un lavoro fatto ex novo, in quanto i saggi di Lovecraft sulla Letteratura fantastica sono già stati raccolti in precedenza, sempre da G. de Turris, una prima volta – in edizione però pressoché incompleta – in In difesa di Dagon e altri saggi sul fantastico (SugarCo, 1994, pp. 202) e poi in volume pubblicato da Castelvecchi (2001, pp. 272) omonimo del presente.

Questa che segnaliamo è quindi (come si legge nel frontespizio interno) una “Terza edizione riveduta, corretta, aggiornata ed ampliata” ma si presenta a tutti gli effetti come un’opera nuova per una serie di ragioni, in primis le circa 200 pagine di materiale nuovo che ne giustifica la mole e l’acquisto. Per non parlare di tutti gli aggiornamenti, le correzioni, le decine e decine di annotazioni in più, ecc., rispetto alle precedenti versioni. Sicuramente si tratta della compilazione definitiva di questo genere, un’opera di seminale importanza che aiuta a decifrare uno scrittore che è stato capace di aprire squarci nel banale quotidiano e di gettare nuovi semi e idee in un campo (oggi minato qual è quello del fantastico letterario) che di semi e idee fruttifere ne ha finora visti pochi.

In questo senso, quella attuata consapevolmente da Lovecraft, nella narrativa e soprattutto nei saggi, è stata una vera e propria “rivoluzione Copernicana” (per usare la bella definizione di Fritz Leiber), un matrice e un mezzo attraverso cui far emergere il suo più profondo pensiero e la sua immensa, assoluta, quasi metafisica (seppure saldamente materialistica e agnostica) “visione delle cose”.

Teoria dell’Orrore, 2011, copertinaA differenza di Poe, Lovecraft colloca l’orrore nel “vasto spazio esterno”, nell’insondabile e profondo Ignoto, e la sua concezione dell’incubo è frutto di tre capisaldi: 1) anzitutto “l’Ignoto”, appunto, inteso come il versante più tenebroso del fantastico; 2) poi “l’atmosfera”, frutto di allusioni a forze estranee e ostili; 3) il punto di vista “cosmico”; 4) infine la “sospensione della realtà”, intesa come sconfitta di ogni legge di natura. Su questi quattro principî Lovecraft edificherà il suo personalissimo percorso, di uomo e di narratore.

Questi saggi sono quindi di vitale interesse e di valore durevole, dando materia alla materia stessa di cui sono fatti i sogni...

Gli scritti sono presentati in modo organico, con un accurato apparato critico di contorno che ne spiega genesi, evoluzione ed importanza. Fondamentale tra questi documenti è naturalmente “L’Orrore sovrannaturale nella Letteratura”, il saggio più importante scritto da HPL, che lo scrittore aggiornò continuamente e costantemente nel corso della sua vita. Quella che qui si è tradotta (unica versione italiana completa, annotata e prefata) è l’ultima sua revisione, del 1936. Lovecraft vi traccia una vera e propria genealogia dell’orrore, che partendo dai primi esempi del genere gotico, attraversando Edgar Allan Poe e Lord Dunsany (due suoi numi tutelari), arriva fino ai Maestri moderni. Un excursus critico-storico che non ha precedenti né rivali in campo critico. Le “fortune” di questo saggio, del resto, sono ampiamente documentate all’interno dal compianto Claudio De Nardi (scomparso mentre questo libro era in corso di stampa) in un bell’intervento, “Storia e Fortuna de L’Orrore Sovrannatutale nella Letteratura”, che introduce alla perfezione quello che Gianfranco de Turris ha giustamente definito “un testo fondamentale nella storia delle teorie del fantastico” (p. 17).

Seguono altri testi critici, di minore portata ma non meno significativi. Il più stimolante tra questi è sicuramente un gruppo di interventi scritti nel 1921, che poi sono stati riuniti dal grande S.T. Joshi sotto il titolo generale di “In Difesa di Dagon”. Si tratta di una serie di ampie e articolate riflessioni in cui Lovecraft difendeva filosofia, gusto estetico e tecniche narrative alla base dei suoi primi racconti, e, più in generale, l’originalità del suo modo di intendere e di vedere il fantastico.

Vengono quindi raccolti una serie di interventi su alcuni temi generali della narrativa fantastica intesa nella sua accezione più ampia: ecco, dunque, uno scritto sul mondo magico e fiabesco (“Sulle Fate”), uno sulla fantascienza (“Alcuni appunti sulla narrativa interplanetaria”), e un paio dedicati più specificatamente alla letteratura horror e weird (“Note su come scrivere racconti fantastici” e “Osservazioni sulla narrativa fantastica”), che insieme costituiscono una guida inestimabile ai principî di Lovecraft e ai suoi metodi di scrittura narrativa.

Infine, trovano posto una serie di profili critici e biografici su alcuni importanti autori del passato, o contemporanei di Lovecraft, che nella forma del saggio breve uniscono memorie e ricordi personali all’analisi critica dell’opera dell’autore. Tra essi spiccano “Lord Dunsany e la sua opera” (1922), e “I romanzi fantastici di William Hope Hodgson” (1934); ma non sono da meno le osservazioni e i ricordi di HPL su Robert E. Howard, Clark Ashton Smith e Henry Whitehead, che proprio grazie al peso dell’apprezzamento di Lovecraft sono assurti essi stessi al rango di Maestri del fantastico.

Dicevamo all’inizio del materiale inedito che arricchisce questa bellissima edizione (che si presenta un must anche sotto il profilo visivo e “tattile”, unendo al rigore e alla sobrietà della veste grafica la limpidezza dei fonts e un perfetto design, interno ed esterno, che rende il volume un piccolo gioiellino di cura editoriale), che recupera innanzitutto una curiosa lista di Lovecraft, “Le mie storie dell’orrore preferite”, tratta da un raro numero del 1934 di The Fantasy Fan; ma la vera novità, una primizia per l’Italia, è qui rappresentata dalle “Trame di racconti fantastici” (“Weird Story Plots”), cioè i sunti da lui preparati dei classici dell’horror che vanno da Poe a Blackwood, da M.R. James a R.W. Chambers, H.H. Ewers, ecc. – senza tralasciare grandi storie dimenticate di W. Elwyn Backus, Leonard Cline, Paul Suter e altri. Lovecraft scrisse tali sunti per “identificare elementi e situazioni che universalmente contribuiscono a creare le suggestioni e a dare efficacia in un racconto dell’orrore”.

Nella parte conclusiva di questa edizione ampliata di Teoria dell’Orrore troviamo infine le “Lettere sull’immaginario” di Lovecraft, una serie di corposi (e inediti) brani estratti dal suo epistolario inerenti la letteratura fantastica e dintorni, ma non solo (giacchè, come ci ricorda de Turris, “Lovecraft non era semplicemente un appassionato ed un autore del fantastico, ma aveva alle spalle un retroterra che si rifletteva su questa sua passione specifica”), il tutto con l’aggiunta di diverse note esplicative, indicazioni bio-bibliografiche, ecc.

Ciò che emerge fuori, a lettura conclusa, è l’enorme passione che Lovecraft nutriva per il genere letterario da lui prescelto, un amore profondo, viscerale, sincero, ma anche analitico e, potremmo dire, “scientifico” nella sua continua analisi e dissezione della materia, opere, autori eccetera. Ma, più importante ancora, in quei saggi Lovecraft riesce a dare una base concreta alla sua filosofia, e a fornire una giustificazione alla scrittura del mistero mediante un’analisi sulla natura e il fascino della narrativa dell’orrore. L’enfasi viene posta sull’atmosfera, più che sulla trama, nella significativa distinzione (che sembra essersi persa nella narrativa horror odierna) tra il racconto genuinamente del mistero e il racconto di mera suspense psicologica.

E poi, fortemente significative, ci sono le sue riflessioni sulla terrificante posizione dell’uomo (infima) nei confronti del vasto universo, la difesa, etica ed estetica, del suo materialismo di natura meccanicista e, in generale, troviamo nei saggi le fondamenta su cui Lovecraft tratteggia in controluce la propria personalissima visione del mondo e della vita. Una lettura fondamentale, quindi, direi vitale per comprendere il pensiero di Howard Phillips Lovecraft, il più grande creatore d’incubi della storia, e anche per capire l’importanza e il significato del genere all’interno del canone letterario tout-court.

Ma, soprattutto, è una lettura indispensabile per avvertire anche noi “... quel raspare di ali nere” che s’agitano negli abissi più profondi dello spazio, e i misteri, le meraviglie e i portenti che si celano ai margini dell’universo a noi sconosciuto.

Pietro Guarriello

martedì 8 marzo 2011

Frank Belknap Long: un maestro del Weird in unico volume

Frank Belknap Long: Masters of the Weird Tale, 2011, copertinaIl prezzo è certamente esorbitante, ma si tratta della più ampia selezione mai assemblata della narrativa weird di Frank Belknap Long, il che merita senz’altro una segnalazione a dispetto del cronico languore delle nostre tasche.

Si tratta di Frank Belknap Long: Masters of the Weird Tale, opera monumentale – anche in dimensioni, visto il grande formato per circa 1.100 pagine – edita dall’americana Centipede Press nella stessa collana dedicata ai maestri del genere che ha già ospitato omaggi ad Algernon Blackwood e H.P. Lovecraft.

Curata da John Pelan, che pure firma l’introduzione del volume, la raccolta comprende i classici fantastici e horror dello scrittore newyorkese scomparso nel 1994, in 66 titoli insieme alle sue storie meno note, molte delle quali riproposte per la prima volta in questa sede a più di mezzo secolo dalla loro pubblicazione originale su rivista.

Illustrazioni di Harry Clarke, Hannes Bok, Virgil Finlay e Lee Brown Coye, oltre alle tavole originali di Allen Koszowski, Randy Broecker, Gwabryel e Ben Baldwin, accompagnano una ricca iconografia a colori e in bianco e nero di copertine d’epoca e foto dell’autore, per una edizione limitata di 200 copie in cofanetto firmate dal curatore e alcuni degli artisti.

Informazioni e ordini presso la pagina ufficiale di Centipede Press. Qui di seguito, il lungo sommario dei racconti e romanzi brevi di F.B. Long riuniti in questo libro.

Second Night Out
He Came at Dusk
Dark Vision
In the Lair of the Space Monsters
A Visitor from Egypt
Death-Waters
The Space-Eaters
Woodland Burial
The Horror in the Hold
The Eye Above the Mantel
The Man with a Thousand Legs
The Black Druid
In the Tomb of Semenses
The Dark Beasts
The Dog-Eared God
The Snake God Kills
The Man Who Died Twice
The Horror from the Hills
Lover in the Wilwood
Dr Whitlock’s Price
Fisherman’s Luck
Cottage Tenant
The Horror at Cut-Off Cove
It Will Come to You
A Dangerous Experiment
Dark Awakening
Grab Bags Are Dangerous
The Hounds of Tindalos
Carnival of Crawling Doom
The Desert Lich
The Elemental
The Red Fetish
The Malignant Invader

Rehearsal Night
Johnny on the Spot
The Autumn Visitors
The Brain-Eaters
The Infants from Hell
To Follow Knowledge
Problem Child
The Creeper in Darkness
Return of the Undead
The Devil God
You Can’t Kill a Ghost
Diploma Time
Black Demons Dance
The Ocean Leech
Step Into My Garden
Homecoming
Harvest of Death
The Sea Thing
The Refugees
The Were-Snake
Willie
A Guest in the House
When the Rains Came
A Stich in Time
The Flame Midget
Bridgehead
The Beast Helper
Courtship of the Vampire
The Golden Child
Census Taker
The Mississippi Saucer
Gateway to Forever
The Peeper


Frank Belknap Long: Masters of the Weird Tale
a cura di John Pelan
collana Masters of the Weird Tale, Centipede Press, 2011
copertina rigida in cofanetto, illustratzioni a colori, 1.100 pagine, $295.00
ISBN 9781933618715

Andrea Bonazzi

domenica 6 marzo 2011

Presentazione per Lovecraft a Milano

Teoria dell'orrore, presentazione
Un allettante appuntamento per gli studiosi e appassionati italiani del Gentiluomo di Providence è fissato il prossimo venerdì 11 marzo 2011 con la presentazione di Teoria dell'orrore. Tutti gli scritti critici di H.P. Lovecraft, alle ore 18:30 presso la Sala Bauer della Società Umanitaria in Via San Barnaba 48 a Milano.

Il giornalista Gianfranco de Turris, curatore del volume, e il filosofo della scienza Giulio Giorello parteciperanno all’incontro dedicato alla raccolta dei saggi lovecraftiani sul fantastico, appena pubblicata da Edizioni Bietti.

Dell’uscita di Teoria dell'orrore ci eravamo occupati solo di recente in queste pagine – e torneremo a farlo, a breve, con una recensione.

Per informazioni sull’evento: ufficio.stampa@edizionibietti.it.

Andrea Bonazzi