mercoledì 22 settembre 2010

Ombre. Alle origini delle “storie di fantasmi”

Foto spettrale d'epoca vittorianaLa paura del morto nelle religioni primitive (The Fear of the Dead in Primitive Religions, Londra, 1934), opera un pizzico meno conosciuta dell’autore del famoso Il ramo d’oro (The Golden Bough, Londra, 1911/1915), Sir James George Frazer, sostiene con dovizia di particolari l’ambiguità atavica diffusa fin dal Neolitico, in tutti i tempi e presso tutte le culture, del sempiterno oscillare dell’essere umano tra il desiderio di prosecuzione della vita nell’aldilà e il timore della riapparizione di un morto insoddisfatto nel mondo dei vivi.

Nelle tombe primitive, i nostri avi, depongono un morto imbellettato d’ocra rossa perché sembri vivo, fiori a invocare eterne primavere, armi e animali, spose e sposi di terracotta e granaglie da seminare per assicurargli ancora prosperità e amore, perché non venga a reclamarli alle porte dei vivi. E lo depongono in posizione fetale, col volto rivolto verso Est perché possa veder sorgere in eterno l’alba, nel ventre materno della Terra affinché essa lo possa partorire a nuova vita. Non ora. Non qui. Non tra chi morto non è. Così, lo legano, gli limano i denti, in alcuni casi gli asportano la mascella e ne inchiodano le membra nell’avello sepolcrale, trafiggendone la testa e il cuore. Perché non pensi di tornare, perché non ami più chi non gli è dato amare.

Più tardi, i Lucumoni etruschi metteranno guardie a sorvegliare le loro tombe. I Romani gli accorderanno periodi di tempo in cui poter invadere città e pagi.

Da che mondo è mondo, è risaputo, ciò che distingue l’uomo dalla belva è l’invidia, e i morti invidiano ai vivi la vita. Il fatto che nelle fiabe, nelle religioni primitive, nella mitologia e nell’epica arcaica realtà e sovrannaturale, vivi e morti siano naturalmente commisti fa pensare che le “storie di spettri” siano, con buona probabilità, antecedenti alla letteratura registrata. Sono infinite le leggende e i racconti di ogni paese che narrano di defunti tornati alla vita per esigere un tributo dai vivi.

L’aneddotica sui fantasmi spazia dal Libro di Giobbe IV, 12 (VI – IV sec. a.C.) alla Tragedia Greca da Eschilo in poi, dalla Patrologia Greca e Latina ai trattati morali e filosofici passando per le Cronache, dalle collazioni di leggende agli exempla, dalle raccolte di omelie e sermoni ai trattati di teologia, dalla poesia alla letteratura.

Anonimo: lo spettro di Bernadette Soubirous, 1890, foto

È arcinoto e stracitato (spesso male, attribuendolo allo zio) ciò che Plinio il Giovane (61 – 113 d.C.) scriveva all’amico Licinio Sura, mentre si accingeva a narrargli ciò che era accaduto a Curzio Rufo (una sorta di “detective dell’impossibile” ante litteram, mica un Romano della Suburra qualunque!):

“Igitur perquam velim scire, esse phantasmata et habere propriam figuram numenque aliquod putes an inania et vana ex metu nostro imaginem accipere. Ego ut esse credam in primis eo ducor, quod audio accidisse Curtio Rufo”.

[Dunque io avrei un vivissimo desiderio di sapere se tu pensi che i fantasmi esistano davvero e abbiano un loro proprio aspetto e una qualche capacità di azione, ovvero che, pure vanità inconsistenti, ricevano una figura soltanto dalla nostra paura. Io mi sento spinto a credere alla loro esistenza in primo luogo dall’episodio che sento dire essere capitato a Curzio Rufo (Epistularum Libri Decem – Liber VII – 27)].

E se il povero Curzio Rufo se la vide davvero brutta, peggio fu per il liberto del nostro Plinio, cui un fantasma coiffeur fece un taglio di capelli all’ultima moda:

“Est libertus mihi non illitteratus. Cum hoc minor frater eodem lecto quiescebat. Is visus est sibi cernere quendam in toro residentem, admoventemque capiti suo cultros, atque etiam ex ipso vertice amputantem capillos. Ubi illuxit, ipse circa verticem tonsus, capilli iacentes reperiuntur”.

[Ho un liberto fornito di una discreta cultura; egli una volta riposava nel medesimo letto con il fratello minore. Quest’ultimo ebbe l’impressione di vedere un individuo sedersi sul letto, avvicinargli al capo delle forbici e tagliargli anche i capelli sul culmine della testa. Quando spuntò il giorno si trovò che egli era schiomato attorno al culmine della testa e che i capelli erano là per terra (Epistularum Libri Decem – Liber VII – 27)].

E poi Tacito conferma che Curzio Rufo era predisposto a vedere phantasmata:

“Dum in oppido Adrumeto vacuis per medium diei porticibus secretus agitat, oblata ei species muliebris ultra modum humanum et audita est vox «tu es, Rufe, qui in hanc provinciam pro consule venies»”.

[Mentre un giorno, sull'ora del meriggio, se ne stava appartato sotto i portici deserti di Adrumeto, gli apparve una figura di donna d'aspetto sovrumano e così l'udì parlare: «Sarai tu, Rufo, a venire proconsole in questa provincia» (Annali XI – 21)]

Qualcosa di simile accade a Bruto col suo Cattivo Genio che, in sogno, lo ammonì “ci rivedremo a Filippi”. E ancora possiamo leggere di fantasmi dagli scritti di Cicerone a quelli di Orazio.

Illustrazione di JollyRottenIl Medioevo, in area nordica, vede intorno al 1200 un anonimo narrare di un’infestazione e una maledizione nella Grettir Saga (XIII – XIV sec.). E poi Chaucer, che nei Canterbury Tales riporta ben due storie ispirate a Cicerone e Valerio, e le Chroniques di Jean Froissart che ne contengono altre due, lunghe, e Boccaccio col suo “Nastagio degli Onesti” nella Quinta giornata del Decameron.

Durante il rinascimento e fino alla fine del XVII secolo la diffusione e la pratica di spagiria, alchimia e astrologia fecero sì che, già a metà del Seicento, la letteratura su questo tema fosse immensa e si basasse su un corpus di osservazioni, frutto di continue, approfondite e appassionate indagini, che fu la base sulla quale si svilupparono le ricerche su ciò che Arthur Koestler battezzò come il “paranormale”.

Dall’XI secolo in poi, una successione di intelletti formidabili si applicheranno a ricerche su ciò che oggi definiamo “sovrannaturale” fino a quando, intorno al 1650, il razionalismo cartesiano minò alle fondamenta le basi dottrinali della cosiddetta “Sapienza Occulta”.

Da Michele Psello, filosofo bizantino autore nel 1050 della celebre De Operatione Daemonum (Περì ενεργεìας δαιμüνων), una classificazione dei demoni, a Pietro Lombardo (c. 1100 – c. 1160) che accenna agli spiriti disincarnati nella seconda parte del Libri Quattuor Sententiarum scritto fra il 1150 e il 1152; da Roger Bacon (1240-1294) a John Bromyard, cancelliere dell’Università di Cambridge, con la Summa Praedicantium (1495); da Cornelio Agrippa (1466-1535) a Paracelso (1493-1541); da Girolamo Cardano (1500-1576) a Robert Fludd (1574-1637), medico e cavaliere rosa+croce, si arriva persino a scritti farneticanti di pazzi pervertiti come Sprenger e Kramer; e ancora Johann Wier (1515-1588), medico renano allievo di Agrippa, con il De Praestigiis Daemonum (1563) o Martín Antonio Del Rio con le Disquisitionum Magicarum Libri Sex (1599), fino a Pierre Le Loyer con la sua Histoire des Spectres (1605) più attinente al nostro disquisire.

E la lista sarebbe ancora lunga. Nel periodo Tudor, gli autori di teatro inglesi influenzati dalle tragedie di Seneca intuirono appieno le possibilità drammatiche connaturate nel “personaggio” fantasma. Uno per tutti, l’ombra del padre di Amleto.

Tirato il sipario, i fantasmi scomparvero dalla letteratura europea nella prima metà del Seicento per rimanifestarsi nell’ultimo scorcio del Settecento, evocati dall’avvento del Gotico, ma la loro presenza rimase sempre viva e frequente in opere riguardanti il sovrannaturale, nella tradizione orale, nelle ballate e nel folklore.

È una lunga genesi, quella della “storia di spettri”, e qui Dio non si riposa il Sabato ma continua a raccontare storie. D’altra parte, i fantasmi sono ombre e non c’è essere vivente o cosa che possa liberarsi della sua.

Così i fantasmi ci seguono non visti fino a scrivere da sé la propria storia, fino a rivendicare un genere letterario che si alimenterà all’infinito. Dopo tutto, tanti ebbero a raccontare ciò che anche oggi spesso ci raccontiamo:

“Sai? Quell’amico mio che diede, l’altra notte, un passaggio ad una tipa? Be’, il giorno dopo, al cimitero ha trovato la sua lapide…”

Luogo, spazio, tempo che vai, fantasma che trovi!


Bibliografia:
– Cai Plini Caecili Secundi, Epistularum Libri Decem, Liber VII – 27
– Publi Corneli Taciti, Annales, XI– 21
– Michael Psello, De Operatione Daemonum, Ed. Jean-François Boissonade, Nürnberg 1838; ristampa: Amsterdam 1964 (Le opere dei dèmoni, trad. P. Pizzari, Sellerio Ed., Palermo, 1989)
– Pietro Lombardo, Sententiae in IV Libris Distinctae, 2 vol., Grottaferrata, Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, 1971-1981

Tatiana Martino

(pubblicato su San Rospo il 15/11/07)

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