C’è un filo rosso che si dipana lungo la storia della narrazione. Scorre dalla Naturalis Historia di Plinio alle saghe islandesi, dai mirabilia medievali alle gesta arturiane, da Chaucer a Dante, dal romanzo gotico di Walpole e soci alla ghost story pura di M.R. James, passa per il gotico angloamericano di Brockden Brown, W. Irving, Hawthorne e persino di Melville, giunge ai prodromi del weird con Poe e arriva a Bierce, Dunsany, Blackwood e Lovecraft. Passa per la poesia romantica inglese e tedesca, approda in Francia.
E tocca persino l’Italia, dove critici accreditati, dimostrando tutta la grettezza dell’accademismo italiano, ci impongono di avere poca fantasia in fatto di letteratura del soprannaturale, che viene trattata (o meglio, non viene trattata affatto!) – penalizzandoci non poco – come letteratura deteriore, buona al massimo per i bambini ma poco adatta all’impegno severo di una rappresentazione “realistica” della società, o della psicologia dell’individuo.
Eppure, elementi gotici e soprannaturali sono riscontrabili nel romanzo storico di alcuni dei maggiori rappresentanti di questo genere quali Manzoni, Bazzoni, Guerrazzi e D’Azeglio. Risale al 1877 la novella di Giovanni Verga Le Storie del Castello di Trezza. E ancora Tarchetti e Fogazzaro, anche loro si cimentano con il genere. Senza contare gli innumerevoli scrittori considerati “minori”.
Tra questi anche un mio conterraneo (mi si conceda la citazione campanilistica), Ferdinando Petruccelli della Gattina, scrittore e uomo politico tra i maggiori e più felici giornalisti dell’Ottocento, narratore discontinuo combattuto fra le diverse ambizioni del pensatore e del teorico (religioso e politico). Folco Portinari, superando le vecchie censure crociane, inquadra gran parte di queste opere nel filone del romanzo gotico e riconosce a Petruccelli il giusto rilievo tra i “bizzarri” del secondo Ottocento. Della sua bella produzione porto all’attenzione del lettore curioso I moribondi del palazzo Carignano (F. Petruccelli della Gattina, a cura di Folco Portinari, Il ramo d’oro, Rizzoli, 315 p.: ill.; 16 cm, Milano 1982).
A consolarci, valga la considerazione che a partire dal XVII secolo, quando nella secolare disputa tra Stato e Chiesa al primo si sostituisce la Scienza, le cose vanno male per la narrazione soprannaturale un po’ ovunque nel Mondo. E se ancora durante il secolo dei Lumi si poteva sperare di pascersi d’Ombre, via via che il progresso si fa strada ci si affama sempre più. Dopo il 1945, la cultura occidentale si avvia verso una nuova era di razionalismo e scetticismo scientifici. La Scienza viene assunta a nuova autorità virtualmente onnipotente.
Qualunque aspetto appartenga all’Irrazionale, qualunque cosa evochi Superstizione, viene nel migliore dei casi ignorato, nel peggiore giudicato con ostilità. D’altra parte la generazione della Seconda Guerra Mondiale ha – suo malgrado – dovuto subire l’esplosione dell’Irrazionalità nella sua forma più malata, morbosa, crudele, disumana che s’incarnò in quella disgustosa isteria di massa che fu il nazionalsocialismo. Logica conseguenza, dopo tutti quegli anni di incontrollata follia, fu il rifiuto di ogni espressione dell’Irrazionalità unito a un forte bisogno di normalità. Di fatto normalità, misurata e quantificata dal razionalismo scientifico, e conformismo diventano i modelli in base ai quali la generazione della guerra pretese che i propri figli divenissero adulti e vivessero.
Come dargli torto. Ma – perché c’è sempre un ma – la storia ha la cattiva abitudine di ripetersi. Negli anni Sessanta, il brave new world proclamato dalla generazione della guerra inizia ad apparire sempre più vuoto, privo di qualsiasi valore o scopo che non sia il successo materiale; carenza che appare ancora più evidente grazie all’istruzione finalmente sempre più diffusa. I giovani degli anni Sessanta, la generazione dei miei – e probabilmente di molti dei vostri – genitori è cresciuta all’ombra di un’apocalisse annunciata e provocata dall’uomo, che prendeva le forme di sovrappopolazione, distruzione dell’ambiente, olocausto nucleare. Tutto ciò fa vacillare la fede nella ragione e nel razionalismo scientifico che sembrano ora solo maschere ipocrite, alibi per nuove forme di follia. Ed eccoli in piazza a declamare Lovecraft e a rivendicare l’Immaginazione al Potere…
È curioso notare come la letteratura del soprannaturale si vada profilando all’orizzonte ogni qual volta vi sia un periodo di crisi di valori, o una messa in discussione dello status quo ante. Notate come, in genere, questo avvenga in occasione di tumultuosi periodi di transizione quali possono essere la vigilia e gli anni immediatamente successivi della Rivoluzione Francese, gli anni successivi alla Guerra Franco-Prussiana del 1870, il crollo del secondo impero francese, l’imminenza della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione Russa e così a seguire.
Ora, critici, letterati e antropologi vi diranno che ciò avviene per un motivo preciso, che tutte queste narrazioni, cioè, partono da un bisogno comune. E che questo bisogno affonda le radici in periodi storici ben definiti, che producono – come tutti i periodi di crisi e di cambiamento – ben definite esigenze di rinnovamento. Rinnovamento che spesso parte – e deve partire perché tale sia – dal pozzo scuro dell’inconscio.
Bene, non ho intenzione di dirvi tutto ciò… O forse sì, ma in modo diverso. Facendo appello al vostro, di inconscio. Chiedendovi di ricordare quella sensazione di stupore mista a un piacevole brivido di terrore che provavate quando da bambini ascoltavate le fiabe, proprio quella morsa che vi prendeva allo stomaco un attimo prima che il lupo divorasse Cappuccetto Rosso davanti ai vostri innocenti, spalancati – e tuttavia bramosi di sangue – occhi di fanciulli. Quel sangue che non macchia, quegli arti amputati dei quali non si sente la mancanza, quel lupo sventrato e riempito di pietre che tuttavia fugge vivo nel bosco. Questa è sospensione della realtà. Secondary world, per dirla con Tolkien. È qui che vi voglio portare: dove tutto è possibile. Tra le pagine di un libro. E se una sola delle mie righe vi avrà spinti a leggere anche solo i risvolti di copertina di un qualsiasi libro – qui o altrove citato – avrò raggiunto il mio scopo.
Il resto, è letteratura.
Tatiana Martino
(pubblicato su San Rospo il 2/10/07)
(pubblicato su San Rospo il 2/10/07)
bell'articolo, complimenti...pensa io ho l'edizione fine ottocento dei moribondi di palazzo carignano...un libro minuscolo (confesso di non averlo mai letto!...me ne farò scrupolo) ereditato da una vecchia zia...
RispondiEliminaquando si dice il caso...
ciao
gino carosini
Senza polemica, ma io non me la prenderei tanto con la scienza. "Scienza" vuol dire tante cose: anche pianeti extrasolari, lo stesso fotone che coesiste due volte nel medesimo istante, un gatto ideale che fluttua tra la vita e la morte, una bomba atomica che genera una minuscola stella mortale. I mondi creati da Lovecraft sono perfettamente razionali e scientifici, le visioni disumane evocate da Escher anche. E potrei andare avanti per chilometri di commento, dimostrando dati alla mano quanto la Realtà nel suo insieme sia davvero ai confini della "nostra" realtà (umana).
RispondiEliminaSecondo me il vero conflitto, costantemente rimosso anche dai critici più attenti, è quello tra antropocentrismo e antiantropocentrismo. Non sospensione della realtà (realtà sono anche pianeti extrasolari, fotoni, etc.), ma drastico ridimensionamento del ruolo umano nella realtà stessa. Senza questo distinguo è impossibile risolvere il "paradosso della metafora", che comunque si giri e si rivolti la narrativa presa in esame, riporta sempre al centro dell'attenzione l'uomo e i suoi sogni (o i suoi incubi). E quindi la sua realtà locale: valori, ideali, riflessioni e cogitazioni assortite.
Tarchetti (ad esempio) sempre di realtà umana parlava, e in fondo non è diverso - come prospettiva - da quel Manzoni che tanto detestava. Poe, Hawthorne, James anche.
Per arrivare alla trattazione antiantropocentrica, e quindi aperta davvero a tutte le risorse del reale - comprese quelle più spaventose per il batterio/uomo, o quelle che appaiono ai nostri sensi limitati come "soprannaturali" - si deve aspettare Lovecraft (con pochi veri "antenati", per altro quasi tutti concentrati nella letteratura scientifica, e non nella tradizione metaforico-gotica).
Ivo Torello