martedì 28 settembre 2010

Qualcosa di Frank Belknap Long

Un giovane Frank Belknap Long, foto“[...] Frank Belknap Long, dunque, è il nostro poeta nuovo — nello scrivere poemi che avrebbero potuto essere firmati dai più grandi fra gli elisabettiani minori, con uno almeno, «The Marriage of Sir John de Mandeville,» degno di un Christopher Marlowe. Per Long, l’orribilità della vita come si può trovare nelle moderne città cessa di esistere, ma nel suo rifiuto del realismo per come lo vedono i suoi contemporanei c’è una strada risplendente verso più raffinate cose, e verso lo slancio misericordioso che muta in permanenza ogni poesia tragica e maggiore”.

Questa la conclusione, decisamente generosa, della breve prefazione scritta da Samuel Loveman per A Man From Genoa and Other Poems (The Recluse Press, 1926), libro d’esordio e prima raccolta di poesie di un allora venticinquenne Frank Belknap Long. Giovane promessa nel circuito letterario del giornalismo amatoriale, già Howard Phlillips Lovecraft ne aveva tessuto le lodi in un articolo del 1924 per la United Amateur Press Association, apparso senza firma per evitare forse accuse di parzialità, vista la nota e stretta amicizia fra i due iniziata per via epistolare tre anni prima.

Sempre il Gentiluomo di Providence assisterà Robert H. Barlow, nel corso di una lunga visita in Florida, nella composizione e stampa – riaggiustandone qui e là la metrica – di The Goblin Tower (Dragon-Fly Press, 1935), una minuscola edizione “a sorpresa” che andava a riunire i più recenti versi. Compresi quelli apparsi su rivista, innanzi tutto su Weird Tales del quale Long fu tra i primi contributori per la poesia fantastica, con una dozzina di titoli pubblicati fra il 1925 e il ’38.

Sognante esotismo e un senso del meraviglioso spesso proiettato in cornice storica, partendo dalle atmosfere rinascimentali o elisabettiane dei suoi poemi maggiori, costituiscono i temi portanti nella versificazione di Belknap Long, assai più che l’horror o le fantasie cosmiche comuni ad amici e colleghi quali Clark Ashton Smith, Donald Wandrei o lo stesso Lovecraft.

H.P. Lovecraft & Frank Belknap Long, illustrazione di Andrea BonazziMa si tratta di una produzione poetica destinata a limitarsi, in linea di massima, agli anni giovanili: lo scrittore newyorkese prenderà in seguito altre strade, specialmente dedicandosi alla fantascienza dopo gli anni 30, in una lunga e intensa carriera come autore di romanzi, racconti e saggi, benché non particolarmente fortunata, attraverso l’intera storia della letteratura fantastica americana del suo secolo, per spegnersi novantatreenne nel 1994.

Un’edizione leggermente variata di The Goblin Tower (The New Collector’s Group, 1949) viene riproposta a oltre un decennio di distanza, e solo nel 1977 vedrà la stampa In Mayan Splendor, un volume Arkham House che riunisce i contenuti dei due precedenti, splendidamente illustrato da Stephen E. Fabian. A un anno dalla scomparsa, il resto delle poesie sparse o ancora inedite di Long viene infine recuperato, ancora dalla più piccola editoria specialistica, nel fascicolo The Darkling Tide: Previously Uncollected Poetry (Tsathoggua Press, 1995).

Di Frank Belknap Long resta nota in Italia la sola principale narrativa, dal più celebre “I segugi di Tindalos” in poi. Solamente tre delle sue poesie risultano tradotte e non facilmente reperibili nell'ambito delle pubblicazioni specializzate, tutte e tre apparse sulle pagine di Yorick Fantasy Magazine nel corso di una dozzina d’anni: “Mistiche bestie di Sibilla” sul numero 8/9 del 1989, “L’altra Innsmouth” (Innsmouth Revisited) sul n. 30/31 del 2000 e “Nello splendore dei Maya” (In Mayan Splendor), nel n. 32/33 del 2002.

A seguito, un esempio della poesia di Long, in scelta e versione personali come di consueto, a concludere quel che vuol essere appena rapido sguardo verso un aspetto quasi del tutto trascurato, qui almeno, della letteratura weird e del fantastico.


Andrea Bonazzi

(pubblicato su In Tenebris Scriptus il 7/11/08)

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