giovedì 10 marzo 2011

Lovecraft: Teoria dell’Orrore, una recensione

“I rapporti fra uomini non stimolano la mia fantasia. Semmai è il rapporto dell’uomo con il cosmo, con l’ignoto, che solo riesce ad accendere in me la scintilla dell’immaginazione creatrice. Il punto di vista antropocentrico mi riesce insopportabile, perché non posso condividerne la primitiva miopia che esalta il mondo trascurando ciò che vi sta dietro. Il mio piacere è la meraviglia, l’inesplorato, l’inaspettato, ciò che è nascosto e quell’alcunchè d’immutabile che si cela dietro l’apparente mutevolezza delle cose. Rintracciare quel ch’è remoto nel vicino; l’eterno nell’effimero; il passato nel presente; l’infinito nel finito; queste sono le fonti del mio piacere e di ciò che io chiamo bellezza”. (H.P. Lovecraft, “In Difesa di Dagon”, 1921)

Howard Phillips Lovecraft, fotoNelle vesti di critico e di teorico letterario, non meno che in quelle di straordinario narratore dell’orrore, H.P. Lovecraft non sarà mai lodato abbastanza. Basti citare il suo fondamentale “Supernatural Horror in Literature”, il primo vero studio sulla narrativa dell’horror e del mistero che sia mai stato scritto – ancora oggi una pietra miliare nel suo genere e manifesto, mai come oggi così attuale, delle inquietudini del terrore in letteratura – per rendercene conto.

Ma Lovecraft ha scritto anche tutta una serie di sue brillanti argomentazioni sulla materia presa in oggetto, l’horror e il fantastico (materia eterea, irreale, da cui nascono tutte le fantasie...) e in particolare il cosmic horror che è al centro della sua poetica, e le sue interpretazioni hanno anticipato quelle di noti critici e teorizzatori del genere come Tolkien, Borges e Caillois, con il fantastico inteso come alternativa o Mondo Secondario (“secondary world”) e il soprannaturale visto quale interruzione e violazione delle Leggi naturali che dominano la Realtà.

Tutti questi straordinari saggi, utilissimi per indagare la filosofia alla base dell’opera dello scrittore, la sua estetica dell’orrore, e le pulsioni recondite da cui questo scaturisce, sono ora stati raccolti, per la prima volta al mondo (e per una volta tanto il vanto è tutto italiano) nel nuovissimo Teoria dell’Orrore. Tutti gli scritti critici di H.P. Lovecraft (Edizioni Bietti, 2011, pp. 560, €24.00), volume a cura del noto esperto e specialista Gianfranco de Turris, e con una Introduzione di S.T. Joshi, massima autorità su vita e opere del Maestro dell’Incubo.

In verità, non è un libro e un lavoro fatto ex novo, in quanto i saggi di Lovecraft sulla Letteratura fantastica sono già stati raccolti in precedenza, sempre da G. de Turris, una prima volta – in edizione però pressoché incompleta – in In difesa di Dagon e altri saggi sul fantastico (SugarCo, 1994, pp. 202) e poi in volume pubblicato da Castelvecchi (2001, pp. 272) omonimo del presente.

Questa che segnaliamo è quindi (come si legge nel frontespizio interno) una “Terza edizione riveduta, corretta, aggiornata ed ampliata” ma si presenta a tutti gli effetti come un’opera nuova per una serie di ragioni, in primis le circa 200 pagine di materiale nuovo che ne giustifica la mole e l’acquisto. Per non parlare di tutti gli aggiornamenti, le correzioni, le decine e decine di annotazioni in più, ecc., rispetto alle precedenti versioni. Sicuramente si tratta della compilazione definitiva di questo genere, un’opera di seminale importanza che aiuta a decifrare uno scrittore che è stato capace di aprire squarci nel banale quotidiano e di gettare nuovi semi e idee in un campo (oggi minato qual è quello del fantastico letterario) che di semi e idee fruttifere ne ha finora visti pochi.

In questo senso, quella attuata consapevolmente da Lovecraft, nella narrativa e soprattutto nei saggi, è stata una vera e propria “rivoluzione Copernicana” (per usare la bella definizione di Fritz Leiber), un matrice e un mezzo attraverso cui far emergere il suo più profondo pensiero e la sua immensa, assoluta, quasi metafisica (seppure saldamente materialistica e agnostica) “visione delle cose”.

Teoria dell’Orrore, 2011, copertinaA differenza di Poe, Lovecraft colloca l’orrore nel “vasto spazio esterno”, nell’insondabile e profondo Ignoto, e la sua concezione dell’incubo è frutto di tre capisaldi: 1) anzitutto “l’Ignoto”, appunto, inteso come il versante più tenebroso del fantastico; 2) poi “l’atmosfera”, frutto di allusioni a forze estranee e ostili; 3) il punto di vista “cosmico”; 4) infine la “sospensione della realtà”, intesa come sconfitta di ogni legge di natura. Su questi quattro principî Lovecraft edificherà il suo personalissimo percorso, di uomo e di narratore.

Questi saggi sono quindi di vitale interesse e di valore durevole, dando materia alla materia stessa di cui sono fatti i sogni...

Gli scritti sono presentati in modo organico, con un accurato apparato critico di contorno che ne spiega genesi, evoluzione ed importanza. Fondamentale tra questi documenti è naturalmente “L’Orrore sovrannaturale nella Letteratura”, il saggio più importante scritto da HPL, che lo scrittore aggiornò continuamente e costantemente nel corso della sua vita. Quella che qui si è tradotta (unica versione italiana completa, annotata e prefata) è l’ultima sua revisione, del 1936. Lovecraft vi traccia una vera e propria genealogia dell’orrore, che partendo dai primi esempi del genere gotico, attraversando Edgar Allan Poe e Lord Dunsany (due suoi numi tutelari), arriva fino ai Maestri moderni. Un excursus critico-storico che non ha precedenti né rivali in campo critico. Le “fortune” di questo saggio, del resto, sono ampiamente documentate all’interno dal compianto Claudio De Nardi (scomparso mentre questo libro era in corso di stampa) in un bell’intervento, “Storia e Fortuna de L’Orrore Sovrannatutale nella Letteratura”, che introduce alla perfezione quello che Gianfranco de Turris ha giustamente definito “un testo fondamentale nella storia delle teorie del fantastico” (p. 17).

Seguono altri testi critici, di minore portata ma non meno significativi. Il più stimolante tra questi è sicuramente un gruppo di interventi scritti nel 1921, che poi sono stati riuniti dal grande S.T. Joshi sotto il titolo generale di “In Difesa di Dagon”. Si tratta di una serie di ampie e articolate riflessioni in cui Lovecraft difendeva filosofia, gusto estetico e tecniche narrative alla base dei suoi primi racconti, e, più in generale, l’originalità del suo modo di intendere e di vedere il fantastico.

Vengono quindi raccolti una serie di interventi su alcuni temi generali della narrativa fantastica intesa nella sua accezione più ampia: ecco, dunque, uno scritto sul mondo magico e fiabesco (“Sulle Fate”), uno sulla fantascienza (“Alcuni appunti sulla narrativa interplanetaria”), e un paio dedicati più specificatamente alla letteratura horror e weird (“Note su come scrivere racconti fantastici” e “Osservazioni sulla narrativa fantastica”), che insieme costituiscono una guida inestimabile ai principî di Lovecraft e ai suoi metodi di scrittura narrativa.

Infine, trovano posto una serie di profili critici e biografici su alcuni importanti autori del passato, o contemporanei di Lovecraft, che nella forma del saggio breve uniscono memorie e ricordi personali all’analisi critica dell’opera dell’autore. Tra essi spiccano “Lord Dunsany e la sua opera” (1922), e “I romanzi fantastici di William Hope Hodgson” (1934); ma non sono da meno le osservazioni e i ricordi di HPL su Robert E. Howard, Clark Ashton Smith e Henry Whitehead, che proprio grazie al peso dell’apprezzamento di Lovecraft sono assurti essi stessi al rango di Maestri del fantastico.

Dicevamo all’inizio del materiale inedito che arricchisce questa bellissima edizione (che si presenta un must anche sotto il profilo visivo e “tattile”, unendo al rigore e alla sobrietà della veste grafica la limpidezza dei fonts e un perfetto design, interno ed esterno, che rende il volume un piccolo gioiellino di cura editoriale), che recupera innanzitutto una curiosa lista di Lovecraft, “Le mie storie dell’orrore preferite”, tratta da un raro numero del 1934 di The Fantasy Fan; ma la vera novità, una primizia per l’Italia, è qui rappresentata dalle “Trame di racconti fantastici” (“Weird Story Plots”), cioè i sunti da lui preparati dei classici dell’horror che vanno da Poe a Blackwood, da M.R. James a R.W. Chambers, H.H. Ewers, ecc. – senza tralasciare grandi storie dimenticate di W. Elwyn Backus, Leonard Cline, Paul Suter e altri. Lovecraft scrisse tali sunti per “identificare elementi e situazioni che universalmente contribuiscono a creare le suggestioni e a dare efficacia in un racconto dell’orrore”.

Nella parte conclusiva di questa edizione ampliata di Teoria dell’Orrore troviamo infine le “Lettere sull’immaginario” di Lovecraft, una serie di corposi (e inediti) brani estratti dal suo epistolario inerenti la letteratura fantastica e dintorni, ma non solo (giacchè, come ci ricorda de Turris, “Lovecraft non era semplicemente un appassionato ed un autore del fantastico, ma aveva alle spalle un retroterra che si rifletteva su questa sua passione specifica”), il tutto con l’aggiunta di diverse note esplicative, indicazioni bio-bibliografiche, ecc.

Ciò che emerge fuori, a lettura conclusa, è l’enorme passione che Lovecraft nutriva per il genere letterario da lui prescelto, un amore profondo, viscerale, sincero, ma anche analitico e, potremmo dire, “scientifico” nella sua continua analisi e dissezione della materia, opere, autori eccetera. Ma, più importante ancora, in quei saggi Lovecraft riesce a dare una base concreta alla sua filosofia, e a fornire una giustificazione alla scrittura del mistero mediante un’analisi sulla natura e il fascino della narrativa dell’orrore. L’enfasi viene posta sull’atmosfera, più che sulla trama, nella significativa distinzione (che sembra essersi persa nella narrativa horror odierna) tra il racconto genuinamente del mistero e il racconto di mera suspense psicologica.

E poi, fortemente significative, ci sono le sue riflessioni sulla terrificante posizione dell’uomo (infima) nei confronti del vasto universo, la difesa, etica ed estetica, del suo materialismo di natura meccanicista e, in generale, troviamo nei saggi le fondamenta su cui Lovecraft tratteggia in controluce la propria personalissima visione del mondo e della vita. Una lettura fondamentale, quindi, direi vitale per comprendere il pensiero di Howard Phillips Lovecraft, il più grande creatore d’incubi della storia, e anche per capire l’importanza e il significato del genere all’interno del canone letterario tout-court.

Ma, soprattutto, è una lettura indispensabile per avvertire anche noi “... quel raspare di ali nere” che s’agitano negli abissi più profondi dello spazio, e i misteri, le meraviglie e i portenti che si celano ai margini dell’universo a noi sconosciuto.

Pietro Guarriello

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