Come cominciare a presentarvi il nuovo libro che ha costituito la mia lettura privilegiata degli ultimi giorni? Sarebbe possibile, innanzitutto, esordire definendolo “un saggio che si legge come fosse un romanzo”, se non me ne dovesse derivare qualche scrupolo. Potrebbe, difatti, essere controproducente: io stesso, se mi imbattessi da qualche parte in un’affermazione di questo genere, con il mio carattere un po’ sospettoso sarei indotto a dubitare fin dal principio sull’effettiva qualità di quanto si va recensendo.
Del resto, se di saggio si tratta parrebbe quantomeno ambiguo non applicarvi soprattutto le categorie interpretative relative alla saggistica, che dovrebbero privilegiare in primissimo luogo il rigore, la forza argomentativa, la profondità di pensiero e solo in seconda istanza la piacevolezza nel raccontare e fors’anche l’eleganza formale nell’esporre. In tal senso – se di saggio si deve parlare – a rigor di logica si dovrebbe iniziare a discutere principalmente del contenuto, e sarebbe essenzialmente su di esso che si dovrebbero dirigere in primis i vari strumenti della valutazione.
Nondimeno, nonostante quanto appena detto, e nonostante i dubbi che potrei legittimamente suscitare nei benevoli lettori che mi vorranno accompagnare in questa discussione, vorrei arrischiarmi lo stesso a principiare proprio con un’affermazione analoga alla suddetta nei confronti dell’ultimo lavoro di Franco Pezzini e Angelica Tintori, Peter & Chris. I Dioscuri della notte: si tratta di un saggio che si legge con il medesimo piacere che potrebbe procurare un (buon) romanzo. È vero, infatti, che talvolta anche le frasi più inflazionate contengono un nucleo cruciale di verità; mi pare significativo, perciò, sottolineare come appunto nel caso presente uno dei punti di forza dello studio degli autori sia in particolare la sua virtuosistica e profondissima capacità di coinvolgerci anche a livello stilistico (e quindi, alla fine dei conti, emotivo).
Non nuovi a esaltanti cavalcate letterario-cinematografiche (loro l’eccellente saggio sul cinema vampirico The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo, sempre per i tipi della Gargoyle Books) la coppia di saggisti fin dal principio ci prende metaforicamente per mano guidandoci attraverso le porte del passato e dell’immaginazione, per condurci a visitare i luoghi sia geografici che immaginari che mentali ove si sono sviluppati alcuni dei più grandi miti contemporanei del cinema di genere. Una sorta di mappatura di un sottouniverso – principalmente quello dell’horror britannico degli anni 60 e 70 – attraverso le vite parallele dei due (è il caso di dirlo) “mostri sacri” di questo periodo, almeno nel Regno Unito, vale a dire Peter Cushing e Christopher Lee.
Tutto questo per mezzo di un piglio preciso e denso di informazioni, giudizi critici, relazioni sui fatti e valutazioni sociologiche e psicologiche. Costantemente garbata – pervasa, ove fosse necessario, da una simpatica e coinvolgente ironia sdrammatizzante senza però trascurare la necessaria messe di dati, riferimenti, personaggi, citazioni –, l’elegante voce che pervade tutta la trattazione raccontando la vita e le opere dei due attori è un po’ il filo rosso che le conferisce non solo piacevolezza, ma soprattutto unitarietà e autorevolezza.
Tutto il materiale documentario proposto ai lettori a sostegno delle argomentazioni scivola via con estrema leggerezza grazie alla capacità scrittoria degli autori, senza appesantire lo sviluppo dei ragionamenti e pur tuttavia cementandosi a livello profondo come il necessario puntello e pilastro che consente all’intera impalcatura saggistica di restare in piedi. Non un sintomo di superficialità questo, quindi, quanto la prova di una profondissima capacità da parte degli autori di coniugare forma e sostanza nel modo più armonico, fluente e insieme coeso che sia possibile. Potrebbero sembrare doti da poco, o sottintese a qualsiasi saggio di buona fattura, ma basta guardarsi intorno – e leggere – per rendersi conto di come siano invece qualità rare, purtroppo spesso neglette da larga parte degli studiosi odierni.
A partire da questa osservazione formale che mi pareva estremamente importante rimarcare in partenza alla presente nota, l’oggetto dello studio in esame è dedicato con grandissima attenzione a ripercorrere passo passo (scena per scena, addirittura) la carriera del “Team” o dei “Dioscuri” – come vengono definiti i due attori per il loro leggendario legame sia lavorativo che umano. Cushing e Lee vengono così giustamente individuati nella loro complementarità sia fisica che psicologica, non solo attraverso l’ovvia contrapposizione scenica che li ha visti spessissimo nelle vesti di avversari (il ruolo forse più celebre, come tutti sapranno, quello di Van Helsing/Cushing contro Dracula/Lee), ma anche attraverso la loro intima amicizia personale; tramite l’evolversi delle rispettive carriere il libro percorre le tappe salienti dell’esistenza di due figure che vivranno nel segno dell’acquisizione di una personalità mitica nell’immaginario dei fan, tale da trascendere molto spesso persino l’altissima qualità delle rispettive interpretazioni.
In altre parole, se il saggio inizia a presentare i personaggi fin dagli anni della giovinezza e della formazione, mostrandoci le fasi fondamentali della loro vita dalla nascita all’avvio della loro carriera, il cuore della trattazione è dedicato al loro incontro e sodalizio professionale che culminerà nella partecipazione in comune a numerosi capolavori, e nel complesso a ben ventidue pellicole (più o meno rilevanti).
Quello che viene messo in luce in modo particolarmente interessante, però, è come – raggiunta l’acme delle rispettive potenzialità fisiche e attoriali – la semplice presenza in un film di uno dei due attori, quando non di tutti e due, diverrà in grado di alludere a un sottotesto leggendario prima in formazione e successivamente pienamente consolidato, una vera e propria scuola inconfondibile, quella improntata al lavoro della mitica casa di produzione Hammer e degli studios a essa affini. La presenza di Cushing o di Lee, già di per sé marchio di fabbrica di un certo modo di fare cinema, diverrà tale da evidenziare – quasi per antonomasia – diverse tipologie di recitazione (quando non dello stesso genere Fantastico), pur sempre segnate da elevatissimo grado di professionalità e interesse.
Se Cushing sarà l’emblema dell’algido, razionale e ascetico uomo di scienza intento a debellare le forze del male nelle pellicole per la regia di Terence Fisher (ma non solo), successivamente sarà anche la maschera dell’uomo tormentato, quella dell’eroe ambiguo che presenta inquietanti risvolti di debolezza e/o condiscendenza con l’oscurità, o ancora di colui che talora ne incarna a sua volta un’insinuante maschera (statisticamente un po’ meno rari, sono presenti – infatti – anche ruoli da villain per l’attore: leggendario il suo Barone Frankenstein, in particolare).
Lee sarà viceversa per la maggior parte dei casi il malvagio per eccellenza, tanto da diventare una delle facce più note del Dracula cinematografico, che interpreterà più di sette volte solo nel ciclo Hammer, oltre che il volto di numerosissimi altri mostri quali – ovviamente – la Creatura di Frankenstein e la Mummia. Ancora più numerose saranno, invece, le sue performances come “semplice” vampiro dalle più diverse identità, derivazioni e origini. Cattivo, si, ma a 360 gradi: e infatti l’attore rivestirà anche numerosi altri ruoli da villain, tutti però caratterizzati da un’estrema versatilità attoriale, dal suo celebre sguardo magnetico e penetrante, da una presenza scenica imponente e inconfondibile. Senza dimenticare come – specularmente all’amico – pure Lee si ritroverà talora a giocare in campo avversario interpretando anche dei “buoni” di notevole spessore.
Pezzini e Tintori non ci risparmiano giustamente nulla e nella loro puntuale e precisa disamina, le vicende biografiche dei due attori prendono vita e sono individuate come il trampolino di partenza per la costruzione di figure iconiche che trascenderanno la semplice esistenza fisica, che restano e resteranno in ognuno di noi, molto spesso incrociandosi con le storie umane e artistiche di numerose altre star indiscusse (citerò qui soltanto due delle fondamentali: John Carradine e soprattutto il grandissimo Vincent Price; con essi la Coppia lavorerà diverse volte, sia insieme che separatamente). E tutto questo senza mai negare la rispettiva umanissima personalità di Lee e Cushing nelle rispettive prove e difficoltà della vita di tutti i giorni, nonché l’assoluta saldezza del loro affetto amicale, alla quale componente si dedica il necessario spazio come obbligatorio contraltare della dimensione mitologica che viene analizzata in campo lavorativo.
Per chi come il sottoscritto, per ragioni meramente anagrafiche, non abbia fatto in tempo a vivere personalmente l’esaltante epopea Hammer & C. e abbia potuto goderne soltanto in maniera parziale e indiretta, il saggio dei Nostri riveste un’altra indubbia ragione di importanza, che gli conferisce un notevolissimo valore aggiunto. Esso costituisce, infatti, una sorta di guida e manuale di fruizione per numerosissimi film che – magari un po’ negletti o difficilmente reperibili sui circuiti tradizionali – possono essere riscoperti, contestualizzati e valutati attentamente alla luce della precisa indicazione dei punti di forza e di debolezza che ne hanno caratterizzato la lavorazione e l’esecuzione.
Se si parte, infatti, dai celeberrimi monster movies che riprendono e reinterpretano in chiave innovativa quelli della statunitense Universal, quali The Curse of Frankenstein, Horror of Dracula, The Mummy (con tutti i necessari sequels delle rispettive famiglie, fra i quali vale la pena di citare in questa sede almeno Dracula, Prince of Darkness, poi Dracula A.D. 1972 e infine The Satanic Rites of Dracula per la presenza congiunta del Tandem), non manca un ampio spazio per un goticizzato e ispiratissimo The Hound of Baskervilles, dedicato a una versione in salsa Hammer del più noto romanzo del Detective di Baker Street. Oppure, si pensi ancora all’eccellente adattamento de Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di R.L. Stevenson dal titolo I, Monster. Ma, come si diceva, risulta forse ancora più curiosa e intrigante da seguire la trattazione che gli autori fanno di alcuni titoli un pochino meno noti ma di indubbio interesse, come The Gorgon, il film a episodi Dr. Terror’s House of Horrors, The Skull, The Creeping Flesh o ancora la commedia nera House of the Long Shadows che rappresenta l’ultima collaborazione importante fianco a fianco di Lee e Cushing.
In tal senso, numerosi lavori che personalmente non conoscevo sono entrati (ed entreranno) nel mio orizzonte culturale (e suppongo non solo nel mio) grazie alla presentazione dei saggisti. Di alcuni di essi ho già preso visione, grazie all’utilissimo strumento di YouTube, e non posso che concordare sulle opinioni sagge e razionali proposte nel presente volume.
Ecco, quindi, che anche grazie ai nostri studiosi le imprese cinematografiche di Lee e Cushing possono avere una rinnovata diffusione e una più ampia conoscenza al di là dei suddetti grandi capolavori (quelli per intenderci con i “mostri” classici del gotico), anche attraverso la visione di film cosiddetti “minori”, con l’unico peccato originale di un basso budget di lavorazione e di ridotti mezzi produttivi (se mai si tratta di una colpa e non di un pregio, in quanto il low cost nel fantastico ha sempre fatto molto bene, consentendo di lavorare più sulla suggestione del non visto che sulla facile spettacolarità dell’effetto speciale, o effettaccio che sia). E penso che, da un certo punto di vista, non si potrebbe fare a Pezzini e Tintori complimento migliore di questo: aver contribuito tramite la loro scrittura e la loro analisi non solo alla migliore comprensione di un fenomeno epocale nella storia artistica del Novecento, ma anche al rinfocolarsi del desiderio di conoscere meglio e più estesamente la sterminata filmografia di Cushing e Lee.
Ma dal momento che la perfezione non è di questo mondo e che non sarebbe bene attirarmi sospetti di acriticità, parrebbe il caso di dover almeno cercare di individuare anche quali possano essere le manchevolezze, i fraintendimenti, le inopportune indulgenze, gli errori del saggio in esame. Il problema principale in quest’ottica (e c’è poco da fare in proposito – per fortuna) è che anche a ben cercare con una disamina lunga e scrupolosa, temo che il libro si ritroverebbe candidamente carente di mende e magagne di sorta, sia pure passato al vaglio particolarmente bilioso e livoroso di un qualsiasi recensore severo e arcigno. Figurarsi dinanzi al mio sguardo benevolo ed entusiasta!
Qualora dovessi proprio indicare un difetto essenziale dell’opera, tuttavia, penso che esso potrebbe essere individuato principalmente nell’assenza di un’appendice bio-biblio-filmografica circa il percorso biografico e l’attività completa dei due “Dioscuri della notte”, cosa che avrebbe costituito senz’altro l’eccellente coronamento, la ciliegina sulla torta – per così dire – del grossissimo lavoro svolto.
Se per rimarcare il mio apprezzamento a coronamento del discorso finora svolto e a mo’ di congedo finale dal presente articolo dovessi infine evidenziarne una finezza particolarmente piacevole, sia pure magari a un livello più frivolo, mi parrebbe il caso di ricordare senz’altro un’arguzia tipica di Pezzini e Tintori (già presente, peraltro, nei libri precedenti dei due), vale a dire il sapiente e capace uso di straordinari titoli e sottotitoli. Essi demarcano con gli ovvi fini pratici del caso l’andamento del susseguirsi dei capitoli, sempre nel segno del citazionismo più cinefilo e divertente tramite variazioni, giochi di parole e calembours, o in quello della battuta scherzosa, garbata e divertente. Per fare solo qualche esempio, eccone alcuni particolarmente sapidi e gustosi: “Megera e le sue sorelle (3.3.3)”, “Il mio nome è Sade, Marchese de Sade (4.3)”, “Il fascino discreto dell’autopsia (5.2.2)”, “L’ultimo uomo-demone del Pleistocene (5.4)”, e tanti altri.
Se non si fosse ancora capito fino a questo punto, quindi, la cinefilia è una malattia bellissima ma alquanto pervicace: quando ce l’hai nel sangue, è praticamente impossibile attenuarla o guarirne (e del resto, perché farlo?). Soprattutto, sfrutta tanti modi diversi di manifestarsi, è fortemente contagiosa e deve trovare uno sfogo.
Uno dei metodi per incanalare tutti questi effetti senza danno – e anzi procurandosi invece giovamento e vantaggio – è scrivere libri brillanti e interessanti (e appunto cinefili) quali Peter & Chris. I Dioscuri della notte. Come pure leggerli... Enjoy!
Peter & Chris. I Dioscuri della notte
Franco Pezzini e Angelica Tintori
Gargoyle Books, 2010
brossura, illustrato, 448 pagine, €16.00
ISBN 9788889541500
Del resto, se di saggio si tratta parrebbe quantomeno ambiguo non applicarvi soprattutto le categorie interpretative relative alla saggistica, che dovrebbero privilegiare in primissimo luogo il rigore, la forza argomentativa, la profondità di pensiero e solo in seconda istanza la piacevolezza nel raccontare e fors’anche l’eleganza formale nell’esporre. In tal senso – se di saggio si deve parlare – a rigor di logica si dovrebbe iniziare a discutere principalmente del contenuto, e sarebbe essenzialmente su di esso che si dovrebbero dirigere in primis i vari strumenti della valutazione.
Nondimeno, nonostante quanto appena detto, e nonostante i dubbi che potrei legittimamente suscitare nei benevoli lettori che mi vorranno accompagnare in questa discussione, vorrei arrischiarmi lo stesso a principiare proprio con un’affermazione analoga alla suddetta nei confronti dell’ultimo lavoro di Franco Pezzini e Angelica Tintori, Peter & Chris. I Dioscuri della notte: si tratta di un saggio che si legge con il medesimo piacere che potrebbe procurare un (buon) romanzo. È vero, infatti, che talvolta anche le frasi più inflazionate contengono un nucleo cruciale di verità; mi pare significativo, perciò, sottolineare come appunto nel caso presente uno dei punti di forza dello studio degli autori sia in particolare la sua virtuosistica e profondissima capacità di coinvolgerci anche a livello stilistico (e quindi, alla fine dei conti, emotivo).
Non nuovi a esaltanti cavalcate letterario-cinematografiche (loro l’eccellente saggio sul cinema vampirico The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo, sempre per i tipi della Gargoyle Books) la coppia di saggisti fin dal principio ci prende metaforicamente per mano guidandoci attraverso le porte del passato e dell’immaginazione, per condurci a visitare i luoghi sia geografici che immaginari che mentali ove si sono sviluppati alcuni dei più grandi miti contemporanei del cinema di genere. Una sorta di mappatura di un sottouniverso – principalmente quello dell’horror britannico degli anni 60 e 70 – attraverso le vite parallele dei due (è il caso di dirlo) “mostri sacri” di questo periodo, almeno nel Regno Unito, vale a dire Peter Cushing e Christopher Lee.
Tutto questo per mezzo di un piglio preciso e denso di informazioni, giudizi critici, relazioni sui fatti e valutazioni sociologiche e psicologiche. Costantemente garbata – pervasa, ove fosse necessario, da una simpatica e coinvolgente ironia sdrammatizzante senza però trascurare la necessaria messe di dati, riferimenti, personaggi, citazioni –, l’elegante voce che pervade tutta la trattazione raccontando la vita e le opere dei due attori è un po’ il filo rosso che le conferisce non solo piacevolezza, ma soprattutto unitarietà e autorevolezza.
Tutto il materiale documentario proposto ai lettori a sostegno delle argomentazioni scivola via con estrema leggerezza grazie alla capacità scrittoria degli autori, senza appesantire lo sviluppo dei ragionamenti e pur tuttavia cementandosi a livello profondo come il necessario puntello e pilastro che consente all’intera impalcatura saggistica di restare in piedi. Non un sintomo di superficialità questo, quindi, quanto la prova di una profondissima capacità da parte degli autori di coniugare forma e sostanza nel modo più armonico, fluente e insieme coeso che sia possibile. Potrebbero sembrare doti da poco, o sottintese a qualsiasi saggio di buona fattura, ma basta guardarsi intorno – e leggere – per rendersi conto di come siano invece qualità rare, purtroppo spesso neglette da larga parte degli studiosi odierni.
A partire da questa osservazione formale che mi pareva estremamente importante rimarcare in partenza alla presente nota, l’oggetto dello studio in esame è dedicato con grandissima attenzione a ripercorrere passo passo (scena per scena, addirittura) la carriera del “Team” o dei “Dioscuri” – come vengono definiti i due attori per il loro leggendario legame sia lavorativo che umano. Cushing e Lee vengono così giustamente individuati nella loro complementarità sia fisica che psicologica, non solo attraverso l’ovvia contrapposizione scenica che li ha visti spessissimo nelle vesti di avversari (il ruolo forse più celebre, come tutti sapranno, quello di Van Helsing/Cushing contro Dracula/Lee), ma anche attraverso la loro intima amicizia personale; tramite l’evolversi delle rispettive carriere il libro percorre le tappe salienti dell’esistenza di due figure che vivranno nel segno dell’acquisizione di una personalità mitica nell’immaginario dei fan, tale da trascendere molto spesso persino l’altissima qualità delle rispettive interpretazioni.
In altre parole, se il saggio inizia a presentare i personaggi fin dagli anni della giovinezza e della formazione, mostrandoci le fasi fondamentali della loro vita dalla nascita all’avvio della loro carriera, il cuore della trattazione è dedicato al loro incontro e sodalizio professionale che culminerà nella partecipazione in comune a numerosi capolavori, e nel complesso a ben ventidue pellicole (più o meno rilevanti).
Quello che viene messo in luce in modo particolarmente interessante, però, è come – raggiunta l’acme delle rispettive potenzialità fisiche e attoriali – la semplice presenza in un film di uno dei due attori, quando non di tutti e due, diverrà in grado di alludere a un sottotesto leggendario prima in formazione e successivamente pienamente consolidato, una vera e propria scuola inconfondibile, quella improntata al lavoro della mitica casa di produzione Hammer e degli studios a essa affini. La presenza di Cushing o di Lee, già di per sé marchio di fabbrica di un certo modo di fare cinema, diverrà tale da evidenziare – quasi per antonomasia – diverse tipologie di recitazione (quando non dello stesso genere Fantastico), pur sempre segnate da elevatissimo grado di professionalità e interesse.
Se Cushing sarà l’emblema dell’algido, razionale e ascetico uomo di scienza intento a debellare le forze del male nelle pellicole per la regia di Terence Fisher (ma non solo), successivamente sarà anche la maschera dell’uomo tormentato, quella dell’eroe ambiguo che presenta inquietanti risvolti di debolezza e/o condiscendenza con l’oscurità, o ancora di colui che talora ne incarna a sua volta un’insinuante maschera (statisticamente un po’ meno rari, sono presenti – infatti – anche ruoli da villain per l’attore: leggendario il suo Barone Frankenstein, in particolare).
Lee sarà viceversa per la maggior parte dei casi il malvagio per eccellenza, tanto da diventare una delle facce più note del Dracula cinematografico, che interpreterà più di sette volte solo nel ciclo Hammer, oltre che il volto di numerosissimi altri mostri quali – ovviamente – la Creatura di Frankenstein e la Mummia. Ancora più numerose saranno, invece, le sue performances come “semplice” vampiro dalle più diverse identità, derivazioni e origini. Cattivo, si, ma a 360 gradi: e infatti l’attore rivestirà anche numerosi altri ruoli da villain, tutti però caratterizzati da un’estrema versatilità attoriale, dal suo celebre sguardo magnetico e penetrante, da una presenza scenica imponente e inconfondibile. Senza dimenticare come – specularmente all’amico – pure Lee si ritroverà talora a giocare in campo avversario interpretando anche dei “buoni” di notevole spessore.
Pezzini e Tintori non ci risparmiano giustamente nulla e nella loro puntuale e precisa disamina, le vicende biografiche dei due attori prendono vita e sono individuate come il trampolino di partenza per la costruzione di figure iconiche che trascenderanno la semplice esistenza fisica, che restano e resteranno in ognuno di noi, molto spesso incrociandosi con le storie umane e artistiche di numerose altre star indiscusse (citerò qui soltanto due delle fondamentali: John Carradine e soprattutto il grandissimo Vincent Price; con essi la Coppia lavorerà diverse volte, sia insieme che separatamente). E tutto questo senza mai negare la rispettiva umanissima personalità di Lee e Cushing nelle rispettive prove e difficoltà della vita di tutti i giorni, nonché l’assoluta saldezza del loro affetto amicale, alla quale componente si dedica il necessario spazio come obbligatorio contraltare della dimensione mitologica che viene analizzata in campo lavorativo.
Per chi come il sottoscritto, per ragioni meramente anagrafiche, non abbia fatto in tempo a vivere personalmente l’esaltante epopea Hammer & C. e abbia potuto goderne soltanto in maniera parziale e indiretta, il saggio dei Nostri riveste un’altra indubbia ragione di importanza, che gli conferisce un notevolissimo valore aggiunto. Esso costituisce, infatti, una sorta di guida e manuale di fruizione per numerosissimi film che – magari un po’ negletti o difficilmente reperibili sui circuiti tradizionali – possono essere riscoperti, contestualizzati e valutati attentamente alla luce della precisa indicazione dei punti di forza e di debolezza che ne hanno caratterizzato la lavorazione e l’esecuzione.
Se si parte, infatti, dai celeberrimi monster movies che riprendono e reinterpretano in chiave innovativa quelli della statunitense Universal, quali The Curse of Frankenstein, Horror of Dracula, The Mummy (con tutti i necessari sequels delle rispettive famiglie, fra i quali vale la pena di citare in questa sede almeno Dracula, Prince of Darkness, poi Dracula A.D. 1972 e infine The Satanic Rites of Dracula per la presenza congiunta del Tandem), non manca un ampio spazio per un goticizzato e ispiratissimo The Hound of Baskervilles, dedicato a una versione in salsa Hammer del più noto romanzo del Detective di Baker Street. Oppure, si pensi ancora all’eccellente adattamento de Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di R.L. Stevenson dal titolo I, Monster. Ma, come si diceva, risulta forse ancora più curiosa e intrigante da seguire la trattazione che gli autori fanno di alcuni titoli un pochino meno noti ma di indubbio interesse, come The Gorgon, il film a episodi Dr. Terror’s House of Horrors, The Skull, The Creeping Flesh o ancora la commedia nera House of the Long Shadows che rappresenta l’ultima collaborazione importante fianco a fianco di Lee e Cushing.
In tal senso, numerosi lavori che personalmente non conoscevo sono entrati (ed entreranno) nel mio orizzonte culturale (e suppongo non solo nel mio) grazie alla presentazione dei saggisti. Di alcuni di essi ho già preso visione, grazie all’utilissimo strumento di YouTube, e non posso che concordare sulle opinioni sagge e razionali proposte nel presente volume.
Ecco, quindi, che anche grazie ai nostri studiosi le imprese cinematografiche di Lee e Cushing possono avere una rinnovata diffusione e una più ampia conoscenza al di là dei suddetti grandi capolavori (quelli per intenderci con i “mostri” classici del gotico), anche attraverso la visione di film cosiddetti “minori”, con l’unico peccato originale di un basso budget di lavorazione e di ridotti mezzi produttivi (se mai si tratta di una colpa e non di un pregio, in quanto il low cost nel fantastico ha sempre fatto molto bene, consentendo di lavorare più sulla suggestione del non visto che sulla facile spettacolarità dell’effetto speciale, o effettaccio che sia). E penso che, da un certo punto di vista, non si potrebbe fare a Pezzini e Tintori complimento migliore di questo: aver contribuito tramite la loro scrittura e la loro analisi non solo alla migliore comprensione di un fenomeno epocale nella storia artistica del Novecento, ma anche al rinfocolarsi del desiderio di conoscere meglio e più estesamente la sterminata filmografia di Cushing e Lee.
Ma dal momento che la perfezione non è di questo mondo e che non sarebbe bene attirarmi sospetti di acriticità, parrebbe il caso di dover almeno cercare di individuare anche quali possano essere le manchevolezze, i fraintendimenti, le inopportune indulgenze, gli errori del saggio in esame. Il problema principale in quest’ottica (e c’è poco da fare in proposito – per fortuna) è che anche a ben cercare con una disamina lunga e scrupolosa, temo che il libro si ritroverebbe candidamente carente di mende e magagne di sorta, sia pure passato al vaglio particolarmente bilioso e livoroso di un qualsiasi recensore severo e arcigno. Figurarsi dinanzi al mio sguardo benevolo ed entusiasta!
Qualora dovessi proprio indicare un difetto essenziale dell’opera, tuttavia, penso che esso potrebbe essere individuato principalmente nell’assenza di un’appendice bio-biblio-filmografica circa il percorso biografico e l’attività completa dei due “Dioscuri della notte”, cosa che avrebbe costituito senz’altro l’eccellente coronamento, la ciliegina sulla torta – per così dire – del grossissimo lavoro svolto.
Se per rimarcare il mio apprezzamento a coronamento del discorso finora svolto e a mo’ di congedo finale dal presente articolo dovessi infine evidenziarne una finezza particolarmente piacevole, sia pure magari a un livello più frivolo, mi parrebbe il caso di ricordare senz’altro un’arguzia tipica di Pezzini e Tintori (già presente, peraltro, nei libri precedenti dei due), vale a dire il sapiente e capace uso di straordinari titoli e sottotitoli. Essi demarcano con gli ovvi fini pratici del caso l’andamento del susseguirsi dei capitoli, sempre nel segno del citazionismo più cinefilo e divertente tramite variazioni, giochi di parole e calembours, o in quello della battuta scherzosa, garbata e divertente. Per fare solo qualche esempio, eccone alcuni particolarmente sapidi e gustosi: “Megera e le sue sorelle (3.3.3)”, “Il mio nome è Sade, Marchese de Sade (4.3)”, “Il fascino discreto dell’autopsia (5.2.2)”, “L’ultimo uomo-demone del Pleistocene (5.4)”, e tanti altri.
Se non si fosse ancora capito fino a questo punto, quindi, la cinefilia è una malattia bellissima ma alquanto pervicace: quando ce l’hai nel sangue, è praticamente impossibile attenuarla o guarirne (e del resto, perché farlo?). Soprattutto, sfrutta tanti modi diversi di manifestarsi, è fortemente contagiosa e deve trovare uno sfogo.
Uno dei metodi per incanalare tutti questi effetti senza danno – e anzi procurandosi invece giovamento e vantaggio – è scrivere libri brillanti e interessanti (e appunto cinefili) quali Peter & Chris. I Dioscuri della notte. Come pure leggerli... Enjoy!
Peter & Chris. I Dioscuri della notte
Franco Pezzini e Angelica Tintori
Gargoyle Books, 2010
brossura, illustrato, 448 pagine, €16.00
ISBN 9788889541500
Umberto Sisia
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