L’antologia italiana Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero arriva come una ventata di aria fresca nel panorama del Fantastico Italiano. L’esperimento non è nuovo e si avvale di illustri predecessori. Occorrerà ritornare agli anni Ottanta-Novanta e a una illustre casa editrice, la Marino Solfanelli, che con la sua serie Le Ali della Fantasia molto si adoperò nella difficile impresa di “sdoganare” un genere, quello Fantastico, in un Paese, l’Italia, che ha sempre guardato con sospetto non scevro da implicazioni culturali, sociali e politiche questo genere.
Si trattò a suo tempo di un esperimento generoso e lungimirante, che ebbe il merito di far conoscere al pubblico autori della caratura di Riccardo Leveghi, Claudio Asciuti, Gianluigi Zuddas, Michele Mari, per non citarne che alcuni. Altra valida antologia (sempre marcata Solfanelli) fu I figli di Cthulhu, corale omaggio italiano alla narrativa di Lovecraft, viaggio interessante attraverso scenari “mediterranei” in alternativa alle atmosfere del New England del Maestro di Providence, a dimostrazione del fatto (se pure ce ne fosse stato il bisogno) che le linee tracciate da H.P. Lovecraft sono state e sono talmente potenti da poter prescindere da latitudini e fattori geografici o linguistici che dir si voglia.
Non va poi dimenticato quell’altro valido tentativo di stabilire i canoni di un “Fantastico” tutto italiano che fu Racconti di Tenebra, curato dal bravo Gabriele la Porta nel lontano 1987 per la Newton & Compton, diviso per generi e argomenti (“Demoni e affini”, “Spettri”, “Racconti del Mistero” etc.), porta narrativa aperta sul Mistero e sulle categorie del “Disturbante”. Potremmo anche risalire più indietro e fare riferimento al “Solaria” sul quale scrisse anche Montale o alla produzione fantastica di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, a ulteriore riprova del fatto che il genere Fantastico è ben lungi dall’essere sconosciuto nel Belpaese e conta antesignani illustri e capaci. Molti di questi autori sono stati poi inclusi, in segno di affettuoso omaggio, nella prestigiosa strenna del 2010 Racconti Fantastici del ’900 per gli Oscar Mondadori, curato da Giuseppe Lippi, e non dubitiamo del fatto che un futuro non troppo lontano (speriamo) vedrà molti degli autori inclusi nella raccolta Onda D’Abisso partecipi di un’ulteriore “strenna” sul Fantastico Italiano.
L’Antologia in questione consta di trenta racconti incentrati su di un unico tema, Il Mare, e si divide in tre sezioni distinte, rispettivamente “Sponde”, “Superfici”, “Abissi”, ognuna delle quali racchiude dieci racconti “a tema”. L’esperimento viene dalle menti fertili e immaginifiche di un “collettivo” di scrittura dal nome evocativo di “Carboneria Letteraria” e si avvale di una prefazione scritta da Valerio Evangelisti, vera e propria “eminenza grigia” (scriviamo affettuosamente) della Letteratura Fantastica italiana attuale. Recensire tutti e trenta i racconti inclusi nella raccolta sarebbe impresa troppo ardua, mi limiterò dunque a scegliere alcuni racconti da ogni sezione.
Il racconto di Alberto Cola intitolato “Le Bastarde”, contenuto nella prima sezione “Sponde”, segue punto per punto sia le indicazioni di Stephen King sulla costruzione del Terrore di tipo “Provinciale”, sia le preziosissime informazioni fornite da Thomas Ligotti nel suo “La Consolazione del Terrore”. Vi si trovano le inquietudini e le ombre della Provincia, in questo caso di quella abruzzese; il mare come causa dell’isolamento e della subalternità (per usare un’espressione cara a Ernesto De Martino) il motivo dell’edificazione di un centro abitato in una località marittima si sposa con le inquietudini tipiche dell’entrata nel mondo cosiddetto “moderno”, genera il fenomeno del turismo e apre nel contempo la stura all’irruzione dell’irrazionale inteso nel senso del “Rimosso” freudiano. Vi ritroviamo tutto il carico di aberrazioni e isolamento di una comunità piccola e chiusa a stretto e costante contatto con il mondo ancestrale del Soprannaturale. A scadenze regolari (tempo ciclico della comunità “rurale” o marittima in questo caso) fanno la loro apparizione delle “Entità” di origine malvagia, la cui natura e le cui fattezze sono solo “suggerite” e mai completamente mostrate, le quali si manifestano solo ai bambini e fanno di loro le vittime favorite.
Vi si ritrova tutto quel carico di angosce legato al mondo dell’Infanzia ferita e oltraggiata, che parte dalle preoccupazioni di tipo “Metafisico” di Arthur Machen (un racconto fra tutti: “The White People”) per sfociare in quelle di tipo socio-culturale di Stephen King (in particolare It). Il Mondo dell’Infanzia è pericolosamente vicino sia alla sfera della malvagità assoluta, come si sforza di dimostrare “Teologicamente” lo studioso Ambrose, nel racconto di Machen, sia al mondo dell’Innocenza e della solidarietà, ignorato dai grandi a causa del “Mal de vivre” tipico di una piccola comunità isolata. In mezzo fa capolino l’orrore “quotidiano” di un serial killer pederasta, elemento “sacrificale” che va qui inteso come il simbolo di una “Maturità” aberrante, che va eliminata a scopo catartico, dato che la narrazione è in prima persona e il protagonista è proprio un bambino. Vi si ritrovano gli elementi dell’“Horror sociale” moderno (incarnato dalla figura del serial-killer) e dell’orrore soprannaturale. Thomas Ligotti chiama quest’ultimo elemento “L’esca”, ovvero la “Promessa” di una conoscenza esoterica e occulta, elemento tipico anche della narrativa lovecraftiana.
Le Bastarde rinserrano in loro un mistero che è mistero del Male e della colpa, colpiscono solo gli innocenti, come i barboni di paese, gli anziani inermi, gli individui “di passaggio” (i turisti) e i bambini, gli unici che a causa della loro condizione “liminare”, al confine cioè fra il mondo opaco della maturità e quello caotico (in senso freudiano) dell’infanzia, sono in grado di vederle. Attraverso una catarsi sociale (il sacrificio del serial killer) i bambini “avvelenano” le Bastarde attraverso quello che Frazer definirebbe un “rito omeopatico” (un male usato per curare un altro male) e ristabiliscono così l’“Ordine” della realtà. Un pezzo magistrale quello di Cola, scritto con un registro quasi dialettale che lo rende ancor più efficace, un’opera di bravura.
In tutt’altri orrori ci cala invece il racconto “Gli Occhi” di Danilo Arona. Lo scrittore e saggista in questione invece (notevole anche il suo L’Ombra del Dio alato edito per Marco Tropea, vera e propria “Summa” di orrori archeologici e preistorici con più di una strizzata d’occhio al cinema e alla letteratura di genere) , si incunea nel solco di scrittori come Riccardo Leveghi e Gabriele La Porta. Il filone favorito da questi scrittori è un’affascinante mescolanza di esoterismo, orrore e fantapolitica con finale “a effetto”. Leveghi dette più di un saggio del suo particolare equilibrio sia con il racconto “Il Re del Mondo” (contenuto nella già citata raccolta I Figli di Cthulhu), sorta di “Call of Cthulhu” in versione “iniziatica” e quasi “Evoliana”, sia in Le Ali della Fantasia vol. IV (sempre per la Marino Solfanelli ed.) con il racconto “Le Montagne della Luna”, sorta di variazione sul tema dell’Apocalissi prossimo-ventura.
Arona ci parla di un’imminente catastrofe che miscela abilmente il tema della Tragedia naturale (Natura come Caos, tema Plotiniano già caro alla letteratura anglosassone, ma anche doloroso monito alla pericolosità delle rivoluzioni naturali, di cui la triste realtà attuale ci ha dato ben più di una dimostrazione) al tema di un’intelligenza “Cosmica” di origine maligna alla radice di tali fenomeni. Una serie “a catena” di eventi attribuibili alla famosa teoria caotica del “Butterfly effect” avvengono in concomitanza con la misteriosa apparizione in cielo di due nuvole a forma di occhi mostruosi.
“I fenomeni cataclismici o diluviali portano a ripetute scene di premonizione o a un provvisorio interesse per il misticismo. Chiusa un’epoca ne segue un’altra,” scriveva Leveghi ne “Il Re del Mondo”. “Chi ha progettato anni addietro l’Effetto Farfalla ben conosceva la psicologia del profondo. Morire annegati nel terrore, nelle proprie superstizioni o nel senso di colpa. Pochissimi si salveranno (attraverso i varchi-occhi dimensionali), ma saranno talmente terrorizzati che si asserviranno al Potere per generazioni,” scrive Arona. Nel primo caso si tratta di un’Apocalissi “Tradizionale”, che ricorda molto da vicino La crìse du monde moderne di René Guénon, nel secondo caso di un’Apocalissi “moderna” con il suo carico di angosce di fine millennio e di critica politico-sociale, ma il messaggio terrorifico è lo stesso per entrambi questi originali scrittori e nel secondo si tratta, inoltre, di un riuscito omaggio letterario alle teorie di Charles Fort, il ricercatore “non convenzionale” che con le sue “notizie dall’Altro Mondo”, fatte di piogge di sangue e passaggi nel cielo di Creature Mostruose, tanto contribuì allo sviluppo del realismo Fantastico.
Il racconto “Le Magnifiche sorti e progressive” di Andrea Angiolino e Francesca Garello è un originale e simpatico omaggio al “Dagon” di HPL, ambientato nella cornice ottocentesca della novella Unità d’Italia. Un Orrore ancestrale di classica memoria (la presenza del mostro Cariddi nella grotta di un paesino del Sud-Italia) fa la sua numinosa apparizione in pieno secolo di “progresso” e avanzamento sociale, fattore incarnato dalle simpatiche e realistiche figure di un ingegnere milanese e del suo assistente. Pare qui di ritrovare le stesse atmosfere della “Sirena” di Tomasi di Lampedusa e dei racconti “italiani” di Francis Marion Crawford, con la loro Italia del Sud calda e accogliente e con le vivide immagini di un retroterra culturale e geografico ricco di bellezza e di leggende ancora potenti e vitali, tragicamente attive e colte sull’orlo di un crepuscolo causato dall’avanzare del progresso e della macchina. Un mondo rurale visto nei barbagli di luce della poesia, prima del collasso causato dalla grande città con il suo carico foriero di “Magnifiche sorti e progressive” appunto.
Il racconto di Alessandro Cartoni intitolato “Naufragio per autospettatore” contenuto nella seconda parte dell’antologia dal nome evocativo di “Superfici”, potrebbe invece inaugurare un futuro Shock all’italiana. Il racconto contiene molti riferimenti a Richard Matheson, a partire dallo stile, secco, conciso, quasi da cronaca, in prima persona anche questo (come da tradizione “pulp”), essenziale nella sua economia da “storia di ordinaria follia”. La giornata al mare che un uomo qualunque trascorre con sua figlia, diventa il pretesto per una “fuga impossibile” dalla realtà di ogni giorno e dai suoi servili, inutili cliché.
Ogni elemento apparentemente “quotidiano” viene stravolto nel suo “doppio” grottesco e avvilente, dall’amichetto “leghista” della figlia del protagonista, alla rozza ostentazione di divertimento borghese da “Bon ton” spiaggistico esibita dagli altri bagnanti, sempre intravisti, sempre descritti marginalmente con pennellate di cinico manierismo, periferici ma persistenti moniti di un orrore latente e oppressivo, celato dalla sua apparente “normalità”. Perfino l’immagine, da sempre calma e dignitosa della terza età, viene stravolta e messa alla berlina da quegli “anziani in cuffia che galleggiano vicini come preservativi usati”, mentre una comica scena con un venditore ambulante fornisce l’ultimo simbolo di una spoliazione sociale agognata e sofferta e si sviluppa nell’originale epilogo alla Buzzati che conclude questo delizioso racconto.
“La Leggenda di Isla Colorada” di Angelo Marenzana si può invece definire un valido e potente omaggio alla narrativa “marinaresca” di William Hope Hodgson. Racconto ambientato al tempo della colonizzazione spagnola del Sudamerica, vi si narrano le vicissitudini dell’equipaggio di un personaggio storico, quell’Alvar Nunez detto “Cabeza de Vaca” (testa di vacca) che è stato il protagonista autentico di un tentativo fallito di esplorazione delle paludi della Lousiana ancora selvaggia e abitata da tribù di indiani ostili come i “Seminoles”, piagata da febbri malariche e da animali feroci. Qui invece il “Conquistador” si trova a dover fare fronte alla maledizione di un sacerdote azteco e alla insidie di un’isola che attira i marinai con colori e promesse di un riposo da lungo tempo agognato, sirena di terra e vegetazione tanto sgargiante quanto letale che incarna il fascino ambiguo dell’abisso e della colpa. La scena del “sacrificio” finale del marinaio principale colpevole dell’assassinio del sacerdote azteco merita di stare, per potenza drammatica, alla pari con molti altri personaggi altrettanto “condannati” della narrativa del Bloch ancora affezionato seguace di Lovecraft nonché dei suoi indimenticabili “Villain” come il dottor Carnoti o l’altrettanto brutale protagonista de “La stirpe di Bubastis”.
“Il misterioso diario del giovane Piotr” di Francesco Troccoli ci immerge a sua volta in atmosfere ben differenti ma non meno evocative e autorevoli. Attraverso il diario di un giovane fuori dal comune, veniamo dolcemente introdotti in un Mondo che potrebbe essere il nostro futuro più prossimo così come quello attualmente ben conosciuto ma ubicato in una dimensione parallela e veniamo a conoscenza di una nave di artisti circensi, ciascuno dotato di un potere particolare e di un particolare talento.
Il racconto ricorda molto le magnifiche e crepuscolari atmosfere del Ray Bradbury di Paese d’Ottobre o de Il Popolo d’Autunno, pieno com’è di crepuscolare dolcezza, di un senso imminente di rivelazione e della consapevolezza corale della fine di un mondo sull’orlo di una ominosa trasfigurazione. La ciurma di artisti dotati di poteri mentali che sfiorano la magia ricorda invece la “Famiglia Eterna” di cui Bradbury descrive le gesta in racconti come “Uncle Einar” o “Book of Shadows”, sorta di famiglia “ideale” costituita da “mostri” come vampiri, lupi mannari o stregoni, ma scevra al tempo stesso di tutte le tensioni, gli orrori e le contraddizioni di una famiglia più “convenzionale”. Racconto di rara sensibilità quello di Troccoli, giocato tutto sul binomio del mare della memoria, mare che scorre incessante e mutevole, e ghiaccio polare, simbolo dell’immobilità della percezione nonché emblema dell’attesa fredda e pura di un messaggio finale.
La terza parte nonché quella conclusiva dell’Antologia, dal titolo “Abissi”, ci immerge invece in atmosfere forse più crude ma non meno evocative e originali. Il racconto di Simonetta Santamaria, “Senza colore e senza calore”, è uno spietato e feroce affresco che coniuga sapientemente bestialità umana a feralità mitologica. Le perverse e sanguinose attività ricreative di un gruppo di “Yuppies” milanesi in crociera agisce in parallelo con la ferinità subacquea di mostruose creature abissali frutto di incroci inter-specie, dedite alla caccia e alla nutrizione. L’orrore e la crudezza degli umani in crociera agisce in parallelo con la ferocia, forse più pura, degli abissi equorei. La violenza di superficie pare solo apparentemente superare in aberrazione quella mostruosa del popolo degli abissi, ma alla fine viene da questa sconfitta, la sua colpa amorale cancellata dalla legge fredda e onesta di una natura selvaggia. Il racconto della brava scrittrice partenopea è un racconto che racchiude una morale dura ma onesta che si può riassumere nell’allocuzione che Robert Ervin Howard mette in bocca a uno dei protagonisti del racconto “Beyond the Black River”: “La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la Barbarie, alla fine, trionferà…”.
“Nekton” di Paolo Agaraff è invece la storia di una discesa scientifica nelle profondità della fossa delle Marianne e di ciò che i due scienziati, fautori del progetto, vi ritrovano. Il racconto costituisce un delizioso omaggio al cinema di genere, nella fattispecie a The Abyss di James Cameron, anche se Agaraff preferisce concentrarsi sul tema del mare come “luogo del rimpianto” e del carico spesso fatalmente attrattivo del passato come luogo dell’oblio, piuttosto che sul messaggio “ecologista” e coralmente umanitario del film di Cameron. Non per questo “Nekton” risulta meno riuscito o meno imaginifico.
Concludiamo con il racconto di Massimo Mongai, “Le dimensioni dell’Abisso”, ironico omaggio alla Science Fiction di Frederic Brown e della sua scuola. Un bellicoso e militarista popolo alieno, braccato da altre specie per la sua compulsiva aggressività, raduna gli ultimi appartenenti alla propria specie (qualche milione) all’interno di una gigantesca astronave dotata di dispositivi potentissimi e di armi letali. Decide infine di invadere l’ultimo pianeta con il quale entra in contatto, la Terra appunto, e si inabissa nelle profondità del mare allo scopo di preparare l’aggressione finale… ma scopre a sue spese che le dimensioni sono importanti al fine di preparare un’invasione. Nella comica e al tempo stesso inquietante descrizione di un popolo alieno militarista e colonizzatore, dotato di una struttura sociale rigidamente piramidale, dove l’assassinio politico non solo viene accettato ma caldamente incoraggiato, ritroviamo le bizzarre e colorite descrizioni di popoli alieni di scrittori come Jack Vance e non possiamo che considerare il comico e surreale “finale a sorpresa” come una strizzata d’occhio alla narrativa del maestro statunitense.
Completa il volume una serie di accurate note bio-bibliografiche sulla vita e l’opera dei vari autori, acclusa alla fine di ogni racconto.
Bibliografia:
Tim Underwood e Chuck Miller (a cura di), L’Orrore secondo Stephen King, Mondadori, 1999
AA.VV., Le Ali della Fantasia, Marino Solfanelli 1981
AA.VV., Racconti Fantastici del ’900, Mondadori, 2009
AA.VV., Racconti di Tenebra, Newton & Compton, 1987
Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero
a cura di Alessandro Morbidelli
collana Germogli, L'orecchio di Van Gogh, 2010
brossura, 275 pagine, €15.00
ISBN 9788887487879
Si trattò a suo tempo di un esperimento generoso e lungimirante, che ebbe il merito di far conoscere al pubblico autori della caratura di Riccardo Leveghi, Claudio Asciuti, Gianluigi Zuddas, Michele Mari, per non citarne che alcuni. Altra valida antologia (sempre marcata Solfanelli) fu I figli di Cthulhu, corale omaggio italiano alla narrativa di Lovecraft, viaggio interessante attraverso scenari “mediterranei” in alternativa alle atmosfere del New England del Maestro di Providence, a dimostrazione del fatto (se pure ce ne fosse stato il bisogno) che le linee tracciate da H.P. Lovecraft sono state e sono talmente potenti da poter prescindere da latitudini e fattori geografici o linguistici che dir si voglia.
Non va poi dimenticato quell’altro valido tentativo di stabilire i canoni di un “Fantastico” tutto italiano che fu Racconti di Tenebra, curato dal bravo Gabriele la Porta nel lontano 1987 per la Newton & Compton, diviso per generi e argomenti (“Demoni e affini”, “Spettri”, “Racconti del Mistero” etc.), porta narrativa aperta sul Mistero e sulle categorie del “Disturbante”. Potremmo anche risalire più indietro e fare riferimento al “Solaria” sul quale scrisse anche Montale o alla produzione fantastica di Italo Calvino e Tommaso Landolfi, a ulteriore riprova del fatto che il genere Fantastico è ben lungi dall’essere sconosciuto nel Belpaese e conta antesignani illustri e capaci. Molti di questi autori sono stati poi inclusi, in segno di affettuoso omaggio, nella prestigiosa strenna del 2010 Racconti Fantastici del ’900 per gli Oscar Mondadori, curato da Giuseppe Lippi, e non dubitiamo del fatto che un futuro non troppo lontano (speriamo) vedrà molti degli autori inclusi nella raccolta Onda D’Abisso partecipi di un’ulteriore “strenna” sul Fantastico Italiano.
L’Antologia in questione consta di trenta racconti incentrati su di un unico tema, Il Mare, e si divide in tre sezioni distinte, rispettivamente “Sponde”, “Superfici”, “Abissi”, ognuna delle quali racchiude dieci racconti “a tema”. L’esperimento viene dalle menti fertili e immaginifiche di un “collettivo” di scrittura dal nome evocativo di “Carboneria Letteraria” e si avvale di una prefazione scritta da Valerio Evangelisti, vera e propria “eminenza grigia” (scriviamo affettuosamente) della Letteratura Fantastica italiana attuale. Recensire tutti e trenta i racconti inclusi nella raccolta sarebbe impresa troppo ardua, mi limiterò dunque a scegliere alcuni racconti da ogni sezione.
Il racconto di Alberto Cola intitolato “Le Bastarde”, contenuto nella prima sezione “Sponde”, segue punto per punto sia le indicazioni di Stephen King sulla costruzione del Terrore di tipo “Provinciale”, sia le preziosissime informazioni fornite da Thomas Ligotti nel suo “La Consolazione del Terrore”. Vi si trovano le inquietudini e le ombre della Provincia, in questo caso di quella abruzzese; il mare come causa dell’isolamento e della subalternità (per usare un’espressione cara a Ernesto De Martino) il motivo dell’edificazione di un centro abitato in una località marittima si sposa con le inquietudini tipiche dell’entrata nel mondo cosiddetto “moderno”, genera il fenomeno del turismo e apre nel contempo la stura all’irruzione dell’irrazionale inteso nel senso del “Rimosso” freudiano. Vi ritroviamo tutto il carico di aberrazioni e isolamento di una comunità piccola e chiusa a stretto e costante contatto con il mondo ancestrale del Soprannaturale. A scadenze regolari (tempo ciclico della comunità “rurale” o marittima in questo caso) fanno la loro apparizione delle “Entità” di origine malvagia, la cui natura e le cui fattezze sono solo “suggerite” e mai completamente mostrate, le quali si manifestano solo ai bambini e fanno di loro le vittime favorite.
Vi si ritrova tutto quel carico di angosce legato al mondo dell’Infanzia ferita e oltraggiata, che parte dalle preoccupazioni di tipo “Metafisico” di Arthur Machen (un racconto fra tutti: “The White People”) per sfociare in quelle di tipo socio-culturale di Stephen King (in particolare It). Il Mondo dell’Infanzia è pericolosamente vicino sia alla sfera della malvagità assoluta, come si sforza di dimostrare “Teologicamente” lo studioso Ambrose, nel racconto di Machen, sia al mondo dell’Innocenza e della solidarietà, ignorato dai grandi a causa del “Mal de vivre” tipico di una piccola comunità isolata. In mezzo fa capolino l’orrore “quotidiano” di un serial killer pederasta, elemento “sacrificale” che va qui inteso come il simbolo di una “Maturità” aberrante, che va eliminata a scopo catartico, dato che la narrazione è in prima persona e il protagonista è proprio un bambino. Vi si ritrovano gli elementi dell’“Horror sociale” moderno (incarnato dalla figura del serial-killer) e dell’orrore soprannaturale. Thomas Ligotti chiama quest’ultimo elemento “L’esca”, ovvero la “Promessa” di una conoscenza esoterica e occulta, elemento tipico anche della narrativa lovecraftiana.
Le Bastarde rinserrano in loro un mistero che è mistero del Male e della colpa, colpiscono solo gli innocenti, come i barboni di paese, gli anziani inermi, gli individui “di passaggio” (i turisti) e i bambini, gli unici che a causa della loro condizione “liminare”, al confine cioè fra il mondo opaco della maturità e quello caotico (in senso freudiano) dell’infanzia, sono in grado di vederle. Attraverso una catarsi sociale (il sacrificio del serial killer) i bambini “avvelenano” le Bastarde attraverso quello che Frazer definirebbe un “rito omeopatico” (un male usato per curare un altro male) e ristabiliscono così l’“Ordine” della realtà. Un pezzo magistrale quello di Cola, scritto con un registro quasi dialettale che lo rende ancor più efficace, un’opera di bravura.
In tutt’altri orrori ci cala invece il racconto “Gli Occhi” di Danilo Arona. Lo scrittore e saggista in questione invece (notevole anche il suo L’Ombra del Dio alato edito per Marco Tropea, vera e propria “Summa” di orrori archeologici e preistorici con più di una strizzata d’occhio al cinema e alla letteratura di genere) , si incunea nel solco di scrittori come Riccardo Leveghi e Gabriele La Porta. Il filone favorito da questi scrittori è un’affascinante mescolanza di esoterismo, orrore e fantapolitica con finale “a effetto”. Leveghi dette più di un saggio del suo particolare equilibrio sia con il racconto “Il Re del Mondo” (contenuto nella già citata raccolta I Figli di Cthulhu), sorta di “Call of Cthulhu” in versione “iniziatica” e quasi “Evoliana”, sia in Le Ali della Fantasia vol. IV (sempre per la Marino Solfanelli ed.) con il racconto “Le Montagne della Luna”, sorta di variazione sul tema dell’Apocalissi prossimo-ventura.
Arona ci parla di un’imminente catastrofe che miscela abilmente il tema della Tragedia naturale (Natura come Caos, tema Plotiniano già caro alla letteratura anglosassone, ma anche doloroso monito alla pericolosità delle rivoluzioni naturali, di cui la triste realtà attuale ci ha dato ben più di una dimostrazione) al tema di un’intelligenza “Cosmica” di origine maligna alla radice di tali fenomeni. Una serie “a catena” di eventi attribuibili alla famosa teoria caotica del “Butterfly effect” avvengono in concomitanza con la misteriosa apparizione in cielo di due nuvole a forma di occhi mostruosi.
“I fenomeni cataclismici o diluviali portano a ripetute scene di premonizione o a un provvisorio interesse per il misticismo. Chiusa un’epoca ne segue un’altra,” scriveva Leveghi ne “Il Re del Mondo”. “Chi ha progettato anni addietro l’Effetto Farfalla ben conosceva la psicologia del profondo. Morire annegati nel terrore, nelle proprie superstizioni o nel senso di colpa. Pochissimi si salveranno (attraverso i varchi-occhi dimensionali), ma saranno talmente terrorizzati che si asserviranno al Potere per generazioni,” scrive Arona. Nel primo caso si tratta di un’Apocalissi “Tradizionale”, che ricorda molto da vicino La crìse du monde moderne di René Guénon, nel secondo caso di un’Apocalissi “moderna” con il suo carico di angosce di fine millennio e di critica politico-sociale, ma il messaggio terrorifico è lo stesso per entrambi questi originali scrittori e nel secondo si tratta, inoltre, di un riuscito omaggio letterario alle teorie di Charles Fort, il ricercatore “non convenzionale” che con le sue “notizie dall’Altro Mondo”, fatte di piogge di sangue e passaggi nel cielo di Creature Mostruose, tanto contribuì allo sviluppo del realismo Fantastico.
Il racconto “Le Magnifiche sorti e progressive” di Andrea Angiolino e Francesca Garello è un originale e simpatico omaggio al “Dagon” di HPL, ambientato nella cornice ottocentesca della novella Unità d’Italia. Un Orrore ancestrale di classica memoria (la presenza del mostro Cariddi nella grotta di un paesino del Sud-Italia) fa la sua numinosa apparizione in pieno secolo di “progresso” e avanzamento sociale, fattore incarnato dalle simpatiche e realistiche figure di un ingegnere milanese e del suo assistente. Pare qui di ritrovare le stesse atmosfere della “Sirena” di Tomasi di Lampedusa e dei racconti “italiani” di Francis Marion Crawford, con la loro Italia del Sud calda e accogliente e con le vivide immagini di un retroterra culturale e geografico ricco di bellezza e di leggende ancora potenti e vitali, tragicamente attive e colte sull’orlo di un crepuscolo causato dall’avanzare del progresso e della macchina. Un mondo rurale visto nei barbagli di luce della poesia, prima del collasso causato dalla grande città con il suo carico foriero di “Magnifiche sorti e progressive” appunto.
Il racconto di Alessandro Cartoni intitolato “Naufragio per autospettatore” contenuto nella seconda parte dell’antologia dal nome evocativo di “Superfici”, potrebbe invece inaugurare un futuro Shock all’italiana. Il racconto contiene molti riferimenti a Richard Matheson, a partire dallo stile, secco, conciso, quasi da cronaca, in prima persona anche questo (come da tradizione “pulp”), essenziale nella sua economia da “storia di ordinaria follia”. La giornata al mare che un uomo qualunque trascorre con sua figlia, diventa il pretesto per una “fuga impossibile” dalla realtà di ogni giorno e dai suoi servili, inutili cliché.
Ogni elemento apparentemente “quotidiano” viene stravolto nel suo “doppio” grottesco e avvilente, dall’amichetto “leghista” della figlia del protagonista, alla rozza ostentazione di divertimento borghese da “Bon ton” spiaggistico esibita dagli altri bagnanti, sempre intravisti, sempre descritti marginalmente con pennellate di cinico manierismo, periferici ma persistenti moniti di un orrore latente e oppressivo, celato dalla sua apparente “normalità”. Perfino l’immagine, da sempre calma e dignitosa della terza età, viene stravolta e messa alla berlina da quegli “anziani in cuffia che galleggiano vicini come preservativi usati”, mentre una comica scena con un venditore ambulante fornisce l’ultimo simbolo di una spoliazione sociale agognata e sofferta e si sviluppa nell’originale epilogo alla Buzzati che conclude questo delizioso racconto.
“La Leggenda di Isla Colorada” di Angelo Marenzana si può invece definire un valido e potente omaggio alla narrativa “marinaresca” di William Hope Hodgson. Racconto ambientato al tempo della colonizzazione spagnola del Sudamerica, vi si narrano le vicissitudini dell’equipaggio di un personaggio storico, quell’Alvar Nunez detto “Cabeza de Vaca” (testa di vacca) che è stato il protagonista autentico di un tentativo fallito di esplorazione delle paludi della Lousiana ancora selvaggia e abitata da tribù di indiani ostili come i “Seminoles”, piagata da febbri malariche e da animali feroci. Qui invece il “Conquistador” si trova a dover fare fronte alla maledizione di un sacerdote azteco e alla insidie di un’isola che attira i marinai con colori e promesse di un riposo da lungo tempo agognato, sirena di terra e vegetazione tanto sgargiante quanto letale che incarna il fascino ambiguo dell’abisso e della colpa. La scena del “sacrificio” finale del marinaio principale colpevole dell’assassinio del sacerdote azteco merita di stare, per potenza drammatica, alla pari con molti altri personaggi altrettanto “condannati” della narrativa del Bloch ancora affezionato seguace di Lovecraft nonché dei suoi indimenticabili “Villain” come il dottor Carnoti o l’altrettanto brutale protagonista de “La stirpe di Bubastis”.
“Il misterioso diario del giovane Piotr” di Francesco Troccoli ci immerge a sua volta in atmosfere ben differenti ma non meno evocative e autorevoli. Attraverso il diario di un giovane fuori dal comune, veniamo dolcemente introdotti in un Mondo che potrebbe essere il nostro futuro più prossimo così come quello attualmente ben conosciuto ma ubicato in una dimensione parallela e veniamo a conoscenza di una nave di artisti circensi, ciascuno dotato di un potere particolare e di un particolare talento.
Il racconto ricorda molto le magnifiche e crepuscolari atmosfere del Ray Bradbury di Paese d’Ottobre o de Il Popolo d’Autunno, pieno com’è di crepuscolare dolcezza, di un senso imminente di rivelazione e della consapevolezza corale della fine di un mondo sull’orlo di una ominosa trasfigurazione. La ciurma di artisti dotati di poteri mentali che sfiorano la magia ricorda invece la “Famiglia Eterna” di cui Bradbury descrive le gesta in racconti come “Uncle Einar” o “Book of Shadows”, sorta di famiglia “ideale” costituita da “mostri” come vampiri, lupi mannari o stregoni, ma scevra al tempo stesso di tutte le tensioni, gli orrori e le contraddizioni di una famiglia più “convenzionale”. Racconto di rara sensibilità quello di Troccoli, giocato tutto sul binomio del mare della memoria, mare che scorre incessante e mutevole, e ghiaccio polare, simbolo dell’immobilità della percezione nonché emblema dell’attesa fredda e pura di un messaggio finale.
La terza parte nonché quella conclusiva dell’Antologia, dal titolo “Abissi”, ci immerge invece in atmosfere forse più crude ma non meno evocative e originali. Il racconto di Simonetta Santamaria, “Senza colore e senza calore”, è uno spietato e feroce affresco che coniuga sapientemente bestialità umana a feralità mitologica. Le perverse e sanguinose attività ricreative di un gruppo di “Yuppies” milanesi in crociera agisce in parallelo con la ferinità subacquea di mostruose creature abissali frutto di incroci inter-specie, dedite alla caccia e alla nutrizione. L’orrore e la crudezza degli umani in crociera agisce in parallelo con la ferocia, forse più pura, degli abissi equorei. La violenza di superficie pare solo apparentemente superare in aberrazione quella mostruosa del popolo degli abissi, ma alla fine viene da questa sconfitta, la sua colpa amorale cancellata dalla legge fredda e onesta di una natura selvaggia. Il racconto della brava scrittrice partenopea è un racconto che racchiude una morale dura ma onesta che si può riassumere nell’allocuzione che Robert Ervin Howard mette in bocca a uno dei protagonisti del racconto “Beyond the Black River”: “La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la Barbarie, alla fine, trionferà…”.
“Nekton” di Paolo Agaraff è invece la storia di una discesa scientifica nelle profondità della fossa delle Marianne e di ciò che i due scienziati, fautori del progetto, vi ritrovano. Il racconto costituisce un delizioso omaggio al cinema di genere, nella fattispecie a The Abyss di James Cameron, anche se Agaraff preferisce concentrarsi sul tema del mare come “luogo del rimpianto” e del carico spesso fatalmente attrattivo del passato come luogo dell’oblio, piuttosto che sul messaggio “ecologista” e coralmente umanitario del film di Cameron. Non per questo “Nekton” risulta meno riuscito o meno imaginifico.
Concludiamo con il racconto di Massimo Mongai, “Le dimensioni dell’Abisso”, ironico omaggio alla Science Fiction di Frederic Brown e della sua scuola. Un bellicoso e militarista popolo alieno, braccato da altre specie per la sua compulsiva aggressività, raduna gli ultimi appartenenti alla propria specie (qualche milione) all’interno di una gigantesca astronave dotata di dispositivi potentissimi e di armi letali. Decide infine di invadere l’ultimo pianeta con il quale entra in contatto, la Terra appunto, e si inabissa nelle profondità del mare allo scopo di preparare l’aggressione finale… ma scopre a sue spese che le dimensioni sono importanti al fine di preparare un’invasione. Nella comica e al tempo stesso inquietante descrizione di un popolo alieno militarista e colonizzatore, dotato di una struttura sociale rigidamente piramidale, dove l’assassinio politico non solo viene accettato ma caldamente incoraggiato, ritroviamo le bizzarre e colorite descrizioni di popoli alieni di scrittori come Jack Vance e non possiamo che considerare il comico e surreale “finale a sorpresa” come una strizzata d’occhio alla narrativa del maestro statunitense.
Completa il volume una serie di accurate note bio-bibliografiche sulla vita e l’opera dei vari autori, acclusa alla fine di ogni racconto.
Bibliografia:
Tim Underwood e Chuck Miller (a cura di), L’Orrore secondo Stephen King, Mondadori, 1999
AA.VV., Le Ali della Fantasia, Marino Solfanelli 1981
AA.VV., Racconti Fantastici del ’900, Mondadori, 2009
AA.VV., Racconti di Tenebra, Newton & Compton, 1987
Onda d’abisso. Trenta autori per trenta storie di mare e di mistero
a cura di Alessandro Morbidelli
collana Germogli, L'orecchio di Van Gogh, 2010
brossura, 275 pagine, €15.00
ISBN 9788887487879
Mariano D’Anza
Più che una recensione sembra un'agiografia!
RispondiEliminaSquirek
Io le recensioni le scrivo così, sennò preferisco non scriverle. Prendere o lasciare ...
RispondiEliminaOnorato e grato, saluto!
RispondiEliminaLa rece assai lusinghiera e analitica ci ha colpito tutti. Grazie per l'acccostamento a R.Matheson. Arrosisco e gioisco. Alex Cartoni
RispondiEliminaBella recensione, se ne leggono sempre meno di questo livello
RispondiEliminaOnorata e felice di essere citata dalla vostra rivista! Giro i complimenti all'antologia che se li merita tutti ;)
RispondiEliminaSimonetta Santamaria
P.S. E complimenti anche al recensore che ha fatto un lavoro davvero di fino: se non l'avessi letta mi verrebbe voglia di rileggerla ;)
RispondiEliminaSimonetta Santamaria