Articolo in tre parti. Vedi parte precedente.
Una volta abbandonato il mare William Hope Hodgson, memore delle sue passate disavventure, deciderà di migliorare il proprio fisico rendendolo duro e scattante. Non contento, scriverà un manuale di cultura fisica e fonderà addirittura una palestra “per allenare lo spirito e i corpo”. Più avanti nel tempo e in un altro continente, uno smilzo, angariato e malaticcio Robert E. Howard deciderà di trasformare il proprio corpo in quello di uno dei suoi barbarici eroi d’età antidiluviana, come Conan e Kull di Valusia, e praticherà il pugilato. Destini simili, diverse fortune. Altre coincidenze? Hodgson moltiplica le sue prodezze atletiche tanto da meritarsi alcune pagine di ammirazione da parte del giornale locale, la sua palestra è piena, ma non basta, così il Nostro si improvvisa fotografo amatoriale. Non basta ancora: nella prima maturità, infine, decide di creare quei capolavori per i quali H.P. Lovecraft si dimostrerà entusiasta.
Sono gli anni della “Trilogia dell’Abisso”; due romanzi di cui abbiamo già parlato: The Boats of the Glen Carrig (Naufragio nell’ingoto) e The Ghost Pirates (I pirati fantasma), più uno ambientato sulla terraferma (per modo di dire), ovvero The House on the Borderland (La casa sull’abisso). In quest’ultimo, Hodgson sviluppa l’intuizione principale che sta alla base dei primi due, ma con potenza simbolica, se possibile, ancora maggiore. L’essere umano è come un edificio pieno di stanze, alcune luminose, altre avvolte dalle ombre, il cui tetto aspira alle altezze celesti ma le cui fondamenta sprofondano negli inferi, laddove attendono in agguato creature mostruose e brutali.
Fotografo istintivo e abile per inclinazione, Hodgson con questo romanzo immortala in alcune potenti immagini tutta la psicologia di Freud e Jung di là a venire. Il protagonista di questo lungo incubo abita con la sorella in una casa che esiste contemporaneamente in più dimensioni (“on the borderland” appunto, sul confine fra questo e altri mondi). Un giorno la sorella viene aggredita da alcune ributtanti creature porcine che paiono sorgere dagli immensi sotterranei della casa (un simbolo degli istinti primordiali repressi e deformati dalla ragione?) e i due sono costretti a difendersi con ogni mezzo dagli assalti di queste creature.
Nelle pagine successive, l’incubo si tinge di metafisica. Il protagonista, mentre si ritrova al suo scrittoio a riordinare gli orribili fatti occorsi in tempi recenti, attraversa il tempo e lo spazio in quello che potrebbe essere definito uno stadio mistico-contemplativo indotto dalla natura della casa. Il tempo comincia a scorrere nelle due direzioni (passato e futuro) alternativamente. Al termine di questo viaggio, egli si ritrova all’interno di un’enorme arena circondata da statue mostruose, fra le quali campeggia una in particolare che ricorda ominosamente gli orribili esseri porcini contro i quali ha combattuto.
Infine, viene proiettato nello spazio profondo, laddove il potenziale di tutte le cose a venire è contenuto in sfere luminose “sulle quali si alternano facce orribili”. Lovecraft riprende queste e consimili visioni nel suo “The Dreams in the Witch House” (“I sogni nella casa stregata”), laddove la meditazione su alcune “geometrie non-euclidee” conduce il protagonista all’interno di una città aliena dalle forme folli e incomprensibili.
Ma c’è di più: Hodgson rivela in questi squarci visionari una non comune preparazione in dottrine occulte. La meditazione con conseguente viaggio astrale del protagonista ricorda molto da vicino certe pratiche magiche in uso nei circoli occultistici dell’epoca, mentre la visione delle sfere rimanda alle strutture occulte della Cabala ebraica. Era convinzione comune, fra gli occultisti occidentali e fin dal medioevo, che il processo attraverso il quale Dio ha creato il mondo potesse essere riassunto e schematizzato mediante la raffigurazione di un numero variabile di sfere (da dodici a diciannove) rappresentanti ciascuna una “Potestà” o un attributo della divinità. Tali sfere venivano chiamate nell’occultismo ebraico “Sephiroth” (probabilmente una contrazione spuria dal greco “sphairos”, sfera appunto).
D’altro canto, ciascuna di queste sfere o potestà includeva un suo opposto speculare, una “sfera d’ombra” racchiudente le scorie della creazione, gli esperimenti scartati da Dio al momento di creare il mondo oppure, in linguaggio psicologico, il “rimosso” freudiano. Tali sfere speculari venivano denominate invece “Qlippoth” o “Quelippoth”, in aramaico “sudiciume”. Al tempo di Hodgson, alcuni occultisti (fra i quali l’onnipresente Aleister Crowley) ritenevano che così come si potesse “salire” attraverso le Sephiroth all’intelligenza “Prima” di Dio, giungendo a entrare in comunicazione con la mente stessa del Creatore, allo stesso modo fosse possibile “regredire” o “discendere” verso il “ventre” di Dio, passando attraverso le sue feci ossia “Quelippoth”, le sfere demoniache rappresentanti l’ombra della creazione.
Non è provata né documentabile l’affiliazione di Hodgson a suddetti circoli massonico-occultistici quali, per esempio, la Golden Dawn di S.L. MacGregor Mathers o la “Societas Rosicruciana in Anglia” di A.E. Waite, fatto sta che il Nostro, all’interno di The House on the Borderland, sta evidentemente sviluppando in maniera creativa suddette teorie. Il suo è un racconto di “regressione” all’“Ombra” Junghiana, molto prima che il pensiero dello psicologo svizzero coniasse il termine specifico per la disciplina in questione, regressione verso il rimosso o l’istinto bestiale primordiale che avviene prima per l’essere umano in particolare, tipizzato dal protagonista, poi illustrato per l’intera Creazione attraverso i gusci “pieni di infamia” delle Quelippoth. Così come il futuro fa un balzo in avanti nella mente di Dio, allo stesso modo il passato regredisce alla bestia immonda che soggiace a qualsiasi sforzo civilizzatore. Sotto la luce dei “piani alti” sta la tenebra delle fondamenta, dove le creature porcine stanno in agguato.
Occorrerà riportare che il tema della regressione allo stato bestiale percorre tutta la letteratura inglese più originale del periodo; da The Time Machine (La macchina del tempo) di Herbert George Wells, con la sua suddivisione sociale in evoluti “Eloi” (termine che ricorda gli “Elohim”, angeli della tradizione ebraica) e bestiali “Morlocks”, passando attraverso il Dr. Jekill and Mr. Hyde di R.L. Stevenson per sfociare in “The Great God Pan” (“Il grande dio Pan”) di Arthur Machen. Tuttavia va a Hodgson il merito di aver esteso su scala cosmica il tema della regressione, lezione che Lovecraft non dimenticherà.
Dopo la stesura di The House on the Borderland l’Occulto non cessa di affascinare Hodgson, né deve stupire trattandosi di una personalità come la sua, attratta dal fascino dell’Ignoto e per di più talmente eclettica da essere capace di spaziare dalla marineria alla fotografia. Le avventure di Carnacki the Ghost Finder (Carnacki, cacciatore di spettri) riprendono e sviluppano tali interessi, inserendosi nel solco delle avventure “poliziesche” e di investigazione del ben più famoso Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Il Carnacki di Hodgson è uno dei suoi tanti alter ego letterari, una simpatica figura di “Investigatore dell’Occulto” che affronta demoni e creature dell’Altrove armato di profonde conoscenze esoteriche e di un robusto apparato scientifico al passo coi tempi. Nel racconto “The Hog” (“Il verro”) Carnacki si oppone ai tormenti inflitti a un suo cliente da un demone dalle ennesime fattezze porcine, “isolando” la sua malefica manifestazione all’interno di un pentacolo elettrico a vari colori anticipando, forse, i venturi esperimenti con la luce al neon.
Le suddivisioni che Hodgson-Carnacki opera fra Entità “Aeiirii”, meno pericolose, ed Entità “Saiitii” estremamente letali costituisce una strizzata d’occhio al gergo occulto di certe conventicole esoteriche, punte di humor che Lovecraft applicherà puntualmente nei suoi racconti, né va ignorata la fortuna che certe commistioni fra scienza empirica e soprannaturale avranno nella letteratura successiva di genere, basti pensare al già citato “The Dreams in the Witch House”.
[Continua]
Una volta abbandonato il mare William Hope Hodgson, memore delle sue passate disavventure, deciderà di migliorare il proprio fisico rendendolo duro e scattante. Non contento, scriverà un manuale di cultura fisica e fonderà addirittura una palestra “per allenare lo spirito e i corpo”. Più avanti nel tempo e in un altro continente, uno smilzo, angariato e malaticcio Robert E. Howard deciderà di trasformare il proprio corpo in quello di uno dei suoi barbarici eroi d’età antidiluviana, come Conan e Kull di Valusia, e praticherà il pugilato. Destini simili, diverse fortune. Altre coincidenze? Hodgson moltiplica le sue prodezze atletiche tanto da meritarsi alcune pagine di ammirazione da parte del giornale locale, la sua palestra è piena, ma non basta, così il Nostro si improvvisa fotografo amatoriale. Non basta ancora: nella prima maturità, infine, decide di creare quei capolavori per i quali H.P. Lovecraft si dimostrerà entusiasta.
Sono gli anni della “Trilogia dell’Abisso”; due romanzi di cui abbiamo già parlato: The Boats of the Glen Carrig (Naufragio nell’ingoto) e The Ghost Pirates (I pirati fantasma), più uno ambientato sulla terraferma (per modo di dire), ovvero The House on the Borderland (La casa sull’abisso). In quest’ultimo, Hodgson sviluppa l’intuizione principale che sta alla base dei primi due, ma con potenza simbolica, se possibile, ancora maggiore. L’essere umano è come un edificio pieno di stanze, alcune luminose, altre avvolte dalle ombre, il cui tetto aspira alle altezze celesti ma le cui fondamenta sprofondano negli inferi, laddove attendono in agguato creature mostruose e brutali.
Fotografo istintivo e abile per inclinazione, Hodgson con questo romanzo immortala in alcune potenti immagini tutta la psicologia di Freud e Jung di là a venire. Il protagonista di questo lungo incubo abita con la sorella in una casa che esiste contemporaneamente in più dimensioni (“on the borderland” appunto, sul confine fra questo e altri mondi). Un giorno la sorella viene aggredita da alcune ributtanti creature porcine che paiono sorgere dagli immensi sotterranei della casa (un simbolo degli istinti primordiali repressi e deformati dalla ragione?) e i due sono costretti a difendersi con ogni mezzo dagli assalti di queste creature.
Nelle pagine successive, l’incubo si tinge di metafisica. Il protagonista, mentre si ritrova al suo scrittoio a riordinare gli orribili fatti occorsi in tempi recenti, attraversa il tempo e lo spazio in quello che potrebbe essere definito uno stadio mistico-contemplativo indotto dalla natura della casa. Il tempo comincia a scorrere nelle due direzioni (passato e futuro) alternativamente. Al termine di questo viaggio, egli si ritrova all’interno di un’enorme arena circondata da statue mostruose, fra le quali campeggia una in particolare che ricorda ominosamente gli orribili esseri porcini contro i quali ha combattuto.
Infine, viene proiettato nello spazio profondo, laddove il potenziale di tutte le cose a venire è contenuto in sfere luminose “sulle quali si alternano facce orribili”. Lovecraft riprende queste e consimili visioni nel suo “The Dreams in the Witch House” (“I sogni nella casa stregata”), laddove la meditazione su alcune “geometrie non-euclidee” conduce il protagonista all’interno di una città aliena dalle forme folli e incomprensibili.
Ma c’è di più: Hodgson rivela in questi squarci visionari una non comune preparazione in dottrine occulte. La meditazione con conseguente viaggio astrale del protagonista ricorda molto da vicino certe pratiche magiche in uso nei circoli occultistici dell’epoca, mentre la visione delle sfere rimanda alle strutture occulte della Cabala ebraica. Era convinzione comune, fra gli occultisti occidentali e fin dal medioevo, che il processo attraverso il quale Dio ha creato il mondo potesse essere riassunto e schematizzato mediante la raffigurazione di un numero variabile di sfere (da dodici a diciannove) rappresentanti ciascuna una “Potestà” o un attributo della divinità. Tali sfere venivano chiamate nell’occultismo ebraico “Sephiroth” (probabilmente una contrazione spuria dal greco “sphairos”, sfera appunto).
D’altro canto, ciascuna di queste sfere o potestà includeva un suo opposto speculare, una “sfera d’ombra” racchiudente le scorie della creazione, gli esperimenti scartati da Dio al momento di creare il mondo oppure, in linguaggio psicologico, il “rimosso” freudiano. Tali sfere speculari venivano denominate invece “Qlippoth” o “Quelippoth”, in aramaico “sudiciume”. Al tempo di Hodgson, alcuni occultisti (fra i quali l’onnipresente Aleister Crowley) ritenevano che così come si potesse “salire” attraverso le Sephiroth all’intelligenza “Prima” di Dio, giungendo a entrare in comunicazione con la mente stessa del Creatore, allo stesso modo fosse possibile “regredire” o “discendere” verso il “ventre” di Dio, passando attraverso le sue feci ossia “Quelippoth”, le sfere demoniache rappresentanti l’ombra della creazione.
Non è provata né documentabile l’affiliazione di Hodgson a suddetti circoli massonico-occultistici quali, per esempio, la Golden Dawn di S.L. MacGregor Mathers o la “Societas Rosicruciana in Anglia” di A.E. Waite, fatto sta che il Nostro, all’interno di The House on the Borderland, sta evidentemente sviluppando in maniera creativa suddette teorie. Il suo è un racconto di “regressione” all’“Ombra” Junghiana, molto prima che il pensiero dello psicologo svizzero coniasse il termine specifico per la disciplina in questione, regressione verso il rimosso o l’istinto bestiale primordiale che avviene prima per l’essere umano in particolare, tipizzato dal protagonista, poi illustrato per l’intera Creazione attraverso i gusci “pieni di infamia” delle Quelippoth. Così come il futuro fa un balzo in avanti nella mente di Dio, allo stesso modo il passato regredisce alla bestia immonda che soggiace a qualsiasi sforzo civilizzatore. Sotto la luce dei “piani alti” sta la tenebra delle fondamenta, dove le creature porcine stanno in agguato.
Occorrerà riportare che il tema della regressione allo stato bestiale percorre tutta la letteratura inglese più originale del periodo; da The Time Machine (La macchina del tempo) di Herbert George Wells, con la sua suddivisione sociale in evoluti “Eloi” (termine che ricorda gli “Elohim”, angeli della tradizione ebraica) e bestiali “Morlocks”, passando attraverso il Dr. Jekill and Mr. Hyde di R.L. Stevenson per sfociare in “The Great God Pan” (“Il grande dio Pan”) di Arthur Machen. Tuttavia va a Hodgson il merito di aver esteso su scala cosmica il tema della regressione, lezione che Lovecraft non dimenticherà.
Dopo la stesura di The House on the Borderland l’Occulto non cessa di affascinare Hodgson, né deve stupire trattandosi di una personalità come la sua, attratta dal fascino dell’Ignoto e per di più talmente eclettica da essere capace di spaziare dalla marineria alla fotografia. Le avventure di Carnacki the Ghost Finder (Carnacki, cacciatore di spettri) riprendono e sviluppano tali interessi, inserendosi nel solco delle avventure “poliziesche” e di investigazione del ben più famoso Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Il Carnacki di Hodgson è uno dei suoi tanti alter ego letterari, una simpatica figura di “Investigatore dell’Occulto” che affronta demoni e creature dell’Altrove armato di profonde conoscenze esoteriche e di un robusto apparato scientifico al passo coi tempi. Nel racconto “The Hog” (“Il verro”) Carnacki si oppone ai tormenti inflitti a un suo cliente da un demone dalle ennesime fattezze porcine, “isolando” la sua malefica manifestazione all’interno di un pentacolo elettrico a vari colori anticipando, forse, i venturi esperimenti con la luce al neon.
Le suddivisioni che Hodgson-Carnacki opera fra Entità “Aeiirii”, meno pericolose, ed Entità “Saiitii” estremamente letali costituisce una strizzata d’occhio al gergo occulto di certe conventicole esoteriche, punte di humor che Lovecraft applicherà puntualmente nei suoi racconti, né va ignorata la fortuna che certe commistioni fra scienza empirica e soprannaturale avranno nella letteratura successiva di genere, basti pensare al già citato “The Dreams in the Witch House”.
[Continua]
Mariano D’Anza
Ciao, posso chiederti se hai qualche saggio critico da suggerirmi per approfondire? Specialmente riguardo a terrore dagli abissi, grazie.
RispondiElimina