Il nome di Alan Moore è talmente noto da non avere nemmeno bisogno di presentazioni. Dalle origini su Captain Britain passando per il suo famosissimo ciclo che rivoluzionò Swamp Thing e attraversando numerosissimi veri e propri capolavori come V for Vendetta, From Hell, Watchmen, The League of Extraordinary Gentlemen, Promethea e tanto altro, lo scrittore inglese si colloca sicuramente fra i cinque più grandi storytellers contemporanei del mondo del fumetto (scegliete voi gli altri a vostro piacimento).
L’uscita in Italia del suo ultimo lavoro, Neonomicon, la serie strettamente interconnessa con l’universo lovecraftiano della quale pretende di essere insieme una derivazione, una continuazione e un restyling (e da qui il prefisso Neo-), dovrebbe allora costituire un evento estremamente significativo ed epocale, e vieppiù – dato l’argomento – dovrebbe esserlo per gli appassionati di weird e letteratura del soprannaturale. Ma, consentitemi di anticiparlo, mai il condizionale risulta più d’obbligo.
In primo luogo, dunque, che cos’è Neonomicon? Specifichiamolo meglio.
Si tratta di una miniserie americana in quattro parti edita dalla Avatar Press che si ricollega a filo doppio e anzi triplo a una storia precedente, The Courtyard (stampata nel medesimo volume nell’edizione italiana della Bao Publishing), tratta appunto da un racconto di Moore e adattata per il fumetto da Anthony Jonhston. In essa si narrava di un agente federale in missione per indagare su una serie di raccapriccianti omicidi seriali identici, dei quali si autoaccusavano stranamente ben più persone del tutto differenti. Alla ricerca della verità, il Nostro si sarebbe imbattuto ben presto in qualcosa di molto più terribile e diabolico visitando il centro di tutto, un tal misterioso Club Zothique, ove suona una band dal nome The Cats of Ulthar la cui leader è una certa Randolph Carter. Qui un misterioso Johnny Carcosa spaccia un’altrettanto misteriosa sostanza, la “Polvere Bianca”, in grado di mettere in contatto con i segreti dell’Aklo...
I nostri lettori avranno colto benissimo tutte le allusioni al mondo del circolo di H.P. Lovecraft: da questo spunto si dipana un racconto autoconclusivo tutto sommato abbastanza contratto, ma non privo di un certo fascino complessivo, e fin qui le cose parrebbero andare tutto sommato abbastanza positivamente dal punto di vista del giudizio sull’opera.
Diversi anni dopo, però (appunto quando inizia la miniserie oggetto della presente discussione), altri due agenti federali riprendono le indagini del loro collega (del quale non si anticipa la sorte), finiscono anch’essi nel Club Zothique e da qui intraprendono la loro pericolosa e anzi mostruosa odissea che li condurrà alla scoperta di ciò che giace oltre la soglia e delle segrete cose dell’universo.
Non è un segreto che Alan Moore abbia accettato di scrivere questa miniserie per motivi schiettamente economici di problemi finanziari, e in sé non ci sarebbe nulla di male in questo. Il problema principale è che, però, alla fine della lettura essa comunica nettamente l’impressione che essa sia stata scritta esclusivamente per motivi alimentari. Intendiamoci, stiamo parlando pur sempre di Alan Moore per cui la professionalità c’è tutta, la capacità di stendere sceneggiature anche estremamente coinvolgenti è evidente così come lo è l’efficacia delle stesse battute (o della maggior parte di esse quantomeno), ed è presente in dosi massicce anche il sottile e fine gioco letterario e meta-letterario che ben conosciamo da altre opere.
Nell’approccio alla narrazione ci imbattiamo, dunque, in tutte queste componenti e anche di più. Alcune cose funzionano abbastanza, tuttavia: per esempio l’ammodernamento cronologico in chiave di storia poliziesca contemporanea del clima lovecraftiano, così come funzionano molto almeno un paio di spunti immaginifici che ben si sposano al tessuto costitutivo della narrativa di Lovecraft.
Che cosa c’è che non va allora? Potremmo dire che manca un pochino il cuore del racconto, vale a dire una motivazione profonda del perché esso esista: il puro divertissement letterario e fumettistico fa poca strada e, inoltre, cosa abbastanza grave, Moore dimostra una scarsissima padronanza del nucleo profondo e filosofico dell’opera dello scrittore di Providence. O almeno, se tale conoscenza ha, la applica in modo estremamente superficiale incagliandosi sulle solite viete e ritrite questioni inerenti razzismo e sessualità repressa allo scopo dichiarato di essere originale (e quindi fallendo in questo) e di dare una propria lettura personale (e anche su questo punto non essendo personale affatto).
Intendiamoci, non che tali questioni non esistano o siano prive di importanza nell’esegesi dell’opera lovecraftiana, né intendo proporre questa linea interpretativa spinto da chissà quale pruderie, però incentrare la miniserie solo su questi due aspetti equivale, se mi si consente l’immagine, a volersi fare una nuotata in un lago profondo e ricco d’acqua senza peritarsi però di fare qualche passo che allontani dalla riva. E soprattutto equivale al massimo a fare un racconto fintamente lovecraftiano, sfruttandone nome e notorietà per dare sfogo alle proprie personalissime visioni e ossessioni, che siano esse occultistiche, sessuali o altro. Se è lecito interrogarsi anche su aspetti psicanalitici o sulla presenza/assenza di componenti sessuali nell’opera di HPL, farne oggetto centrale e quasi esclusivo della miniserie da parte di Moore dà decisamente l’impressione che il bersaglio non sia stato centrato.
Aggiungiamo un altro importante problema di natura strutturale: la miniserie oltre che sbilanciata risulta peraltro confusa e troppo breve. Se The Courtyard nonostante tutto e pur con tutti i suoi difetti aveva un proprio senso, una propria compattezza, suggeriva un’idea di arcano e mistero oltre che una certa componente di disturbo soffuso della nostra tranquillità concettuale, Neonomicon dà l’idea di essere strutturalmente incompleto, di suggerire appena i concetti portanti del discorso, sospendendo la narrazione proprio quando essi parevano entrare nel vivo. Pare girare attorno alle cose essenziali: oltre a deviare decisamente e banalizzare in un senso tutto terreno le creature lovecraftiane, non è nemmeno in grado di parlarne con effettiva compiutezza, per quanto è ovvio che la reticenza da un racconto del genere non possa mai essere del tutto esclusa.
Neonomicon è così, dunque, una serie che trae spunto da un racconto base troppo sintetico, oscuro ma ancora brillante, per inoltrarsi in territori tutto sommato consueti e desolantemente banali. Qualche flash di genialità, battute sostanzialmente efficaci con un ritmo piuttosto sostenuto e momenti di rara visionarietà. Non mancano ricchissimi e numerosissimi inside jokes, divertenti finché si vuole ma in questo caso asostanziali. Con molta, moltissima “fuffa”. E poco, pochissimo Lovecraft... quasi zero.
C’è qualcosa da salvare in un giudizio che non può sostanzialmente che essere molto negativo? Tutto sommato direi di sì e la cosa che si salva di più sono i disegni di Jacen Burrows. Un ottimo autore ancora non molto conosciuto ma caratterizzato da uno stile pulito, efficace, suggestivo, dalle notevolissime capacità di impianto della tavola e del layout. Fra i tanti stili mai utilizzati per un racconto lovecraftiano, questo pare particolarmente pregnante: ne è prova la particolare potenza delle immagini soprannaturali, ambientate in uno dei tanti Altrove della letteratura dello scrittore di Providence. Uno specifico occhio di attenzione è da destinare alle numerose e meravigliose covers (o per meglio dire doppie copertine e variant covers), senza dimenticarsi di lodare caldamente gli eccellenti colori di Juanmar.
Spiace soltanto che il connubio fra testi e disegni si sia realizzato in questo caso in modo tanto parziale e tanto deficitario nei riguardi del primo versante. E spiace soprattutto per l’occasione perduta.
Neonomicon
Alan Moore e Jacen Burrows
Bao Publishing, 2011
cartonato, formato 15,7x 23,6 cm., 160 pagine a colori, €17.00
ISBN 9788865430354
L’uscita in Italia del suo ultimo lavoro, Neonomicon, la serie strettamente interconnessa con l’universo lovecraftiano della quale pretende di essere insieme una derivazione, una continuazione e un restyling (e da qui il prefisso Neo-), dovrebbe allora costituire un evento estremamente significativo ed epocale, e vieppiù – dato l’argomento – dovrebbe esserlo per gli appassionati di weird e letteratura del soprannaturale. Ma, consentitemi di anticiparlo, mai il condizionale risulta più d’obbligo.
In primo luogo, dunque, che cos’è Neonomicon? Specifichiamolo meglio.
Si tratta di una miniserie americana in quattro parti edita dalla Avatar Press che si ricollega a filo doppio e anzi triplo a una storia precedente, The Courtyard (stampata nel medesimo volume nell’edizione italiana della Bao Publishing), tratta appunto da un racconto di Moore e adattata per il fumetto da Anthony Jonhston. In essa si narrava di un agente federale in missione per indagare su una serie di raccapriccianti omicidi seriali identici, dei quali si autoaccusavano stranamente ben più persone del tutto differenti. Alla ricerca della verità, il Nostro si sarebbe imbattuto ben presto in qualcosa di molto più terribile e diabolico visitando il centro di tutto, un tal misterioso Club Zothique, ove suona una band dal nome The Cats of Ulthar la cui leader è una certa Randolph Carter. Qui un misterioso Johnny Carcosa spaccia un’altrettanto misteriosa sostanza, la “Polvere Bianca”, in grado di mettere in contatto con i segreti dell’Aklo...
I nostri lettori avranno colto benissimo tutte le allusioni al mondo del circolo di H.P. Lovecraft: da questo spunto si dipana un racconto autoconclusivo tutto sommato abbastanza contratto, ma non privo di un certo fascino complessivo, e fin qui le cose parrebbero andare tutto sommato abbastanza positivamente dal punto di vista del giudizio sull’opera.
Diversi anni dopo, però (appunto quando inizia la miniserie oggetto della presente discussione), altri due agenti federali riprendono le indagini del loro collega (del quale non si anticipa la sorte), finiscono anch’essi nel Club Zothique e da qui intraprendono la loro pericolosa e anzi mostruosa odissea che li condurrà alla scoperta di ciò che giace oltre la soglia e delle segrete cose dell’universo.
Non è un segreto che Alan Moore abbia accettato di scrivere questa miniserie per motivi schiettamente economici di problemi finanziari, e in sé non ci sarebbe nulla di male in questo. Il problema principale è che, però, alla fine della lettura essa comunica nettamente l’impressione che essa sia stata scritta esclusivamente per motivi alimentari. Intendiamoci, stiamo parlando pur sempre di Alan Moore per cui la professionalità c’è tutta, la capacità di stendere sceneggiature anche estremamente coinvolgenti è evidente così come lo è l’efficacia delle stesse battute (o della maggior parte di esse quantomeno), ed è presente in dosi massicce anche il sottile e fine gioco letterario e meta-letterario che ben conosciamo da altre opere.
Nell’approccio alla narrazione ci imbattiamo, dunque, in tutte queste componenti e anche di più. Alcune cose funzionano abbastanza, tuttavia: per esempio l’ammodernamento cronologico in chiave di storia poliziesca contemporanea del clima lovecraftiano, così come funzionano molto almeno un paio di spunti immaginifici che ben si sposano al tessuto costitutivo della narrativa di Lovecraft.
Che cosa c’è che non va allora? Potremmo dire che manca un pochino il cuore del racconto, vale a dire una motivazione profonda del perché esso esista: il puro divertissement letterario e fumettistico fa poca strada e, inoltre, cosa abbastanza grave, Moore dimostra una scarsissima padronanza del nucleo profondo e filosofico dell’opera dello scrittore di Providence. O almeno, se tale conoscenza ha, la applica in modo estremamente superficiale incagliandosi sulle solite viete e ritrite questioni inerenti razzismo e sessualità repressa allo scopo dichiarato di essere originale (e quindi fallendo in questo) e di dare una propria lettura personale (e anche su questo punto non essendo personale affatto).
Intendiamoci, non che tali questioni non esistano o siano prive di importanza nell’esegesi dell’opera lovecraftiana, né intendo proporre questa linea interpretativa spinto da chissà quale pruderie, però incentrare la miniserie solo su questi due aspetti equivale, se mi si consente l’immagine, a volersi fare una nuotata in un lago profondo e ricco d’acqua senza peritarsi però di fare qualche passo che allontani dalla riva. E soprattutto equivale al massimo a fare un racconto fintamente lovecraftiano, sfruttandone nome e notorietà per dare sfogo alle proprie personalissime visioni e ossessioni, che siano esse occultistiche, sessuali o altro. Se è lecito interrogarsi anche su aspetti psicanalitici o sulla presenza/assenza di componenti sessuali nell’opera di HPL, farne oggetto centrale e quasi esclusivo della miniserie da parte di Moore dà decisamente l’impressione che il bersaglio non sia stato centrato.
Aggiungiamo un altro importante problema di natura strutturale: la miniserie oltre che sbilanciata risulta peraltro confusa e troppo breve. Se The Courtyard nonostante tutto e pur con tutti i suoi difetti aveva un proprio senso, una propria compattezza, suggeriva un’idea di arcano e mistero oltre che una certa componente di disturbo soffuso della nostra tranquillità concettuale, Neonomicon dà l’idea di essere strutturalmente incompleto, di suggerire appena i concetti portanti del discorso, sospendendo la narrazione proprio quando essi parevano entrare nel vivo. Pare girare attorno alle cose essenziali: oltre a deviare decisamente e banalizzare in un senso tutto terreno le creature lovecraftiane, non è nemmeno in grado di parlarne con effettiva compiutezza, per quanto è ovvio che la reticenza da un racconto del genere non possa mai essere del tutto esclusa.
Neonomicon è così, dunque, una serie che trae spunto da un racconto base troppo sintetico, oscuro ma ancora brillante, per inoltrarsi in territori tutto sommato consueti e desolantemente banali. Qualche flash di genialità, battute sostanzialmente efficaci con un ritmo piuttosto sostenuto e momenti di rara visionarietà. Non mancano ricchissimi e numerosissimi inside jokes, divertenti finché si vuole ma in questo caso asostanziali. Con molta, moltissima “fuffa”. E poco, pochissimo Lovecraft... quasi zero.
C’è qualcosa da salvare in un giudizio che non può sostanzialmente che essere molto negativo? Tutto sommato direi di sì e la cosa che si salva di più sono i disegni di Jacen Burrows. Un ottimo autore ancora non molto conosciuto ma caratterizzato da uno stile pulito, efficace, suggestivo, dalle notevolissime capacità di impianto della tavola e del layout. Fra i tanti stili mai utilizzati per un racconto lovecraftiano, questo pare particolarmente pregnante: ne è prova la particolare potenza delle immagini soprannaturali, ambientate in uno dei tanti Altrove della letteratura dello scrittore di Providence. Uno specifico occhio di attenzione è da destinare alle numerose e meravigliose covers (o per meglio dire doppie copertine e variant covers), senza dimenticarsi di lodare caldamente gli eccellenti colori di Juanmar.
Spiace soltanto che il connubio fra testi e disegni si sia realizzato in questo caso in modo tanto parziale e tanto deficitario nei riguardi del primo versante. E spiace soprattutto per l’occasione perduta.
Neonomicon
Alan Moore e Jacen Burrows
Bao Publishing, 2011
cartonato, formato 15,7x 23,6 cm., 160 pagine a colori, €17.00
ISBN 9788865430354
Umberto Sisia
Burrows è poco conosciuto in Italia, ma in patria ha un discreto seguito (dai tempi di Transmetropolitan almeno). Bellissima comunque quest'analisi critica focalizzata sul referente, applausi.
RispondiEliminaDissento in toto dalla stroncatura, trovo il Neonomicon di Moore un'opera godibilissima e originale, e con buona pace del recensore una buona rivisitazione dei miti del solitario (al quale immagino avrebbe dato qualche turbamento); non mi va proprio di cercare profondità filosofiche e profonde in un'opera (ottima) come quella di HPL che scriveva anche lui per campare, molto più di quanto possa aver fatto Moore
RispondiEliminaConcordo in pieno con la recensione. Aggiungo una volgarità gratuita che diventa pornografia che ci si poteva risparmiare. Alcuni tocchi di genialità non distolgono da un'opera profondamente superficiale. Grande delusione. Samuel M
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