lunedì 30 agosto 2010

Weird Words, un lessico lovecraftiano

Weird Words: A Lovecraftian Lexicon, 2009Pubblicato negli Stati Uniti da Hippocampus Press, Weird Words: A Lovecraftian Lexicon è un singolare quanto utile lessico di genere compilato da Daniel Clore, scrittore e saggista ben noto fra gli appassionati, integrando le funzioni di un dizionario etimologico dei più inusuali termini ricorrenti nella narrativa weird a un’ampia raccolta di citazioni, collegate alla voce in esame per illustrarne l’evoluzione e l’uso dai classici elisabettiani fino ai pulp del primo XX secolo, o la contemporanea fantascienza.

Una guida tematica – oltre che un vocabolario – per la letteratura inglese dell’insolito e dello straordinario, attraverso titoli, stralci ed esempi significativi in testi e scrittori del fantastico tra i più vari nella recente evoluzione della lingua. Così, se pur bastano dodici righe a definire “Cyclopean”, in una ciclopica dozzina di pagine l’esposizione prosegue con decine di brani a seguirne l’utilizzo, dalla versione di John Dryden dell’Eneide fino al racconto “The Prodigy of Dreams” di Thomas Ligotti.

Da “Abaddon”, personificazione dell’idea della distruzione, sino alla terra favolosa di “Zemargad” passando per esotismi, latinismi, nomi e terminologie arcaiche, dal mito come la droga “Nephente” o dalla tradizione magica come il coltello cerimoniale “Arthame”... Migliaia di voci si alternano, in quasi seicento pagine, nel dare definizione alle parole “oscure” utilizzate nell’opera di autori fantastici quali Howard Phillips Lovecraft, preso a esempio emblematico fin dal sottotitolo.

Non solo in Italia, il linguaggio semplificato della comunicazione di massa sta facendo strage di parole, assottigliando un vocabolario comune ormai sempre più teledipendente e alienato da sfumature letterarie, tanto da compromettere la generale comprensione di un testo pubblicato soltanto pochi decenni prima. Dunque, se da una parte qui da noi si rendono “più facili e scorrevoli” le meno recenti versioni narrative – come si faceva un tempo soltanto con le riduzioni per ragazzi –, nei paesi di cultura anglosassone la situazione non è poi tanto diversa, quando persino quella che poco tempo fa era letteratura popolare richiede oggi note a margine per essere compresa.

Proprio nel fantastico, tale tendenza si fa ancora più evidente: gli arcaismi nei racconti horror di Lovecraft ed Edgar Allan Poe, la prosa complessa, poetica e sgargiante di Clark Ashton Smith, le allusioni mitologiche o persino esoteriche tipiche di certa fantasy e del weird, diventano una selva oscura per il lettore nutrito al massimo di bestsellers e instant-books.

Una rara illustrazione di Howard Wandrei rende preziosa la copertina del volume, un’anteprima del quale viene resa disponibile con le sedici pagine iniziali attraverso il servizio Look Inside! di Amazon.

Altre informazioni sul libro presso la pagina web dell’editore.

Weird Words: A Lovecraftian Lexicon
Dan Clore
Hippocampus Press, 2009
brossura, 576 pagine, $25.00
ISBN 9780982429648

Andrea Bonazzi

sabato 28 agosto 2010

Bruno Schulz: Le botteghe color cannella

Le botteghe color cannella, 2008, copertina“Con il suo amico Gombrowicz, Bruno Schulz è il grande maestro della letteratura polacca del Novecento. Secondo Kantor, che ha costruito La classe morta da un suo racconto, «tutta la nostra generazione è cresciuta di fatto all’ombra di Schulz». Le botteghe color cannella, la sua prima e più famosa raccolta di racconti, è un’autobiografia trasformata in una fantasiosa mitologia dell’infanzia. Uno dei massimi esempi di come la letteratura possa riscattare la banalità della vita quotidiana con le armi del grottesco e dell’invenzione linguistica. Questo volume, oltre a tutti i racconti di Bruno Schulz, con le illustrazioni originali dell’autore, ripresenta i frammenti, i testi critici e quelli politici dello scrittore, nonché Il libro idolatrico, una storia per immagini che dimostra il grande talento di Schulz anche come disegnatore”.

“Il punto di partenza della fantasia visionaria di Bruno Schulz è l’affollata e disordinata bottega di stoffe del padre: un vecchietto-demiurgo che sconvolge in modo imprevedibile tutte le regole della fisica e della ragione. Jakob si arrampica come un ragnetto per gli scaffali, inseguendo i ragni; elabora arzigogolate cosmogonie interpretando a modo suo i segni del cielo; si circonda di specie bizzarre e variopinte di volatili, diventando anche lui una sorta di feroce condor; si trasforma in pompiere con tanto di divisa rosso fiammante e alamari d’oro... Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo (basta come pretesto, ad esempio, un vecchio album di francobolli) si accavallano con l’ausilio di una lingua poetica schioppettante di metafore. Scettico sulle possibilità di conoscenza umane, Schulz dette libero sfogo alla fantasia e alla «mitizzazione» della realtà. Nella infinita varietà dei suoi aspetti, l’opera di Schulz, sia letteraria sia pittorica, ha una sua unitarietà. I racconti, assieme ai disegni, costituiscono un Libro: una sorta di Bibbia dell’infanzia perduta”. (Francesco M. Cataluccio)

Apparso nel 1970 presso Einaudi, allora con i soli contenuti narrativi, e già pubblicato nella presente edizione completa – in copertina rigida – nel 2001, Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi, e i disegni riunisce finalmente assieme in italiano la narrativa superstite, la saggistica e parte dell’opera grafica dell’eclettico e sfortunato Bruno Schulz, scrittore e pittore polacco morto cinquantenne nel 1942, ucciso per strada dalla Gestapo nel ghetto di Drohobycz, sua città natale.

Le botteghe color cannella, 2001, copertinaIl volume è curato da Francesco M. Cataluccio per la traduzione di Anna Vivanti Salmon, Vera Verdini e Andrzej Zelinski, e comprende le principali raccolte dei racconti, fra loro collegati, Le botteghe color cannella (Sklepy Cynamonowe, 1934), Il sanatorio all’insegna della Clessidra (Sanatorium pod Klepsydra, 1937), completo di illustrazioni originali, e La cometa (Kometa, 1938), seguite da tre ulteriori frammenti di narrativa e dai testi critici e politici. In appendice le incisioni che compongono Il libro idolatrico (Xiega Balwochwalcza, 1920-1922), racconto visuale sul filo di un sarcastico erotismo feticista. Chiude un saggio dello stesso Cataluccio a introduzione dell’autore.

Bruno Schulz è certo uno scrittore di letteratura fantastica nel sublimare in mito i propri ricordi d'infanzia, uscendo dal tempo e dai limiti della prosaica realtà per trasformarli in personale mondo ideale con la stessa intensità, appunto, del racconto mitologico. Ma è un fantastico, il suo, forse troppo idealizzato e rarefatto in simboli per essere apertamente riconosciuto come tale. Non al di là, almeno, del facile e consueto paragone con Franz Kafka. Forse persino temendo di riconoscere in esso l’elemento fantastico stesso, per molti sempre così poco consono ad accostarsi alla Letteratura, quella con l’iniziale al maiuscolo.

Ne Le botteghe color cannella, tra inventiva e reali memorie la famiglia, la casa, l’intera città del narratore assumono i connotati di uno stupore infantile elevato a norma, di un reale sfumato entro i confini del fantastico sino a fondere entrambi in una sola superiore percezione del tutto, così che a tratti cose e persone possono trasfigurare, mutare forme ed essenza con la naturalezza propria del sogno. O piuttosto, ancora, del mito.

Beast, di Bruno Schulz da Xiega Balwochwalcza, 1920-1922Le storie, ridotto il dialogo al minimo, procedono dipinte per vividi, surreali quadri d’immagine; gli oggetti spesso descritti come se fossero esseri viventi. La medesima figura del padre, centrale riferimento sempre inquieto a perdersi in febbrili divagazioni, appare estinguersi in un uccellaccio impagliato; poi, novello Gregor Samsa, perseguitato dagli scarafaggi finisce col diventare uno di essi. Nel successivo Il sanatorio all’insegna della Clessidra egli invece è morto… Eppure lo ritroviamo bel tranquillo in questo singolare sanatorio, un luogo il cui particolare “tempo sospeso” consente di prolungare una sorta di indefinibile non-vita. Ne La cometa, infine, vediamo l’intera città accogliere con entusiasmo l’annuncio di un’imminente fine del mondo.

“– Il Demiurgo, – diceva mio padre, – non ebbe il monopolio della creazione; la creazione è un privilegio di tutti gli spiriti. La materia è dotata di una fecondità senza fine, di un’inesauribile forza vitale e al tempo stesso di un seducente potere di tentazione che ci spinge a creare.” Questo l’incipit del “Trattato dei manichini”, compreso ne Le botteghe color cannella, che poco oltre prosegue: “Essa costituisce un territorio fuori legge, aperto a ogni genere di ciarlatanerie e dilettantismi, il regno di tutti gli abusi e di tutte le dubbie manipolazioni demiurgiche. La materia è l’entità più passiva e indifesa del cosmo. Ognuno può plasmarla, modellarla, a ognuno essa obbedisce. Tutte le organizzazioni della materia sono instabili e fragili, facili a regredire e a dissolversi.”

Oggetto di tanto delirio è qui la sub-creazione, l’aspirazione ad animare l’inanimato, manipolare una realtà secondaria assurgendo a un pur inferiore grado di demiurgia. Con un’implicita, conseguente ombra di sospetto verso quella “perfetta” superna creazione che proprio noi mette in scena. Non stupisce quindi che Schulz rappresenti una delle dichiarate influenze letterarie per l’horror filosofico di Thomas Ligotti, i temi del quale sembrano quasi ritrovarsi in simili paragrafi: “– Avete mai udito di notte gli urli terribili di questi fantocci di cera, chiusi nei baracconi da fiera, il coro lamentoso di quei tronchi di legno e porcellana che tempestano di pugni le pareti delle loro prigioni?”

Il libro idolatrico (Xiega Balwochwalcza)Più avanti, la descrizione delle ipotetiche sotto-creazioni si fa pressoché lovecraftiana: “– Una specie di generazione di esseri solo a metà organici, una sorta di pseudovegetazione e di pseudofauna, risultati di una fermentazione fantastica della materia. Erano creazioni apparentemente simili a esseri viventi, a vertebrati, crostacei, artropodi, ma quell’apparenza ingannava. In realtà erano creature amorfe, senza struttura interna, prodotte dalle tendenze imitatrici della materia.” Immagini non troppo lontane, in fondo, dalla genesi artificiale dei proteiformi Shoggoth narrata dal Gentiluomo di Providence in quegli anni stessi.

Le opere di Schulz hanno trovato visionaria interpretazione cinematografica nel film Sanatorium Pod Klepsydrą di Wojciech Has, girato in Polonia nel 1973 quale adattamento de Il sanatorio all’insegna della Clessidra, e nel cortometraggio d’animazione Street of Crocodiles che i fratelli Quay dedicarono nel 1986 a Le botteghe color canella.

I disegni e le incisioni dell’artista si possono trovare, insieme ad altro materiale di consultazione, sul sito web di lingua inglese The Art of Bruno Schulz, www.brunoschulzart.org.

Le botteghe color cannella
Tutti i racconti, i saggi, e i disegni
Bruno Schulz
collana Letture, Einaudi, 2008
brossura, illustrazioni in bianco e nero, 530 pagine, €19.00
ISBN 9788806193638

Andrea Bonazzi

(pubblicato su In Tenebris Scriptus il 6/06/08)

giovedì 26 agosto 2010

H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu a fumetti per Michael Zigerlig

H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu, 2010, copertinaDa poco pubblicato negli Stati Uniti per la Transfuzion Publishing, arriva l'ultima versione a fumetti del più celebre e rappresentativo fra i racconti del Gentiluomo di Providence.

H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu, scritto e illustrato dall'artista svizzero Michael Zigerlig, è un adattamento de Il richiamo di Cthulhu di Howard Phillips Lovecraft attraverso i punti di vista di tre protagonisti della storia, narrazione inquadrata in austere e buie tavole in bianco e nero che si affidano alla prosa del monologo, rinunciando all'uso dei classici balloons.

Accompagnato dalla prestigiosa quanto breve introduzione di H.R. Giger, il volume presenta un’ampia anteprima delle sue prime 20 pagine presso lo spazio web dedicato su MyEbook.

Maggiori informazioni sul sito ufficiale di Transfuzion.

H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu, Michael Zigerlig, preview
H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu, Michael Zigerlig, preview
H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu, Michael Zigerlig, preview

H.P. Lovecraft’s Call of Chtulhu
Michael Zigerlig
Transfuzion Publishing, 2010
brossura, 72 pagine in bianco e nero, $9.99
ISBN 9780941613897

Andrea Bonazzi

martedì 24 agosto 2010

Botanica Delira: strane storie dal mondo vegetale

Botanica Delira, 2010, copertina“Altre storie di vegetazione strana, sconosciuta e omicida” è quel che recita il sottotitolo di Botanica Delira. More Stories of Strange, Undiscovered, and Murderous Vegetation, una antologia a cura di Chad Arment fresca di stampa per la piccola casa editrice americana Coachwhip Publications, specializzata nella riproposta di testi d’epoca o da tempo fuori copyright fra letteratura fantastica e saggistica assortita.

Complemento ideale all’analogo Flora Curiosa. Cryptobotany, Mysterious Fungi, Sentient Trees, and Deadly Plants in Classic Science Fiction and Fantasy pubblicato nel 2008, il volume raccoglie altri 21 racconti brevi avventurosi, esotici e fantastici sul tema, tutti apparsi tra la fine dell’Ottocento e gli anni 30, da Louisa May Alcott a Sax Rohmer e Arthur Conan Doyle passando per la narrativa anonima delle riviste popolari del periodo.

Criptobotanica, piante misteriose e divoratrici d’uomini, fiori dal profumo letale, apocalittiche gramigne e cactus tropicali assassini si alternano a illustrare uno stranissimo, spesso mortale mondo vegetale che dai temi della fantasia letteraria, agli albori dell’horror, della fantascienza e fantasy, vanno a sconfinare nella cronaca, presentandoci nella raccolta anche una selezione di articoli tratti da quotidiani apparsi fra il 1885 e il 1913. Resoconti quasi salgariani nel loro sensazionalismo esotico, esagerati o artefatti a suscitare un senso di timore e meraviglia.

Tutte le informazioni sul libro, con l’indice al completo di autori e contenuti, sono disponibili presso la pagina dedicata sul sito web dell’editore.

Botanica Delira.
More Stories of Strange, Undiscovered, and Murderous Vegetation
a cura di Chad Arment
Coachwhip Publications, 2010
brossura, 294 pagine, $14.95
ISBN 9781616460259

Andrea Bonazzi

domenica 22 agosto 2010

Piombo: i versi di George Bacovia

George Bacovia, foto“4. Piombo (Plumb), di George Bacovia. Poemi da un’arretrata città romena in cui la stagione è o autunno o inverno, il tempo del giorno è il crepuscolo, l’atmosfera densa di melanconia o d’ansia, i parchi e le vie sono deserti, stanze claustrofobiche si affacciano su mattatoi e cimiteri, e sempre c’è da seguire un funerale. Qualche titlolo: «Vespro autunnale,» «Vespro invernale,» «Vespro violetto,» «Nero,» «Grigio» e «Vespro antico»”.

A firmare questa laconica descrizione è lo scrittore americano Thomas Ligotti, nell’elencare la raccolta dei versi di Bacovia fra i dieci classici della poesia macabra e orrifica di sempre secondo una propria “classifica” personale, “Thomas Ligotti’s Ten Classics of Horror Poetry”, appositamente compilata per l’omnibus tematico The Book of Lists: Horror (Harper Paperbacks, 2008). Un omaggio forse persino imbarazzante per certa “accademia” provenendo dal mondo della letteratura di genere; segno tuttavia di quanto l’opera del poeta simbolista romeno, immaginifica e cupa, risulti attuale e incisiva anche attraverso la propria diffusione in lingua inglese.

George Andone Vasiliu, tale il vero nome di George Bacovia, nasce nel 1881 a Bacău nell’est della Romania. Laureato in legge senza mai esercitare la professione di avvocato, vive come impiegato e talvolta insegnante di calligrafia e disegno, trascorrendo gran parte della propria esistenza a Bucarest sino alla morte nel 1957. Del 1916 il suo primo volume Piombo (Plumb), seguito da cinque altre raccolte: Scântei galbene [letteralmente, “Faville gialle”] nel 1926; Cu voi [“Con voi”] nel ’30; Comedii în fond [“Commedie in fondo”] nel ’36; Stanţe burgheze [“Stanze borghesi”] nel ’46 e Poezii [“Poesie”] infine nel 1956.

Presto influenzato dai simbolisti francesi, nell’aura dei “poeti maledetti” da Poe a Baudelaire, Verlaine e Maurice Rollinat, i suoi versi brevi, concisi e frammentati tra sospensioni e stacchi, incidono paesaggi crepuscolari di desolazione; dipingono malinconie, solitudini e angosce sulle tavole cromatiche del nero e grigio, con rari tocchi di colore come a più tragico, netto contrappunto. Non filtra luminosità né calore in questa realtà funerea, erosa da un’entropia senza speranze, opprimente come una prospettiva di carceri piranesiane da cui nemmeno il pensiero della morte lascia evadere.

Qui da noi ancora scarsamente conosciuto, soltanto alcune fra le poesie di Bacovia erano sinora tradotte e diffuse in sparse antologie di romenistica, mentre un’edizione bilingue di Piombo era apparsa più di trent’anni fa come Plumb / Piombo, data alle stampe in Romania con versione italiana di Mariano Baffi (Minerva, Bucarest 1976) e ormai introvabile al di fuori delle biblioteche. Scarsa se non assente perfino in Internet ogni presenza e documentazione in proposito, nella nostra lingua, salvo rari interventi come quelli di Flavio Pettinari sulle proprie pagine web, e Ian Delacroix per Il Cancello.

Piombo. Versi / Plumb. Versuri, 2008, copertinaNell’ottobre del 2008, per la prima volta in Italia un’antologia interamente dedicata a George Bacovia giungeva finalmente dalla piccola editrice romana Fermenti.

Piombo. Versi / Plumb. Versuri è un volumetto di centoventi pagine che affianca i testi in lingua originale a quelli in italiano, con oltre un’ottantina di versi scelti dall’opera complessiva del poeta – non solamente, quindi, dal suo libro d’esordio, come il titolo avrebbe potuto suggerire. Pubblicata con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla, la raccolta viene curata e tradotta dall’italianista romeno Geo Vasile che pure ne firma il saggio introduttivo.

“Questa parsimoniosa selezione dall’opera del più attuale tra gli interbellici romeni, cioè George Bacovia (1881-1957) si rivolge prima di tutto al lettore italofono, meno interessato dei dettagli storico-letterari, curioso piuttosto di capire il messaggio poetico e profetico di una sincopata ma longeva parabola moderna al cospetto della postmodernità, romena ed insieme europea. La selezione offerta dal sottoscritto non ebbe modo di evitare un certo soggettivismo del lettore, nonché del traduttore, anche se sempre attento al valore estetico del testo, alla sua forza di rappresentare pars pro toto il Bacovia delle tappe percorse a partire dal volume Piombo (1916) fino a Stanze borghesi (1946), ma anche il poeta della partitura unica, chiaroveggente, di grande impatto per la poesia romena tanto negli ultimi tre decenni del ventesimo secolo, che adesso, a 50 anni dalla sua morte”.

L’introduzione, di cui sopra si riportava l’incipit, prosegue rendendosi forse più sonoramente specialistica in tono di quanto un primissimo approccio italiano all’autore avrebbe richiesto, perlomeno presso il medio lettore “curioso” cui tendeva inizialmente a rivolgersi, affidando alla seguente cronologia bio-bibliografica ogni principale elemento informativo circa la vita e le attività del poeta.

Puntuali le traduzioni, nel rispetto del ritmo come finanche della rima; persino meticolose all’eccesso nel ricercare una corrispondenza di termini che, per quanto tecnicamente esatta, suona a volte meno felice di altre scelte possibili, nell’italiano, tradendo magari la lettera in favore del senso. Mancano poi precisi riferimenti a data e provenienza di ogni singolo titolo, ben che forse non indispensabili in contesto divulgativo, né viene segnalato il caso di proposta non integrale del componimento.

A seguito un esempio significativo dai versi di George Bacovia, quasi a visione di un ultimo, definitivo “confrontarsi col nulla.” Si tratta della parte I della poesia Sic transit, tratta dal volume sempre nella versione di Geo Vasile.

testo
Attesa e necessaria iniziativa editoriale, l’uscita segna anche nel nostro paese, in endemico ritardo, il punto d’inizio per una diffusione più ampia e un migliore apprezzamento della poetica bacoviana. Certo di enorme interesse, per tematica, visione e approccio se non altro, pure nell’ambito letterario gotico e fantastico.

Piombo. Versi / Plumb. Versuri
George Bacovia
Collana Nuovi Fermenti/Letteratura internazionale, Fermenti Editrice, 2008
brossura, 120 pagine, €10.00
ISBN 9788889934555

Andrea Bonazzi

(pubblicato su In Tenebris Scriptus il 5/12/08)

venerdì 20 agosto 2010

H.P. Lovecraft: cinque racconti fondamentali

Quali sono dunque i cinque più importanti racconti nella produzione di Howard Phillips Lovecraft? Già arduo definire dei parametri di importanza fra valore dell’opera in sé, influenza letteraria etc., ma proviamo a individuare e circoscrivere un tale fatidico numero di titoli.

Dagon and Other Macabre Tales, Arkham House, 1965, copertina di Lee Brown CoyeDagon. Scritto nell’estate del 1917, appena dopo il primo racconto “La tomba”, e inizialmente pubblicato dall’amatoriale The Vagrant nel 1919, costituisce l’esordio professionale dell’autore con la sua uscita su Weird Tales nell’ottobre del 1923.

Sull’orlo del suicidio, il narratore descrive la propria traumatica esperienza di naufrago nell’Oceano Pacifico, approdato su un’isola appena riemersa dagli abissi ove s’imbatte in un enorme antico monolito, inciso coi simboli di una civiltà di uomini-pesce, e nella creatura che dal mare giunge ad adorarlo.

Edgar Allan Poe rappresenta il principale modello per le storie gotiche del primo periodo lovecraftiano, così come Lord Dunsany per le fantasie tra l’onirico e il meraviglioso. Come in Poe, per esempio, il solitario protagonista è in uno stato mentale alterato, e la credibilità del suo resoconto si affida alla sola fiducia e immedesimazione del lettore. Ma già in questo breve racconto si rivelano alcuni dei più tipici e personali temi dello scrittore: la sopravvivenza di civiltà non umane; la rivelazione sconvolgente che sovverte la percezione dell’uomo di essere il centro del proprio mondo; un orrore che si slega dal classico elemento soprannaturale per affrontarne uno che va oltre il naturale, in razionale addizione al possibile.

Le opere migliori di Lovecraft, quelle che hanno portato un vero, originale ed essenziale contributo al Fantastico del ventesimo secolo, sono quelle della maturità nel periodo che segue il suo ritorno a Providence, nel 1926, dopo i due problematici anni vissuti a New York. Senza porsi sullo stesso livello, “Dagon” trova tuttavia una certa importanza come base per un intero ciclo narrativo in seguito etichettato come “Miti di Cthulhu”, con almeno due notevoli storie, “Il richiamo di Cthulhu” e “La maschera di Innsmouth”, che ne rappresentano una sostanziale riscrittura.

Cthulhu disegnato da H.P. Lovecraft in una lettera a Robert H. Barlow, 1934Il richiamo di Cthulhu (The Call of Cthulhu). Composto fra l’agosto e il settembre del 1926, pubblicato nel febbraio 1928 da Weird Tales, dopo un iniziale rifiuto.

Un quadro spaventoso delle reale posizione umana nel cosmo si rivela al protagonista, ricomposto come un puzzle attraverso gli appunti dell’erudito prozio scomparso, i sogni straordinari di tormentati artisti, le indagini sulla recrudescenza di sinistri ed esotici culti, e la testimonianza di un marinaio di fronte al ritorno di un’antica e aliena minaccia.

Perno di una vera e propria rivoluzione copernicana nella concezione dell’orrore fantastico, il racconto ne ribalta la tradizionale visione antropocentrica e soprannaturale in favore di un punto di vista esterno, distaccato e “cosmico”, con la rappresentazione di un universo indifferente verso le sorti dell’umanità, se non incidentalmente ostile. Un realismo scientifico che rimette in discussione la percezione delle cose, applicato a uno stile narrativo che accumula allusioni, indizi, rivelazioni e atmosfere.

Le entità minacciose e perturbanti non sono divinità ma inesplicabili extraterrestri, o esseri extra-dimensionali che gli uomini non possono che scambiare per dei. Il potere che esercitano non è magia, ma un‘estensione o alterazione di leggi naturali altrettanto inafferrabili e ignote.

“The Call of Cthulhu” si pone come un rinnovato approccio al vecchio genere horror, stabilisce i canoni di una nuova influente pseudo-mitologia, e riassume in sé le principali tematiche e modalità lovecraftiane, quelle che appunto hanno trasformato in aggettivo il nome dell’autore.


The Colour Out of Space, illustrazione di Virgil FinlayIl colore venuto dallo spazio (The Colour Out of Space). Scritto nel marzo 1927 e uscito su Amazing Stories nel settembre dello stesso anno.

Un meteorite precipita nella campagna a occidente di Arkham, portando con sé un qualcosa di indefinibile, causa di orribili mutamenti nelle terre, nella fattoria e nella famiglia stessa dei Gardner.

Definito da Lovecraft come uno “studio d’atmosfera”, è uno dei suoi più suggestivi ed efficaci racconti, il primo del periodo maturo che torna a utilizzare i soli temi della fantascienza come veicolo di orrore. “The Colour Out of Space” prosegue sulla via della minaccia dal cosmo, incomprensibile ma scientificamente plausibile, rinunciando sia agli orpelli sovrannaturali del gotico che al proprio gioco di miti e allusioni.

At the Mountains of Madness in Astounding Stories, febbraio 1936, copertina di Howard V. BrownAlle montagne della follia (At the Mountains of Madness). Scritto tra il febbraio e marzo 1931, questo romanzo breve venne rifiutato nello stesso anno da Weird Tales per essere in seguito pubblicato in tre puntate su Astounding Stories, non senza gravi errori e omissioni, nel febbraio, marzo e aprile del 1936.

Le inattese scoperte di una spedizione antartica rivelano una storia del mondo mai immaginata dall’uomo, fra le rovine di un’antichissima città i cui occupanti non sono affatto scomparsi.

Opera ambiziosa sia nel lungo formato che nei contenuti, estremamente descrittivi e poco adatti al pubblico medio dei pulp anni ’30, “At the Mountains of Madness” abbandona sempre di più i territori del vero e proprio horror per addentrarsi in quelli della science-fiction. Le concezioni estetiche e filosofiche maturate dal Gentiluomo di Providence si rispecchiano nella storia e civiltà degli Antichi, e delle altre specie che in milioni di anni hanno visitato o dominato la Terra. Una sorta di sistematizzazione di ciò che la sua narrativa descrive attraverso il mito, come distorta interpretazione degli uomini.

In questa nuova visione dominata dalla meraviglia piuttosto che dal terrore, l’alieno è qualcosa di più della solita ostile mostruosità. Gli esseri umani possono riconoscersi in esso, la sua civilizzazione rappresentare un modello di utopia. Come dirà la voce narrante, — “Radiati, vegetali, mostri venuti dalle stelle: qualunque cosa fossero, erano stati uomini!”

The Shadow Out of Time in Astounding Stories, giugno 1936, copertina di Howard V. BrownL'ombra venuta dal tempo (The Shadow Out of Time). Dopo una travagliata composizione con diverse stesure fra l’autunno 1934 e il febbraio 1935, il lungo racconto esce ancora su Astounding Stories nel giugno del 1936.

A seguito di un lunga, strana amnesia, il Professor Peaslee è perseguitato da sogni e irreali reminiscenze. Effetto, scoprirà, di uno scambio mentale con alieni esploratori del tempo, provenienti da una remotissima era.

Considerato per molti versi il culmine della carriera letteraria di H.P. Lovecraft, “The Shadow Out of Time” prosegue nella direzione di un fantascientifico sense of wonder. Il tema del viaggio nel tempo è risolto in un affresco cosmico più efficace e coerente del precedente “Alle montagne della follia”, con un’attenzione che pare spostarsi sempre più al di fuori dell’umano. Caratterizzati in dettaglio nella loro biologia, storia e civilizzazione, gli extraterrestri della Grande Razza ancora incarnano un ideale di utopia basato sulle personali convinzioni dell’autore, rendendosi veri protagonisti del racconto.

Andrea Bonazzi

(articolo pubblicato sulla rivista Necro – anno I, n. II, maggio-giugno-luglio 2007)

mercoledì 18 agosto 2010

Lo zio Silas in Italia

Lo zio Silas, 2008Leggere finalmente l’edizione italiana di Uncle Silas di Joseph Sheridan Le Fanu non può che procurare contemporaneamente un misto di tristezza, rabbia, disgusto uniti allo stupore e alla fascinazione, all’estremo piacere e all’ammirazione intellettuale. Il primo blocco di sentimenti a riguardo viene provocato dalla constatazione che è stato necessario un secolo e mezzo, grossomodo, perché nel nostro paese venisse pubblicato quello che a detta della critica è il più significativo romanzo dell’autore irlandese, quando costantemente gli scaffali delle nostre librerie vengono invasi da ciarpame della più varia entità e natura. Un secolo e mezzo è dunque trascorso, nel quale il romanzo è stato pervicacemente precluso all’attenzione dell’estrema maggioranza dei lettori.

D’altra parte, a lettura avvenuta, non può che venire alla luce – ancora e soprattutto – un’ulteriore e profonda ammirazione per il lavoro dell’autore, concludendo in positivo con un deciso plauso all’agire della Gargoyle Books che con un’eccellente edizione, quasi priva di difetti, ha supplito a una lacuna considerevolissima nel mercato librario del nostro paese. In una veste grafica elegante e ottimale – su bella carta bianca, con una traduzione che appare pregevole, una valida introduzione e un ottimo apparato di note – l’edizione, colmando la lacuna, lo fa anche in maniera del tutto efficiente. La presente recensione ha allora lo scopo primario di cercare di diffondere questo testo e la volontà di sottolineare i numerosissimi pregi che costellano il romanzo, un romanzo gotico vecchio stile, ma anche qualcosa di profondamente diverso.

Numerosissimi i motivi per leggerlo, quindi. Di seguito si cercheranno essenzialmente di enuclearne alcuni, i più sostanziali in relazione alla figura dell’eroe nero della storia, colui che ne rappresenta il fulcro tematico oltre che narrativo, e tralasciando un’analisi completa dell’opera, che non è opportuno effettuare in questa sede.

Uncle Sila, frontespizio I ediz. 1864Dal gotico al Thriller.

Un impianto narrativo semplicissimo, a ben vedere, viene sfruttato come fonte di suggestione notevole per il lettore, intessendo una rete di relazioni, una ragnatela di riferimenti alla tradizione della letteratura inglese (e non solo) che non possono passare inosservati. Ne Lo zio Silas il punto di partenza è manifestamente il romance di Walter Scott, con le sue cupe storie di intrighi e tradimenti, senza dimenticare un certo filone di grandi epigoni scottiani. Ben presto, però, ci si svincola da tale univoco modello per ricorrere con un collegamento direttissimo al ghotic novel di Ann Radcliffe e dei suoi successori. Numerose sono le citazioni presenti relative a Il romanzo della foresta della Radcliffe (anche questo poco noto qui da noi), ma non meno numerosi sono i richiami meno espliciti agli altri esponenti del genere e – pare di poter dire – soprattutto al Melmoth l'errante di Charles Robert Maturin.

Ma non è tutto qui: la storia di Maud, eroina ingenua e perseguitata soggetta a un fatale percorso di formazione che ne forgerà il carattere tramite le più diverse avventure non può non richiamare alla mente (in una versione assolutamente castissima, è ovvio) le disavventure delle eroine del romanzo nero di De Sade, perse fra abbazie e antichi castelli in compagnia di gentiluomini assolutamente privi di scrupoli; ma ancora di più non può mancare un riferimento alle Clarissa e Pamela di Richardson, l’autore inglese divenuto emblematico per i propri romanzi di avventura e formazione incentrati su protagoniste femminili poste in situazioni difficoltose. Ancora, i cattivi di Le Fanu manifestano più di un collegamento anche con la letteratura di Dickens alla Oliver Twist e David Copperfield.

Non si vuole dire con questo che i meccanismi del romanzo di Le Fanu siano banali e ripetitivi, semplicemente l’architettura basa su solide fondamenta e si rifà ad alcuni grandi testi per viaggiare poi in direzione propria. Ma è il caso ora, a tale proposito, di fornire alcuni brevissimi cenni sulla trama, che appunto giunge a configurarsi insieme tradizionale e innovativa, semplice e strutturata allo stesso tempo:

“Maud Ruthyn è figlia e unica erede di un possidente ricco ed eccentrico che vive una vita in assoluta segregazione; quando il padre muore, viene affidata alla custodia dello Zio Silas. Questi cadde in disgrazia anni prima, quando un uomo a cui doveva un’ingente quantità di denaro morì a casa del debitore, suscitando i pettegolezzi dei vicini, che insinuarono si fosse trattato di omicidio e non di suicidio. Maud sarà sotto la tutela dello zio fino a quando non diventerà maggiorenne e, se dovesse morire prima di quella data, Silas erediterà ogni sua proprietà...”

Romanzo di avventure e romanzo di suspence, a ben vedere Uncle Silas potrebbe quindi essere da alcuni rimosso dal genere fantastico tout court, oppure ascritto ad altri ambiti di competenza. In realtà, come si vedrà, non è tanto l’assenza di elementi soprannaturali e la presenza, invece, di minacce concrete a costituire la discriminante, quanto piuttosto la costruzione, la presenza di due caratteristiche nettamente differenti, vale a dire la definizione di una concezione ideologica nella descrizione dei villains (cosa che da sempre è anche una delle chiavi interpretative del fantastico) e soprattutto l’elemento fantasmatico. E, dopotutto, non va forse ricordato che nemmeno Ann Radcliffe aveva mai usato del soprannaturale autentico nelle sue opere, ma si era mossa semplicemente nel territorio del mentale e del suggerito? Le Fanu fa lo stesso, ma in maniera estremamente più sottile e raffinata.

Zio Silas, illustrazioneLa singolare malvagità di Silas.

Uno degli aspetti più significativi della storia di Maud, per iniziare, è appunto la natura di suo zio Silas e quella della malvagità e della stranezza che è connessa con tutto ciò che lo riguarda. A ben vedere, la mostruosa colpa che in passato lo ha estromesso dalla vita sociale conferendogli la sua pessima nomea è primariamente una sola, e cioè l’infrazione dell’ordine sociale stesso, l’irrisione e la beffa per quanto riguarda i valori della “società bene” alla quale appartiene. In tale ottica, è sommamente riprovevole il matrimonio giovanile di Silas con una persona volgare e di basso ceto, così come lo sono il suo comportamento in società e i suoi singolari atteggiamenti, che mantiene, in definita misura, anche all’epoca dello svolgimento dei fatti quando ormai sembra anziano e apparentemente convertito. In tal senso, paiono di second’ordine le altre colpe di Silas: il gioco e addirittura l’accusa di omicidio, alla quale si allude sostanzialmente solo in maniera strategica e sulla quale, comunque, si insiste nettamente meno che rispetto al resto.

Un’ulteriore colpa imperdonabile è l’indistinzione sociale: Silas pratica rapporti tutto sommato diretti con i popolani (così afferma in un dialogo con Maud), appare sprezzante dei simbolici privilegi aristocratici (taglia alberi secolari della propria tenuta, per farne carbone a meri fini di arricchimento personale), pratica una religiosità apparentemente rigorosissima (che lo separa altresì dai suoi più mondani simili), è fautore di una sorta di anarchia educativa di tipo assolutamente scandaloso (la libertà, l’esercizio fisico e l’auto-educazione sono visti come valori fondanti; si rifiuta la presenza di maestri e istitutori, men che meno alle discipline essenziali alla formazione di una nobile fanciulla, propugnandosi in loro vece passeggiate ed escursioni in luogo di canto e disegno). Tutto questo quadro non può che fare supporre, quindi, come nell’impianto del romanzo in primo luogo la presunta malvagità di Silas non si configuri in altro modo che come una sorta di ribellione sociale, di autonomia e anarchia intellettuale della quale egli stesso ha pagato lo scotto in prima persona con l’esilio dal bel mondo e il rifiuto da parte del proprio stesso fratello.

Frutto di tale tipo di educazione risultano i figli di Silas, Millicent (rea, agli occhi di Maud, di non comportarsi affatto come una signorina sua pari e anzi caratterizzata da un’eccessiva libertà e volgarità) e Dudley (anch’esso perfetto modello di rozzo e villano signorotto, ignaro del buon comportamento da tenersi nel suo ceto... E inoltre dotato di qualche peccato in più, ma su questo non si svelerà troppo). Non a caso, peraltro, Millicent sarà proprio oggetto di un processo di raffinazione e rincivilimento operato dalla protagonista, la quale avrà sempre con lei un’atteggiamento di aristocratica e comprensiva accettazione, ma mostrerà pertanto le proprie fattive facoltà di omologazione culturale nei confronti di almeno uno degli elementi perturbanti rappresentati dal ramo più deviato e corrotto della casa che abitano a Bartram-Haugh.

Ovviamente, nel corso dello svolgimento del romanzo non tutto si manterrà solo su questo piano e si scoprirà anche altro di più, in sostanza, sulla malvagità dello zio Silas e dei suoi accoliti, ma nulla potrà mai eliminare l’impressione prodotta dalla rappresentazione di alcuni aspetti sostanziali della personalità di Silas. E questo avviene non solo mentre egli è presente fisicamente, ma anche in tutta la primissima parte del romanzo. La narrazione della vita di Maud a Knowl, infatti, manifesta tramite le informazioni che le vengono riferite dal padre Austin, e dalla cugina Monica Knollys in un quadro nettamente anticipatorio di quella che sarà poi la figura del nobile recluso, definendone con abbondanza le caratteristiche negative. La successiva vita della protagonista a Bartram-Haugh non potrà che confermare, in modo ancora più specifico, la natura libertaria e scandalosa della concezione di vita di Silas, quella stessa concezione che lo rende assolutamente malvagio e da rifiutare da parte della società alla quale appartiene.

Le Fanu, fotoSilas, o del fantasmatico.

Ciò non toglie però, come si diceva, che la figura del nobile manifesti ugualmente caratteri di una malvagità più tradizionale. Un aspetto sommamente rilevante di questo è dato proprio dalla descrizione fisica del personaggio: in bilico fra il mondo della vita e quello della morte, fra la spiritualità e l’ascetismo, fra la perfidia e l’innocente benevolenza, Silas Ruthyn è una figura ambigua, nettamente ascrivibile alla tradizionalità del villain gotico della quale possiede il marchio distintivo, e cioè lo sguardo diabolico, intenso e tanto penetrante da ricordare le fiamme infernali.

Ancora di più, tuttavia, Silas presenta un aspetto propriamente fantasmatico: spettrale e cadaverico già nelle descrizioni comuni, molto spesso stregonesco agli occhi di Maud, il vecchio nobile attraversa di continuo le soglie della morte a causa del proprio abuso di oppiacei. È un personaggio a metà fra sanità e follia, quindi, condotto in un viaggio verso l’aldilà da crisi letargiche, ove il suo aspetto appare totalmente inanimato, e dalle quali si risveglia sempre in modo molto traumatico.

Proprio tali caratteristiche ne definiscono maggiormente la natura paurosa per Maud, per la quale trasferirsi a Bartram-Haugh da Knowl rappresenta un viaggio nel mistero e nell’oscurità, una metaforica e quasi metafisica discesa negli abissi durante la quale la figura terribile di Silas, per quanto apparentemente affettuosa, nasconde diabolici intenti sottintesi; tratti misteriosi e oscuri di essi risultano essere presenti in misura minore nei suoi stessi servitori e familiari, dal figlio Dudley Ruthyn alla vecchia domestica Wyat sino a Giblets, il maggiordomo, e al rozzo mugnaio Hawkes. L’unica amica a pari livello di Maud, Milly, risulta ben presto allontanata dalla scena del romanzo, a intensificare il clima di terrore che si accentra intorno alla protagonista.

Partecipa della fantasmaticità di Silas anche un altro personaggio, che non a caso è presente a Knowl e fa la parte del leone nella prima parte della storia: l’istitutrice Madame de la Rougierre, alla quale viene spesso assegnato tutto un repertorio di titoli inerenti le sue caratteristiche fisiche e corporee che la allontanano dal consesso umano, avvicinandola a quello di orrende creature fantastiche come lamie, streghe e demoni.

Madame de la Rougierre, illustrazioneQuesto sistema descrittivo elaborato dall’autore per i personaggi negativi della storia è, infine, il mezzo più evidente e sostanziale tramite il quale si individua quell’effettiva appartenenza del testo al post-gotico. I nemici di Maud sono fonte di orrore, di terribili suggestioni; operano in ambienti, modi e figure tangenti a una realtà soprannaturale orribile; sono spesso connessi a episodi onirici fonte di turbamento: in una parola, costituiscono all’interno della storia la fonte di un terrore psicologico e allusivo a una dimensione oscura che con certi personaggi è specificamente connessa. La fonte, appunto, delle loro suggestioni fantasmatiche.

Questi aspetti narrativi concorrono tutti infine alla definizione di un romanzo sì gotico, ma infinitamente più versato sul terreno della caratterizzazione psicologica dei personaggi, magari malvagi e terribili, ma non certo marionette da rappresentazione come poteva accadere in certi casi. Parimenti un’attenzione per la psicologia si riscontra anche per la protagonista Maud, per la quale l’evoluzione mentale è un tratto manifesto nel corso di tutto il romanzo.

Non mancano come fonti di terrore la rappresentazione degli ambienti, cupa e angosciante in tutte le sue caratteristiche, né l’architettura della trama, sapientemente dosata tramite giochi di opposizioni e contrapposizioni, in un andamento del tutto speculare ove – il lettore lo scoprirà – a una certa serie di eventi iniziali nella dimora di Knowl ne corrisponderanno altri concorrenti per analogia, differenza, evocazione nella casa di Bartram-Haugh.

Il tutto tramite il consueto stile di Le Fanu, ricco, elegante, limpido e avvolgente, in grado di catturare il lettore in un fluido vortice di orrori, in un sentimento simpatetico profondo e sconvolgente. La prosa dello scrittore irlandese scava con efficacia il solco del racconto, calibrando perfettamente le esperienze della Maud ormai matura con quelle della sua controparte ancora timida, spaurita ed esitante, ma già in grado di manifestare sprazzi consistenti del suo io futuro. E la stessa voce narrante, attraverso la distanza narrativa, riesce a rievocare con sapienza consumata tutte le informazioni che al lettore è indispensabile sapere prima che, nei capitoli finali, fulmineo e sconvolgente si manifesti in modo compiuto il pieno esito di tutte le trame.

Un romanzo gotico indispensabile, quindi, troppo a lungo ignoto al nostro grande pubblico e che si può auspicare costituisca la testa di ponte per un revival di Le Fanu tutto, in particolar modo delle opere meno note a sfondo storico, ancora inedite in italiano, ma anche per i romanzi e racconti di tipo soprannaturale di più complicata reperibilità.

Lo zio Silas
Joseph Sheridan Le Fanu
Gargoyle Books, 2008
copertina rigida, 558 pagine, Euro 16.00
ISBN 9788889541272

Umberto Sisia

(pubblicato su In a Glass Darkly il 6/10/08)

lunedì 16 agosto 2010

House of Windows: il romanzo di John Langan è anche in paperback

House of Windows, 2010, copertinaSeconda edizione per House of Windows, il primo romanzo di John Langan pubblicato lo scorso anno dalla Night Shade Books, ora riproposto in più economica versione paperback grazie all’accoglienza decisamente positiva a piena ragione riservatagli sia dal pubblico che dalla critica specializzata.

Al termine di un party a tarda notte uno scrittore ritrova una vecchia conoscenza, una giovane e bella vedova che inizia a raccontargli qualcosa di troppo strano e incredibile per non fermarsi ad ascoltarla fino in fondo... La storia di suo marito, un maturo e rispettato professore di Lettere scomparso nel nulla circa un anno e mezzo prima, che andrà intrecciandosi con quella di un soldato, il figlio di lui ucciso in Afghanistan, attraverso avvenimenti allucinanti in sospeso fra visioni spettrali e maledizioni di famiglia, il tutto nel quadro di una casa: Belvedere House. Una villa il cui aspetto non lascia indifferenti, suggerendo l’impressione di un volto appena fuor di vista che vi attiva catturandovi.

Quel che ne segue, è un’atipica storia di fantasmi profondamente scavata nella psicologia dei personaggi. Narrazione giocata sul trauma della perdita, sul rimorso per un atto d’impulso le cui conseguenze imprevedibili appaiono sfociare nel soprannaturale, nell’incubo... Certamente in un orrore sottile, sempre più in crescendo, in una prosa densa che sconfina nella critica letteraria attraverso le considerazioni dei suoi personaggi e che, insinuandovi diverse possibilità interpretative, esplora dall’interno e torna a rendere attuale il tema eterno della “casa infestata”.

Mr. Gaunt and Other Uneasy Encounters, 2008, copertinaEppure, qui, a essere “infestata” non è tanto la casa in sé la cui strana, indefinita natura più o meno direttamente si richiama alla misteriosa Megalopolisomanzia di De Castries, certamente nota ai lettori di Fritz Leiber. Belvedere House resta piuttosto in attesa, sullo sfondo, a fungere da catalizzatore e fulcro per l’irruzione sconvolgente di una realtà “altra”; a focalizzare e alimentare, come lente coi raggi del sole, la maledizione che il protagonista richiama in qualche modo su sé stesso e sulla propria famiglia. La “casa di finestre” ha solo la pazienza di attendere i suoi giusti inquilini, fino a trovare un diverso e individuale influsso sulla particolare visione dei suoi ospiti.

Quarantunenne insegnante di college, l’americano John Langan è fra gli scrittori di maggior interesse fra le nuove leve del weird horror. Qui all'esordio nella forma del romanzo, ha iniziato a farsi notare con le sue storie brevi, prima su The Magazine of Fantasy & Science Fiction quindi in diverse delle prestigiose antologie di genere curate da Ellen Datlow, per letteralmente “esplodere” nella considerazione degli appassionati con la sua prima raccolta di racconti, Mr. Gaunt and Other Uneasy Encounters (Prime Books, 2008), nominata per il Bram Stoker Award.

Le sue opere rispecchiano il gusto e le competenze letterarie dell’autore, fin quasi alla meta-letteratura nel proprio sviscerare fonti e meccanismi della narrativa soprannaturale e weird (in questo, ricordando a tratti T.E.D. Klein), con un’attenta cura del personaggio e un saggio distacco dall’elemento fantastico a sottolineare il realismo dell’approccio, nell’incertezza di una soggettiva, mai univoca percezione attraverso cui giunge a manifestarsi la più sottile o palese violazione nell’integrità del mondo reale.

House of Windows, 2009, copertinaLa nuova copertina, per il formato in brossura, tende a nascondere la bellissima tavola per House of Windows a suo tempo realizzata da Santiago Caruso, ma pazienza... È auspicabile che il costo più abbordabile possa avvicininare qualche altro lettore, anche italiano, alle nuove e valide voci di una weird fiction che qui da noi vive solamente delle solite ristampe.

Chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza con John Langan, può trovare una recente intervista rilasciata a Matt Cardin sul sito web di Demon Muse, ovviamente in lingua originale.

Informazioni sul volume si trovano al sito ufficiale della Night Shade, mentre possiamo leggere la parte introduttiva del romanzo in anteprima sulle pagine di webscription.net. Qui sotto, infine, un booktrailer di presentazione girato dal figlio di John, Nick Langan.

House of Windows
John Langan
Night Shade Books, 2010
brossura, 256 pagine, $14.95
ISBN 9781597801959



Andrea Bonazzi

domenica 15 agosto 2010

Lovecraft secondo Karel Thole

I mostri all'angolo della strada (1966) di Karel Thole
Colui che sussurrava nel buio (1963) di Karel Thole
I mostri all'angolo della strada (1974) di Karel Thole
La lampada di Alhazred (1977) di Karel Thole
The Disciples of Cthulhu (1976) di Karel Thole
Il guadiano della soglia (1977) Karel Thole
Tutti i racconti 1897-1922 (1989) di Karel Thole
Tutti i racconti 1897-1922 (1990) di Karel Thole

A proposito del monumentale volume iconografico A Lovecraft Retrospective: Artists Inspired by H.P. Lovecraft (Centipede Press, 2008), si lamentava in esso la rilevante assenza fra gli altri di Karel Thole (1914-2000), uno dei più rappresentativi artisti europei del fantastico. Di certo, quello che ha fatto la storia dell’illustrazione editoriale di genere in Italia, e non solo per la fantascienza, fra il 1960 e il ’98: gli anni intercorsi tra la prima e la sua ultima copertina per Urania.

Le immagini proposte in questa sede intendono ricordare, dunque, le storiche (in ogni senso) copertine di Thole per le edizioni italiane di Howard Phillips Lovecraft, e le sue tavole comunque a tema più direttamente lovecraftiano, a partire dalle dense oscurità in Colui che sussurrava nel buio per Urania n. 310 (Mondadori, 1963), la prima raccolta dedicata nel nostro paese allo scrittore di Providence. Quindi, l’estensione escheriana di scale, architetture e prospettive distorte lungo l’intera sovracopertina de I mostri all'angolo della strada, nella sua prima edizione Mondadori del 1966, e la casa d’incubo occupata e sovrastata da inquietanti presenze, per la riedizione dello stesso volume nel 1974.

E ancora, il Grande Antico che campeggia sulla cover dell’antologia americana The Disciples of Cthulhu (DAW Books, 1976); il sorvegliante della sinistra torre rotonda de Il guardiano della soglia e lo splendido ritratto d’autore de La lampada di Alhazred, sulle prime edizioni 1977 dei due volumi Fanucci in cui è divisa la traduzione di The Watchers Out of Time and Others, le “collaborazioni postume” di Derleth. Gli ultimi Oscar Mondadori, poi, con la tavola del secondo I mostri all'angolo della strada riadattata su sfondo artificiale per Tutti i racconti 1897-1922, nella sua prima uscita del 1989, e la creatura che dipana un cervello umano come fosse un gomitolo, riutilizzata nel 1990 per Tutti i racconti 1931-1936 benché apparsa in origine sul numero 820 di Urania (K. Laumer, Agente 064: operazione demoni, Mondadori, 1980).

Manca probabilmente un sito web di riferimento in lingua inglese, per mantenere e diffondere l’attenzione internazionale sull’artista. In italiano, uno Speciale Karel Thole si trova in rete su Urania & Co. mentre articoli e memorie personali sono reperibili sulle pagine di Delos a firma di Giuseppe Lippi, Giuseppe Festino e Vittorio Catani. Infine, presso la pagina dedicata su www.lucaliggio.com si possono vedere in streaming i nove minuti circa di animazione del cortometraggio Homage to Karel Thole, omaggio filmato realizzato nel 2000 da Mariano Equizzi.

Gallerie: sito ufficiale in italiano www.karelthole.com; galleria privata su ComicArtFans; copertine di Urania in rassegna completa su MondoUrania.

Andrea Bonazzi

venerdì 13 agosto 2010

In vendita “la casa sul cimitero” di Le Fanu

‘La casa sul cimitero’ a Chapelizod, foto
Il cimitero di Chapelizod, foto
‘La casa sul cimitero’ a Chapelizod, foto

Chi vuol comprare “la casa sul cimitero”? Si tratta della stessa casa in cui Joseph Sheridan Le Fanu ambientò il suo romanzo The House by the Churchyard situata, appunto, a ridosso del camposanto sulla Main Street del villaggio di Chapelizod, oggi un sobborgo di Dublino, teatro di molte delle classiche ghost stories scritte dall’autore irlandese.

Avviso di autorizzazione, fotoLa storica casa, dunque, è in vendita: un avviso di autorizzazione datato al novembre del 2007 è affisso di fianco all’edificio, con un prospetto di ristrutturazione e di ampliamento della struttura protetta al fine di ricavarne sei distinti appartamenti. In ottimo stato risulta poi l’adiacente antico cimitero, come si può vedere dalle foto... Come resistere a una proposta immobiliare di tal genere?

Inedito – nella sua forma integrale – per l’Italia, The House by the Churchyard (1863) combina alle atmosfere gotiche gli elementi del mystery e del romanzo storico, in una storia della Chapelizod del 1767 che si sviluppa attraverso testimonianze, corrispondenze e diari ritrovati, dalla scoperta del teschio di un assassinato a eventi misteriosi e sconcertanti come l’apparizione di una mano fantasma, la sola narrazione autenticamente soprannaturale nell’opera, inserita come dodicesimo capitolo ma già pubblicata in modo autonomo con il titolo di “An Authentic Narrative of the Ghost of a Hand” (1861).

Il racconto a sé è stato tradotto in italiano come “Storia della mano fantasma” in Occulta. L'omnibus del soprannaturale (a cura di Montague Summers, Oscar Mondadori, 1988) e come “Il fantasma di una mano” ne Il libro delle storie di fantasmi (a cura di Roald Dahl, Salani, 1990). I più curiosi possono trovare il testo integrale del romanzo sulle pagine web del Gutenberg Project.

Fonte: pgmcc.livejournal.com.

Andrea Bonazzi

mercoledì 11 agosto 2010

Origini e scopi. Letteratura del soprannaturale

Igino Ugo Tarchetti, Racconti fantastici, 1869, frontespizioC’è un filo rosso che si dipana lungo la storia della narrazione. Scorre dalla Naturalis Historia di Plinio alle saghe islandesi, dai mirabilia medievali alle gesta arturiane, da Chaucer a Dante, dal romanzo gotico di Walpole e soci alla ghost story pura di M.R. James, passa per il gotico angloamericano di Brockden Brown, W. Irving, Hawthorne e persino di Melville, giunge ai prodromi del weird con Poe e arriva a Bierce, Dunsany, Blackwood e Lovecraft. Passa per la poesia romantica inglese e tedesca, approda in Francia.

E tocca persino l’Italia, dove critici accreditati, dimostrando tutta la grettezza dell’accademismo italiano, ci impongono di avere poca fantasia in fatto di letteratura del soprannaturale, che viene trattata (o meglio, non viene trattata affatto!) – penalizzandoci non poco – come letteratura deteriore, buona al massimo per i bambini ma poco adatta all’impegno severo di una rappresentazione “realistica” della società, o della psicologia dell’individuo.

Eppure, elementi gotici e soprannaturali sono riscontrabili nel romanzo storico di alcuni dei maggiori rappresentanti di questo genere quali Manzoni, Bazzoni, Guerrazzi e D’Azeglio. Risale al 1877 la novella di Giovanni Verga Le Storie del Castello di Trezza. E ancora Tarchetti e Fogazzaro, anche loro si cimentano con il genere. Senza contare gli innumerevoli scrittori considerati “minori”.

Ferdinando Petruccelli della GattinaTra questi anche un mio conterraneo (mi si conceda la citazione campanilistica), Ferdinando Petruccelli della Gattina, scrittore e uomo politico tra i maggiori e più felici giornalisti dell’Ottocento, narratore discontinuo combattuto fra le diverse ambizioni del pensatore e del teorico (religioso e politico). Folco Portinari, superando le vecchie censure crociane, inquadra gran parte di queste opere nel filone del romanzo gotico e riconosce a Petruccelli il giusto rilievo tra i “bizzarri” del secondo Ottocento. Della sua bella produzione porto all’attenzione del lettore curioso I moribondi del palazzo Carignano (F. Petruccelli della Gattina, a cura di Folco Portinari, Il ramo d’oro, Rizzoli, 315 p.: ill.; 16 cm, Milano 1982).

A consolarci, valga la considerazione che a partire dal XVII secolo, quando nella secolare disputa tra Stato e Chiesa al primo si sostituisce la Scienza, le cose vanno male per la narrazione soprannaturale un po’ ovunque nel Mondo. E se ancora durante il secolo dei Lumi si poteva sperare di pascersi d’Ombre, via via che il progresso si fa strada ci si affama sempre più. Dopo il 1945, la cultura occidentale si avvia verso una nuova era di razionalismo e scetticismo scientifici. La Scienza viene assunta a nuova autorità virtualmente onnipotente.

Qualunque aspetto appartenga all’Irrazionale, qualunque cosa evochi Superstizione, viene nel migliore dei casi ignorato, nel peggiore giudicato con ostilità. D’altra parte la generazione della Seconda Guerra Mondiale ha – suo malgrado – dovuto subire l’esplosione dell’Irrazionalità nella sua forma più malata, morbosa, crudele, disumana che s’incarnò in quella disgustosa isteria di massa che fu il nazionalsocialismo. Logica conseguenza, dopo tutti quegli anni di incontrollata follia, fu il rifiuto di ogni espressione dell’Irrazionalità unito a un forte bisogno di normalità. Di fatto normalità, misurata e quantificata dal razionalismo scientifico, e conformismo diventano i modelli in base ai quali la generazione della guerra pretese che i propri figli divenissero adulti e vivessero.

Come dargli torto. Ma – perché c’è sempre un ma – la storia ha la cattiva abitudine di ripetersi. Negli anni Sessanta, il brave new world proclamato dalla generazione della guerra inizia ad apparire sempre più vuoto, privo di qualsiasi valore o scopo che non sia il successo materiale; carenza che appare ancora più evidente grazie all’istruzione finalmente sempre più diffusa. I giovani degli anni Sessanta, la generazione dei miei – e probabilmente di molti dei vostri – genitori è cresciuta all’ombra di un’apocalisse annunciata e provocata dall’uomo, che prendeva le forme di sovrappopolazione, distruzione dell’ambiente, olocausto nucleare. Tutto ciò fa vacillare la fede nella ragione e nel razionalismo scientifico che sembrano ora solo maschere ipocrite, alibi per nuove forme di follia. Ed eccoli in piazza a declamare Lovecraft e a rivendicare l’Immaginazione al Potere…

È curioso notare come la letteratura del soprannaturale si vada profilando all’orizzonte ogni qual volta vi sia un periodo di crisi di valori, o una messa in discussione dello status quo ante. Notate come, in genere, questo avvenga in occasione di tumultuosi periodi di transizione quali possono essere la vigilia e gli anni immediatamente successivi della Rivoluzione Francese, gli anni successivi alla Guerra Franco-Prussiana del 1870, il crollo del secondo impero francese, l’imminenza della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione Russa e così a seguire.

Cappuccetto Rosso, incisione di Gustave DoréOra, critici, letterati e antropologi vi diranno che ciò avviene per un motivo preciso, che tutte queste narrazioni, cioè, partono da un bisogno comune. E che questo bisogno affonda le radici in periodi storici ben definiti, che producono – come tutti i periodi di crisi e di cambiamento – ben definite esigenze di rinnovamento. Rinnovamento che spesso parte – e deve partire perché tale sia – dal pozzo scuro dell’inconscio.

Bene, non ho intenzione di dirvi tutto ciò… O forse sì, ma in modo diverso. Facendo appello al vostro, di inconscio. Chiedendovi di ricordare quella sensazione di stupore mista a un piacevole brivido di terrore che provavate quando da bambini ascoltavate le fiabe, proprio quella morsa che vi prendeva allo stomaco un attimo prima che il lupo divorasse Cappuccetto Rosso davanti ai vostri innocenti, spalancati – e tuttavia bramosi di sangue – occhi di fanciulli. Quel sangue che non macchia, quegli arti amputati dei quali non si sente la mancanza, quel lupo sventrato e riempito di pietre che tuttavia fugge vivo nel bosco. Questa è sospensione della realtà. Secondary world, per dirla con Tolkien. È qui che vi voglio portare: dove tutto è possibile. Tra le pagine di un libro. E se una sola delle mie righe vi avrà spinti a leggere anche solo i risvolti di copertina di un qualsiasi libro – qui o altrove citato – avrò raggiunto il mio scopo.

Il resto, è letteratura.

Tatiana Martino

(pubblicato su San Rospo il 2/10/07)