mercoledì 30 novembre 2011

The Ballad of King Orpheus in musica per Dampyr

Dampyr - Place to Be - The Ballad of King OrpheusAvevamo parlato alcuni giorni fa della bella storia di Dampyr che reca appunto questo titolo. Se i benevoli lettori ricordano, si era detto che è una storia particolarmente cara a noi liguri non solo per le qualità intrinseche, ma anche perché disegnata dal giovane penciler intemelio Alessandro Scibilia.

Ma La ballata di Re Orpheus è giunta a possedere ormai anche un’altra caratteristica di solito più inusuale per un fumetto. Se può capitare infatti che una storia disegnata faccia deciso riferimento a musiche esistenti, a canzoni, anche a ballate mitiche e talvolta le riporti persino in parte nel testo, rendendole in pratica una sorta di colonna sonora ideale, un percorso di tracce da tenere ipoteticamente sul proprio stereo nel corso della lettura, è decisamente molto più raro che essa possieda una vera e propria original soundtrack studiata e pensata appositamente per l’occasione. È il caso, però, del racconto in questione, ove – guarda caso – proprio la musica gioca un ruolo consistente e anzi assolutamente essenziale all’interno della vicenda.

Chi ha letto la storia ricorderà infatti come tutta la trama ruoti intorno alle malefatte di questo infido lord scozzese, Lord Soules, il quale – prima da vivo e poi post mortem – con la collaborazione della malvagia creatura fatata Redcap perseguita e infesta tutta la location in cui la narrazione si ambienta. Si rammenterà perciò anche che il mezzo principale per combattere i “cattivi” è appunto il canto della ballata del titolo da parte dell’eroe di turno. Dapprima espressione taumaturgica e benefica in grado di proteggere dagli incantesimi maligni, essa assumerà poi effetti negativissimi a causa della maledizione delle forze del male (e qui giungiamo all’inizio dell’albo, ove la melodia viene riscoperta e comincia a far danni) e infine ritornerà a essere uno strumento del Bene grazie all’intervento di potenze superiori, che ne dissolveranno l’aura oscura ripristinandone la potenza primigenia.

Dampyr #140, copertinaLa ballata oggetto del presente articolo esiste veramente, dunque, sia pure a livello di fiction. Dapprima nasce per i testi, grazie alla mente di Mauro Boselli (creatore e principale scrittore di Dampyr), e ovviamente viene scritta in funzione della storia nella quale, come si diceva, verrà cantata dall’eroe già nel primo scontro narrato in flashback con il perverso Lord Soules. Essa viene poi reinventata, tuttavia, grazie all’intervento dell’associazione Autunnonero che si occupa di folklore e horror organizzando il relativo Festival annuale in Liguria, principalmente nella provincia di Imperia. Tale associazione è legata per vari motivi a filo doppio con Dampyr, non ultimo l’amicizia con Boselli oltre al fatto che Alessandro Scibilia ne sia il vicepresidente e il fratello Andrea il presidente stesso.

Grazie all’interesse degli Scibilia, dunque, e alla loro inventiva, con il pieno accordo di Boselli e della Sergio Bonelli Editore, nasce il progetto di trasformare la ballata – preesistente nella sceneggiatura del fumetto – anche in una canzone vera e propria, cosa che viene fatta coinvolgendo il musicista Mariano Dapor. Già noto per la sua reinterpretazione di famosi pezzi metal (soprattutto degli Iron Maiden, dei Metallica e degli Apocalyptica), ma anche per la composizione di brani originali nel corso della collaborazione con Fabrizio Bruzzone nel duo Cellobass Metal, Mariano coinvolge il suo altro nuovo gruppo, i Place to Be, nell’operazione dando il via a un brainstorming e a un lungo, impegnativo lavoro di interpretazione e sviluppo creativo che porterà all’esecuzione finale del suggestivo pezzo, del quale a seguito si dà un assaggio.



E dunque ora La ballata di Re Orpheus ha preso vita, ed è pienamente acquistabile su Itunes da parte di tutti gli interessati. Chi scrive conosce bene la bravura di Mariano Dapor e ha avuto modo di udire anche i Place to Be, che si sono dimostrati ottima e solida band dalle validissime capacità musicali, vocali ed interpretative per cui, a suo modesto avviso, l’acquisto del brano è pienamente consigliato. Senza dimenticare che, in aggiunta, è anche disponibile presso lo shop online di Autunnonero la stampa con l’illustrazione originale di Alessandro Scibilia che funge da copertina per il pezzo.

Gli appassionati di folklore, di musica, di fumetto sono avvertiti: come lasciarsi sfuggire un tale connubio? Vogliamo perdere l’occasione di leggere (o magari ri-leggere) il numero di Dampyr con il sottofondo delle autentiche note e della melodia che è capace di scacciare spettri e fantasmi e ristabilire l’ordine e la serenità?

Che sia forse solo l’inizio di un nuovo modo di concepire il medium fumetto che via via potrebbe anche prendere piede? Vale la pena di osservare e... ascoltare.

Umberto Sisia

domenica 27 novembre 2011

I soliti mostri all’angolo della strada

I mostri all’angolo della strada, 2011, copertinaD’accordo, è stato uno storico evento editoriale, la prima organica raccolta di Howard Phillips Lovecraft in Italia, in precedenza solamente antologizzato o al massimo proposto su rivista e infine selezionato, editato e presentato con una lunga e importante introduzione da Carlo Fruttero e Franco Lucentini, per Mondadori, nel lontano 1966.

D’accordo pure sul valore “affettivo” legato al primo approccio con l’autore – per molti oggi non più giovanissimi – e, cosa per nulla secondaria, con le splendide copertine realizzate da Karel Thole anche per le riedizioni successive del 1974 e 1980. D’accordo persino sull’apporto tanto personale quanto decisivo della coppia di curatori, direttori di Urania per un quarto di secolo dai primi anni 60, sorta di numi tutelari per la diffusione della fantascienza e del fantastico nella cultura popolare italiana del periodo.

Ma ora che I mostri all’angolo della strada di H.P. Lovecraft è nuovamente pubblicato, questa volta per la collana narrativa dei Supertascabili de Il Saggiatore, ci chiediamo se non fosse stato il caso di includere almeno un minimo apparato critico, in aggiunta alla notarella in quarta di copertina che riportiamo a seguito, per giustificare l’inalterata riproposta di una compilazione ormai datata, che se da una parte (d’accordo ancora) omaggia l’opera di chi l'ha curata, dall’altra continua a stravolgere quella dell’autore.

“Nel 1966 si presentava ai lettori italiani «I mostri all'angolo della strada», la prima raccolta ragionata delle opere di H.P. Lovecraft, curata da Fruttero e Lucentini. Nell'intento dei curatori, «La ‘grande mostra’ italiana dei mostri di Lovecraft» si proponeva di rimettere ordine nelle pubblicazioni saltuarie e incomplete del maestro di Providence, proponendo sia i racconti legati al ciclo di Cthulhu sia quelli sovrannaturali. Lovecraft e i suoi racconti visionari, che tratteggiano un universo malevolo incomprensibile, pronto a divorare la fragile civiltà umana, sono poi diventati un caposaldo della letteratura fantastica moderna, e questa raccolta rappresenta la pietra miliare della storia delle sue pubblicazioni in Italia”.

Nulla, nel volumetto appena uscito, a inquadrare l’attività di Fruttero e Lucentini nell’ambito della fantascienza di quegli anni, sull’attività delle collane Mondadori, le ricorrenti scelte di adattare la narrativa in traduzione sia agli spazi editoriali materialmente disponibili che al “gusto” percepito dei lettori, col risultato di pubblicare testi a volte non integri, a volte drasticamente riveduti: gli stessi confluiti in queste pagine. E se non è poi una così grande pecca il ristampare senza avviso i medesimi drastici adattamenti di 45 anni fa, comincia a diventarlo il reinserire, di nuovo senza segnalazione alcuna, un racconto che di Lovecraft non è.

Già nel 1966 “La finestra della soffitta” (“The Gable Window”) era nota per essere una storia a doppia firma di August Derleth in “collaborazione postuma” con Lovecraft, del quale dichiarò di aver portato a termine gli scritti incompiuti, pubblicati come questo nel ’57 in The Survivor and Others (Arkham House). Lo stesso racconto veniva tradotto in Italia nel 1977 come “La finestra della mansarda” ne La lampada di Alhazred, presso Fanucci, parziale edizione italiana di The Watchers Out of Time and Others (Arkham House, 1974) sempre a duplice firma Derleth-Lovecraft. E non è occorso molto tempo per chiarire in via definitiva che si tratta di un’opera del solo Derleth, composta sul mero spunto di un’annotazione del Commonplace Book, il personale taccuino degli appunti di H.P. Lovecraft tradotto in italiano col titolo di Diario di un incubo (Mondadori, 1994).

Troppo impegnativo e dispendioso, forse, aggiungere una qualche nota. Se non critica, almeno informativa, per avvertire che il racconto che leggete non è dello scrittore a cui viene attribuito.

Questo l’indice del volume:

Introduzione. Storia delle storie di Lovecraft – Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Parte Prima. IL MITO DI CTHULHU
Dagon (traduzione di Maria Luisa Bonfanti)
Il richiamo di Cthulhu (tr. Elena Linfossi)
Il colore venuto dallo spazio (tr. Sarah Cantoni)
L'orrore di Dunwich (tr. Floriana Bossi)
Colui che sussurrava nelle tenebre (tr. S. Cantoni)
La maschera di Innsmouth (tr. S. Cantoni)
La cosa sulla soglia (tr. M. L. Bonfanti)
L'abitatore del buio (tr. M. L. Bonfanti)
La finestra della soffitta [in realtà di August Derleth] (tr. M. L. Bonfanti)
Nyarlathotep (tr. M. L. Bonfanti)
Parte Seconda. ALTRI ORRORI
L'estraneo (tr. M. L. Bonfanti)
La musica di Erich Zann (tr. M. L. Bonfanti)
Herbert West, rianimatore (tr. M. L. Bonfanti)
I ratti nel muro (tr. M. L. Bonfanti)
Nella cripta (tr. Lodovico Terzi)
Aria fredda (tr. M. L. Bonfanti)
Il modello di Pickman (tr. Roberto Mauro)


I mostri all’angolo della strada
H.P. Lovecraft
a cura di Fruttero & Lucentini
collana Supertascabili. Narrativa, Il Saggiatore, 2011
brossura, 424 pagine, €11.00
ISBN 9788856502886

Andrea Bonazzi

giovedì 24 novembre 2011

H.P. Lovecraft: tributo rock a Misano Adriatico

Tribute to H.P. Lovecraft, 2011, locandinaMoonlight Agency presenta Tribute to H.P. Lovecraft, una serata rock dedicata al genio fantastico di H.P. Lovecraft con le tre esibizioni live dei gruppi Talisman Stone, Calendula e Under the Ocean il prossimo sabato 26 novembre, alle 21:30, al Boulevard Rock Club di Via Ponte Conca 41 a Misano Adriatico (RN).

“Serata «a tema», dedicata ad uno dei più grandi scrittori di horror e fantascienza mai vissuti: Howard Phillips Lovecraft! Si esibiranno dal vivo tre band italiane: i Calendula con il loro noise-sludge-core, gli Under the Ocean con il loro death metal e come headliner i Talisman Stone, che presenteranno il nuovo disco «Lovecraftopolis», ideale fusione delle parole «Lovecraft» e «Metropolis»: un nuovo lavoro psichedelico, allucinante, un viaggio tutto da scoprire sulle orme del grande scrittore”.

Ingresso a dieci Euro, maggiori informazioni sul sito web ufficiale del Boulevard Rock Club www.boulevardrock.it, o presso la pagina dell’evento su Facebook.

Tatiana Martino

martedì 22 novembre 2011

John Kenn, storie nere su sfondo giallo

John Kenn, '117'
John Kenn, '43'
John Kenn, '174'
John Kenn, '182'
John Kenn, '41'
John Kenn, '135'
John Kenn, '118'

Classe ’78, danese, due gemelle che gli tolgono molto tempo e l’hobby di disegnare. Fin qui sembrerebbe un uomo normale, se non fosse che illustra mostri su post-it.

John Kenn Mortensen, in arte Don Kenn, scrive e dirige spettacoli televisivi per bambini. E quelli che lui stesso definisce “scarabocchi” tali non sono, ma si rivelano essere interessanti bozzetti a penna dal tratto originale e minuzioso. Kenn lascia che siano le proprie illustrazioni a raccontare le storie che di volta in volta ci propone nel suo blog, al punto di farne una sorta di “Mutus Liber” dell’illustrazione, totalmente privo di didascalie (fatta eccezione per le tre righe e una parola della biografia).

La narrazione muta evoca paesaggi nordici con alberi ad alto fusto dietro i quali si nascondono giganteschi mostri pelosi, casette di legno che sembrano uscite dalle fiabe, fantasmi emaciati, vampiri senza piedi fluttuanti sui foglietti gialli. Alci, renne e animali del bosco che si stagliano su due zampe, giganteschi, umanizzati a osservare curiosi il genere umano, e ancora esseri fatti di campiture a inchiostro che camminano sulle onde del mare, ghoul ghignanti e altre creature che sono inquietanti tanto più quando sembrano strizzare l’occhio a un certo gusto per l’illustrazione per ragazzi.

Il supporto sul quale realizza le sue micro-opere, il post-it, costringe l’osservatore a guardare meglio, rivelandosi essere un espediente formidabile per tenere viva l’attenzione e coinvolgerlo nelle minuscole storie nere su sfondo giallo che Kenn ci racconta da abile erede della tradizione scaldica della sua terra.

Gallerie: blog ufficiale johnkenn.blogspot.com; pagina personale su Facebook.



Tatiana Martino

domenica 20 novembre 2011

H.P. Lovecraft: le lettere a James F. Morton

H.P. Lovecraft: Letters to James F. Morton, 2011, copertinaProsegue l’opera di pubblicazione critica e integrale del vastissimo epistolario di Howard Phillips Lovecraft, sempre a cura dell’esperto S.T. Joshi che, insieme a David E. Schultz, presenta finalmente presso l’americana Hippocampus Press la raccolta delle Letters to James F. Morton, le lettere a James F. Morton riunite in una corposa edizione di circa cinquecento pagine – il doppio, per dimensioni, delle due precedenti brossure epistolari lovecraftiane dedicate rispettivamente ad Alfred Galpin e a Rheinhart Kleiner.

“James Ferdinand Morton è stato uno dei corrispondenti più eclettici ed eruditi di H.P. Lovecraft: laureato a Harvard, Morton ha operato come figura di spicco presso la Esperanto Association of North America, la Thomas Paine Natural History Association e altre organizzazioni, oltre a essere stato per lungo tempo curatore del Paterson Museum del New Jersey. Lo scambio epistolare di Lovecraft con Morton rivela l’intera e vasta gamma degli interessi intellettuali di entrambi: dal libero pensiero al socialismo, dal giornalismo amatoriale ai cruciverba (cordialmente detestati dal primo quanto entusiasticamente apprezzati dal secondo, N.d.T.), dai rapporti interraziali all’ascesa di Mussolini e Hitler. Nel corso di questo scambio, Lovecraft offre pure accattivanti resoconti – talora scritti in gergo piuttosto piccante – dei suoi viaggi nel New England, sulla propria dieta, e altri dettagli che rendono viva la figura del sognatore di Providence”.

Le lettere vengono presentate in forma integrale, con note dettagliate e commenti dei due curatori, mentre una scelta esemplificativa degli scritti di J.F. Morton integra la raccolta comprendendo il suo notevole saggio “Fragments of a Mental Autobiography”. A completare il volume le interessanti memorie di colleghi e amici fra i quali E. Hoffman Price, W. Paul Cook e la moglie dello stesso Morton, Pearl K. Merritt.

Maggiori informazioni sull’uscita presso la pagina web dedicata di www.hippocampuspress.com.

H.P. Lovecraft: Letters to James F. Morton
a cura di David E. Schultz e S. T. Joshi
Hippocampus Press, 2011
brossura, 500 pagine, $25.00
ISBN 9780984480234

Andrea Bonazzi

giovedì 17 novembre 2011

Arthur Machen ad Albenga

Invito alla lettura di Arthur Machen, 2011, locandina“4 passi nel Fantastico” presenta Invito alla lettura di Arthur Machen, che si terrà venerdì 18 novembre alle 21:00 presso la Musikalische Wunderkammer di Palazzo Oddo, in Via Roma ad Albenga (SV). Milli Conte e Carla Migliardi presteranno le loro voci per un selezionato reading di opere dell’autore gallese per la direzione e cura di Maurizio Natoli.

La manifestazione, che ha già visto una serata dedicata a Edgar Allan Poe, nelle due prossime settimane proseguirà con le letture di H.G. Wells e Jorge Luis Borges.

La rassegna “4 passi nel Fantastico” dedica il suo secondo appuntamento al Maestro della letteratura “fantastica” (tale fu per H.P. Lovecraft, per J.L. Borges e altri autori dello stesso calibro) Arthur Machen. Questo autore multiforme deve forse la sua scarsa fortuna passata e presente presso la critica italiana al tema del Soprannaturale (sempre visto di malocchio dai nostri stimati critici e giudicato “letteratura minore”) e alla sua prosa “filigrana delicatamente lirica e espressiva”, come la definiva Lovecraft, che mal si adatta all’esigenza tutta italica di una letteratura costituita da un pedante monologo interiore del quale non importa niente a nessuno e il cui valore è stimato tanto quanto più pesante e inutile è la lettura stessa.

È paradossale, infatti, che sia più conosciuta dell’autore la sua “The Bowmen”, divenuta una vera e propria leggenda urbana negli anni della Prima Guerra Mondiale perché scambiata per una storia vera, quella che vedeva i leggendari arcieri fantasma di Crécy e Anzicourt (1346 i primi e 1415 i secondi) schierarsi a fianco dei soldati inglesi in rotta durante la Battaglia di Mons del 1915, o che sia più semplice ricordare The Birds di Hitchcock, il cui soggetto è ispirato (anche se abbastanza lontanamente, attraverso Daphne du Maurier) al racconto “The Terror” di Machen.

Gallese di nascita, uomo dalla cultura eclettica, Arthur Llewellyn Jones – in arte Machen – è padrone di una tecnica narrativa che è un trionfo di raffinatezza e sapiente misura. Miscela sapientemente come a creare un filtro magico le radici celte, l’intensità dei ricordi giovanili legati alle antiche e inquietanti colline gallesi, alle rovine romane cariche di mistero e il medioevo. Tutti aspetti che contribuiscono a creare la concezione prediletta dall’autore in fatto di Soprannaturale: l’idea cioè che sotto le alture e le rocce delle brulle colline del Galles dimorerebbe una razza cupa e primitiva, le cui vestigia diedero origine alle comuni leggende sul “Piccolo Popolo”, tema portante di racconti come “The Novel Of The Black Seal” (“La storia del sigillo nero”) o “The Red Hand” (“La mano rossa”).

Maggiori informazioni sull’evento presso le pagine di albengacorsara.it.

Tatiana Martino

mercoledì 16 novembre 2011

Balene e no. Un viaggio minimo nella simbologia di Moby Dick

'Moby Dick Rises', illustrazione di Rockwell Kent, 1930Sono sempre stato affezionato ai luoghi comuni poiché, contrariamente a quanto si pensa di solito, sono convinto che nella maggior parte dei casi della vita quotidiana essi siano portatori di una verità talmente evidente da essere persino incontrovertibile. Si potrà forse accusarli di essere banali, vieti e ritriti, ma difficilmente potranno essere tacciati di insincerità.

L’affare si complica, tuttavia, quando i luoghi comuni iniziano a essere applicati ai prodotti della letteratura, del cinema, dello spettacolo, poiché – stavolta sì – potremmo correre il rischio di andare a parare decisamente da un’altra parte e a parlare di un’altra cosa rispetto a ciò che si sta invece esaminando. Non sempre quello che si sa di una qualche opera, infatti, corrisponde effettivamente a quello che essa è. Non sempre nella semplificazione dell’immaginario popolare l’idea che si ha di una storia corrisponde al vero.

Qualche esempio? Jonathan Swift non è stato l’autore di una favoletta con omini centimetrici e immani giganti come di solito si vuol credere... Un tal Don Quixote non era semplicemente un bislacco tontolone protagonista di epopee comiche e picaresche... Le Fiabe dei Grimm non sono affatto materiale per bambini (tutt’altro) e i due stessi autori non sono da ricordare per quello... La Storia Vera di Luciano narra del primo viaggio spaziale della storia e di numerose altre meraviglie fantastiche ma non è il primo romanzo di fantascienza... E si potrebbe continuare a dismisura.

Tale la premessa. Riflessioni di questo genere mi sono infatti balzate alla mente con prepotenza qualche tempo addietro. Dal momento che in quei giorni mi ero ritrovato a rivedere visionandole su YouTube alcune sequenze dal Moby Dick, per la regia di John Houston e sceneggiato dal grandissimo Ray Bradbury, al di là dell’indubbia qualità della pellicola e della nota bellezza delle immagini mi colpì soprattutto il tenore dei commenti di coloro che avevano già guardato il video.

All’interno di tali commenti, infatti, lungi dal contestualizzare quanto si era visto e dal giudicarlo per i suoi contenuti effettivi, gli spettatori di internet non facevano altro che sfruttare l’occasione del film per battaglie ambientaliste altrimenti giustissime ma totalmente inappropriate per quella sede, deviando totalmente – questa la cosa peggiore – dal contenuto reale dell’opera a fini biecamente (per quanto fors’anche in buona fede) propagandistici. Si arrivava addirittura al punto di insultare il povero capitano Achab augurando la morte a tutti coloro che svolgessero una professione consimile.

Un ragionamento di questo tipo, al di là di tutte le altre considerazioni fattibili, non poteva che condurmi a una sola conclusione fondamentale: questa gente non aveva capito assolutamente nulla del film e – se consideriamo che si tratta di una trasposizione cinematografica molto fedele – in fin dei conti nemmeno del libro (quand’anche qualcuno lo avesse letto).

Con molta umiltà mi sono quindi accinto a cercare quantomeno di riflettere nelle sue linee essenziali su che cosa sia Moby Dick: forse sarà solo una goccia nel mare del fraintendimento della communis opinio (e torniamo al punto di partenza), ma comunque un tentativo di fare chiarezza su uno dei romanzi fondamentali non solo della letteratura americana, ma dell’ingegno umano tout court. Mi pare opportuno iniziare con un punto basilare sul quale si innesteranno poi tutte le altre possibili considerazioni.

Moby Dick non è un avventuroso romanzo di avventure marinaresche, né tantomeno è un’opera realistica. Per meglio dire, solo al livello più immediato, più apparente e a quello in fin dei conti meno sostanziale potremmo attaccare questo tipo di etichette al capolavoro di Herman Melville. Moby Dick è piuttosto, fin dalla prima pagina e in modo assolutamente prepotente, un romanzo dai caratteri gotici, fantastici, allucinati, una meravigliosa cavalcata simbolica attraverso molteplici strutture di senso differenti.

Moby Dick, 1956, locandina italianaIn tal modo, la Pequod non è una semplice baleniera, ma tutt’altro: equipaggiata in circostanze straordinarie, straordinaria e dissonante nelle componenti della sua ciurma, essa pare fin dal principio nient’altro che un prolungamento fisico del suo nascosto cervello, il capitano Achab. Anche il suo leggendario narratore – con l’altrettanto leggendario “Call me Ismahel” che dà il via a una narrazione – fin dalle prime battute conferisce all’esposizione delle vicende un tono nettamente profetico, quello di una rivelazione ricca di un profondo ed arcano significato che va decisamente al di là di quello di un semplice viaggio baleniero. Ciò non toglie che la precisione realistica del testo sia enorme, che la descrizione delle pratiche di navigazione sia accurata così come quella, per esempio, delle procedure di dissezione e lavorazione delle balene uccise allo scopo di ricavarne fino all’ultima stilla di olio. Ma – si potrebbe affermare – è tutta scenografia, o quantomeno sottotesto necessario poi a parlare di altro.

Non sono questi, perciò, il valore centrale e l’oggetto precipuo del discorso. Essi si iniziano a cogliere quando entra in ballo e proprio attraverso l’elemento del dissonante. L’equipaggio della Pequod, composto di sanguemisto e individui che si direbbero sbandati o di incerta origine, è un chiaro indizio dell’atmosfera simbolica che si vuole costruire, alludendo a una caotica stranezza della spedizione in partenza. Numerosi altri esempi si susseguiranno.

Ovviamente il centro di tutto il mondo della nave è il suo demoniaco capitano, una delle figure più iconiche, monumentali e pervasive della storia della letteratura, ma che non viene dal nulla ed ha i suoi bravi antecedenti.

Il capitano Achab, giustappunto. Egli è sicuramente il discendente di tutta una numerosissima serie di malvagi gotici. Precedentemente arroccati in castelli sugli Appennini, ora nella loro veste più innovativa questi tipici villains della letteratura si ripresentano sul mare. Hanno cambiato pelle, ma sono nonostante tutto riconoscibilissimi. Il marchio di fabbrica che manifestano nello sguardo infuocato e “divorantemente” ossessivo ce li presenta subito come tali (e parlo al plurale poiché Achab non sarà certo l’ultimo della serie... pensiamo anche solo – in forme diverse – ai pirati di Willam Hope Hodgson). Così pure l’aura di minaccia che ne pervade la personalità è tipica del genere. Come i vari Montoni, Schedoni, Ambrosio e via discorrendo, anche il baleniere è caratterizzato da una storia pregressa, che si apprenderà fosca e drammatica, segnata in modo devastante dal primo incontro con la Balena, il quale gli era costato la perdita della gamba. Un altro indizio di deformità fisica che introduce nel mondo della difformità psicologica di un contorto e maniacale modo di pensare.

Ma Achab non è solo questo: è un personaggio dalla statura titanica, legato a triplo filo alle tematiche del romanticismo: da una condizione di normale baleniere, egli matura grazie a Moby Dick quella volontà di ricerca e quella tensione verso il limite che caratterizzano questo tipo di personaggi. È un’ossessione magnifica, quella di Achab, ed è l’incarnazione della spinta a osare e a sfidare, per quanto tale impulso sia motivato essenzialmente dalla causa motrice di una vendetta delirante. Facendo riferimento al film, Gregory Peck è straordinario in questo senso nel dare vita a un’interpretazione del marinaio cupa, furiosa e contemporaneamente imponente. Achab come un novello Ulisse è colui che si erge titanicamente sapendo in cuor suo di essere già destinato alla sconfitta. Contro gli elementi, contro lo stesso Dio, è colui che non rinuncia pur di conoscere, sapere, confrontarsi; è colui che allo stesso modo di Ulisse alla fine è punito e si inabissa, che è empio ma che pervicacemente si aggrappa al suo ideale e per questo motivo appare anche oscuramente affascinante, quasi un modello da imitare.

È questa la vera essenza di Achab? Forse... e forse no. Possiamo poi essere così sicuri che Achab abbia solamente tutte queste sfumature negative? La grandezza del personaggio è che esso in realtà non fornisce risposte certe. Accanto a questa interpretazione “demoniaca” ha giusto rigore e ragion d’essere anche un’interpretazione positiva. Egli infatti, per i medesimi motivi romantici detti prima, rappresenta pur sempre il titano che sopravanza tutti gli altri. Il signor Starbuck, Ismaele, Queequeeg, tutti gli altri personaggi sono evidentemente di una statura inferiore, non eroica. Di fronte alla giusta sfida di Achab alla balena, essi talora vorrebbero ritirarsi, cacciare normalmente come le altre baleniere, deporre le armi. Solo il capitano persiste indefessamente perché la lotta contro Moby Dick, ça va sans dire, non è una semplice lotta fra un uomo e un animale. Tutt’altro.

Moby Dick, 1851, frontespizioE siamo arrivati così a un problema centrale che si riferisce a Moby Dick, all’altro polo magnetico del romanzo che ne costituisce il necessario bilanciamento nelle dinamiche di contrasto che sono indispensabili affinché la trama possa procedere. E del resto è ovvio che perché ci sia qualcuno che sfida (che si trovi esso dalla parte del giusto, dello sbagliato o a metà fra esse) occorre necessariamente qualcuno (o qualcosa) che sia oggetto della sfida venendosi a configurare in un ruolo antagonistico.

Ecco pertanto la funzione della balena che dà il titolo all’opera melvilliana la quale, fra l’altro, ho sempre pensato avrebbe potuto continuare a intitolarsi Moby-Dick; or, the Whale, anche nelle innumerevoli edizioni e trasposizioni successive. Questo appunto perché il motivo della caccia al cetaceo non riguarda affatto la sfera materiale, cosa che risulta palese fin dai primi capitoli (ove esso è oggetto di un favoleggiamento quasi mitologico), per passare a quelli centrali (ove la caccia alle balene reali si contrappone ideologicamente a quella principale, nella quale il mostro brilla per assenza, inafferrabilità, fuggevolezza); l’impressione è totalmente confermata nei capitoli finali, nei quali il leviatano infine si manifesta in tutta la propria alterità. La sfida con la balena – ed è ciò che gli spettatori di YouTube non sono nemmeno lontanamente riusciti a capire – coinvolge non tanto una caccia reale, quanto piuttosto gli ambiti dai contorni sfuggenti ed ingannevoli del fantasmatico e quelli innervati nella natura più profondamente ontologica dell’essere del metafisico.

Come tutti sanno, poi, Moby Dick è una balena bianca, di un colore del tutto innaturale, simbolico. Il capitolo fondamentale dal titolo “La bianchezza della balena” è una cerniera essenziale nell’individuazione del significato del testo, ma anche senza di esso si potrebbe cogliere il valore di questo aspetto essenziale. Semanticamente il bianco non è solo il colore della purezza e del candore, della spiritualità e dell’idealismo, bensì a un livello ancora più profondo lo è del lutto e della morte. Il pallore è la caratteristica dei cadaveri, delle lamie, delle larve, di tutto ciò che rimanda alla costellazione di significati connessi con l’aldilà, tant’è vero che presso diverse culture in occasione dei decessi ci si riveste o ci si tinge la pelle di bianco. Già in Coleridge, il Vecchio Marinaio, autore di un atto di ribellione in qualche modo accostabile a quello di Achab aveva a che fare con un albatro portatore di energie arcane di colore bianco. Così come è di un bianco perfetto il colore della pelle dell’essere misteriosissimo che compare nelle ultime, enigmatiche pagine del Gordon Pym di Edgar Allan Poe.

Questo per dire che il sostegno alla presente tesi è fondatissimo e individuabilissimo. E dunque pare abbastanza evidente che Achab intraprenda una lotta contro il Leviatano, il mostro, la balena bianca allo scopo non solo di vendicarsi della perdita del proprio arto, ma ancora di quella della propria sanità mentale. In seguito al loro primo drammatico scontro principia una lotta fantasmatica sia contro i propri spettri personali, sia contro le forze oscure che infestano la realtà e – di più – contro un ente demonico che incarna e concretizza l’intera malvagità dell’essere. Il faccia a faccia con la balena ha per Achab un sapore lovecraftiano ante litteram poiché mina la sua identità serena e ordinaria precedente (sia a livello lavorativo che familiare) e lo precipita dinanzi al caos e al disordine, ne infrange le certezze costitutive, ne muta il carattere, lo trasforma nel coacervo inconsulto di tratti caratteriali dei quali si è detto: ossessione, romanticismo, eroismo, titanismo, maniacalità, irragionevolezza e tutto ciò che si è andati finora individuando.

Proprio per questo il combattimento del capitano contro Moby Dick risulta eroico, in quanto appunto costituisce anche un sacra missione della quale egli si è autoinvestito nel voler ritrovare ed eliminare definitivamente “il gran demonio dei mari”, ma che evidentemente non è solo limitato ad essi ma suggerisce una portata più ampia e cosmica.

Quale delle due interpretazioni proposte sarà dunque più sensata? Achab è un meraviglioso pazzo monomaniaco che segue le sue ossessioni di vendetta e trascende i limiti assegnati all’uomo venendo per questo punito (e la sua ciurma – seguendone le sorti – è condannata anch’essa a condividerle subendo la medesima sventura, tranne Ismaele che “solo è sopravvissuto per raccontarlo” tramite lo stupendo paradosso della sopravvivenza sulla bara preparata da Quequeeg)? O è un paladino della lotta contro il Male assoluto che fatalmente e pessimisticamente si trova costretto a cedere ad esso nella propria solitaria e superomistica battaglia? Come ho già accennato, penso che in fin dei conti non possa esserci una risposta univoca, o meglio, che entrambi i tipi di letture possano essere giudicati validi contemporaneamente. Dipende solo dall’angolatura di osservazione che si sceglie, dopotutto.

Meglio lasciare perdere le linee di interpretazione insensate e lasciare parlare il testo. Le opere hanno la loro identità e sarebbe opportuno ascoltarle piuttosto che andarsi a impelagare in discussioni prive del benché minimo senso… Ma per alcuni utenti internet usare il cervello evidentemente è troppo impegnativo, come purtroppo anche nella vita reale di tutti i giorni.



Umberto Sisia

domenica 13 novembre 2011

The Miscellaneous Writings of Clark Ashton Smith

The Miscellaneous Writings of Clark Ashton Smith, 2011, copertinaIn origine doveva essere un volumetto dal titolo Tales of India and Irony, riservato a coloro che avevano sottoscritto in anticipo presso la Night Shade Books i cinque volumi delle Collected Fantasies di Clark Ashton Smith. L’interesse nel frattempo è cresciuto, i due curatori Scott Connors e Ron Hilger hanno aggiunto nuovo materiale all’iniziale progetto di riunire i racconti giovanili ironici, avventurosi ed esotici – ma non fantastici – dello scrittore californiano, e la casa editrice specializzata americana ha deciso di rendere il libro disponibile anche nel proprio regolare catalogo.

The Miscellaneous Writings of Clark Ashton Smith è dunque in uscita ai primi di dicembre, raccogliendo insieme ai previsti “juvenilia” altri lavori dell’autore al di fuori o ai confini del genere, compresa la prova teatrale di “The Dead Will Cuckold You”, un “dramma in sei scene” pubblicato postumo e ambientato nel mondo di Zothique, e il lungo e celebre poema cosmico visionario “The Hashish-Eater”.

Come per la collezione di racconti che si accinge a completare, il volume è preparato da Hilger e Connors sulla base dei manoscritti, dattiloscritti e documenti originali, stabilendo un’edizione definitiva per i testi smithiani. Ad accompagnare l’edizione, illustrata in copertina da un nuovo ritratto d’autore di Jason Van Hollander, la riproposta di quello che rimane ancor oggi il principale saggio bio-bibliografico su C.A. Smith, “The Sorcerer Departs”, scritto Donald Sidney-Fryer che conclude con l’intervento “O Amor atque Realitas!” sulle prime ironiche “storie per adulti” dell’artista di Auburn. Oltre alla prefazione dei curatori, l’apparato critico si completa con le note al testo e gli “errata” dei cinque volumi Night Shade della narrativa fantastica, oltre alla bibliografia finale.

Informazioni presso il sito web dell’editore, mentre nel solito “LookInside!” di Amazon si può dare un’occhiata in anteprima ai contenuti, qui sotto elencati nel sommario.

Foreword – Scott Connors e Ron Hilger
Introduction: The Sorcerer Departs – Donald Sidney-Fryer
The Animated Sword
Prince Alcouz and the Magician
The Malay Krise
The Ghost of Mohammed Din
The Mahout
The Raja and the Tiger
Something New
The Flirt
The Perfect Woman
A Platonic Entanglement
The Expert Lover
A Copy of Burns
Checkmate
The Infernal Star
Dawn of Discord
The House of Monoceros
The Dead Will Cuckold You
The Hashish-Eater; or, The Apocalypse of Evil
Appendix One: Bibliography
Appendix Two: “O Amor Atque Realitas!” – Donald Sidney-Fryer


The Miscellaneous Writings of Clark Ashton Smith
a cura di Scott Connors e Ron Hilger
Night Shade Books, 2011
copertina rigida, 256 pagine, $29.99
ISBN 9781597802970

Andrea Bonazzi

venerdì 11 novembre 2011

Drawing Day: illustrazione dal vivo e “lovecraftianerie” a Montalto Ligure

Drawing Day Montalto 2011, locandinaFra le varie occasioni di interesse e divertimento che novembre sarà in grado di offrire a quanti volessero fare un giro in Liguria, ci interessa particolarmente segnalarne una. Domenica 13 a partire dalle 10:00 e successivamente nel pomeriggio, infatti, si terrà un evento dalla natura molteplice, il Drawing Day, che vedrà coinvolti disegnatori, fumettisti, pittori, tatuatori e personalità del mondo delle arti creative nella suggestiva cornice del paese ligure di Montalto (IM).

Con la collaborazione del Comune di Montalto Ligure, della Pro Loco, dell’Associazione Culturale “Proxima” e di varie altre associazioni, organizzato dalla giovane fumettista e grafica Giulia Pellegrini, la giornata prevede all’apertura la possibilità di visionare le opere esposte e di chiacchierare con gli autori presenti. Inoltre, qualsiasi disegnatore professionista o meno che intervenisse e volesse mettersi all’opera riceverà spazio, in una vera e propria sessione aperta di disegno nella quale confrontarsi e divertirsi.

Il pomeriggio prevede un primo momento nel quale si parlerà del mondo dell’illustrazione in relazione all’opera dello scrittore americano H.P. Lovecraft. La tematica verrà sviluppata presentando la nascita e i procedimenti realizzativi dell’artbook dedicato all’autore dal titolo Lovecraft Black & White (Dagon Press, 2010), curato da chi scrive e realizzato per la componente grafica dalla stessa Pellegrini (autrice, peraltro, anche di due pregevoli tavole interne). Sarà presente anche il noto fumettista imperiese Frederic Volante che ha partecipato al volume.

Altri importanti ospiti del fumetto ligure saranno la genovese Elena Mirulla, la quale parlerà del suo lavoro, dei suoi fumetti e in particolare della sua ultima stuzzicante uscita, le Sexyfavole. In esposizione vi sarà anche una selezione delle vignette di Palex, il noto umorista e satirico attivo sulle pagine di svariati periodici locali, il quale sarà presente nel pomeriggio.

Sarà possibile per il pubblico usufruire nell’occasione di visite guidate per il borgo, caratteristico paese ligure arroccato sulla montagna, punto di snodo viario di grande importanza per la Valle Argentina e ricco di significativi edifici e monumenti. Le due visite si svolgeranno alle ore 10:30 e 14:00. Alla fine della manifestazione è previsto un buffet per coronare il tutto, nel corso del quale ci si potrà salutare e scambiare quattro chiacchiere conclusive, fermo restando che il paese sarà ben lieto di accogliere coloro che vorranno fare onore all’ottima cucina ligure della valle sia a pranzo che a cena. Convenzionato con l’evento, il ristorante “Graziella” potrà accogliere gli ospiti in cerca di ristoro.

Una piacevole occasione, dunque, in primis per gli abitanti di Imperia e provincia ma anche per quanti volessero fare una capatina da altre zone. Il Drawing Day è pronto ad accogliervi. Ci vediamo a Montalto!

Info: www.liguriainside.it.

Umberto Sisia

mercoledì 9 novembre 2011

Arkana. Racconti da incubo in ePub

Arkana - Racconti da Incubo, 2011, copertinaDal sacco del dolcetti di Halloween, dal primo novembre è arrivato in rete Arkana - Racconti da Incubo, primo ebook gratuitamente disponibile dalle pagine internet de Il Posto Nero, per un’antologia che riunisce insieme a cura di Alessandro Manzetti e Daniele Bonfanti sette inedite storie brevi di altrettanti autori horror internazionali.

Da Jack Ketchum a Michael Laimo passando per le firme di Lisa Mannetti, John Everson, Lisa Morton, Daniel Keohane e James A. Moore, i racconti sono presentati da una introduzione di Rocky Wood, autore e saggista oltre che presidente della Horror Writers Association, il tutto coronato dalla magnifica illustrazione di copertina appositamente realizzata dal nostro Daniele Serra.

“Sono stati i primi esseri umani, riuniti attorno ai fuochi a parlare di combattimenti con gli elementi e con animali meravigliosi, a creare i primi racconti horror che sono arrivati fino a noi insieme alle leggende più antiche e ai nuovi grandi interpreti di questo genere, che è parte della condizione umana. Arkana - Racconti da Incubo è una vetrina di alcuni dei migliori talenti dell’horror moderno, che i curatori di questa raccolta hanno voluto immaginare come contributo al movimento horror e alla diffusione di questo affascinante genere. Sette autori di livello internazionale come Jack Ketchum, Lisa Morton, Lisa Mannetti, John Everson, Daniel Keohane, Michael Laimo e James A. Moore con le loro storie, per la prima volta pubblicate in Italia, ci faranno viaggiare attraverso le tante sfumature della paura e dell’oscurità”.

scarica l'ebook in formato ePub, iconaIl libro si può liberamente scaricare in formato ePub (1,05 MB) da www.postonero.it, dove è possibile leggere gli incipit delle opere oltre all’introduzione e a un’estesa presentazione degli autori. Vediamone i contenuti, con i titoli originali e i relativi traduttori:

Introduzione – Rocky Wood, traduzione di Alessandro Manzetti
Gemelli (Twins) – Jack Ketchum, trad. Daniele Bonfanti
Castello, 985 (Castello, 985) – Lisa Mannetti, trad. Alessandro Manzetti
Canzone d’amore (Lovesong) – John Everson, trad. Luigi Milani
Occhi dorati (Golden Eyes) – Lisa Morton, trad. Alberto Priora
Il concime di Jessup (The Potato) – Michael Laimo, trad. Luigi Musolino
L’ultimo Halloween (Last Halloween) – Daniel Keohane, trad. Nicola Lombardi
Il sorriso di cerone (Greasepainted Smile) – James A. Moore, trad. Alfredo Mogavero

Tatiana Martino

lunedì 7 novembre 2011

Un intemelio alla corte del Dampiro

Dampyr #140, copertinaPer tutti noi appassionati di cose weird la serie Dampyr della Bonelli è sicuramente una serie molto molto speciale. Ma in particolare lo deve essere il presente numero, il 140 uscito in edicola il 4 novembre dal titolo “La ballata di Re Orpheus”, che è degno di nota e di emozione in quanto particolarmente vicino alle nostre corde.

Se, infatti, l’albo riprende i personaggi e le vicende del bell’episodio “Il mistero di Loch Torridon” (n° 73) di Mauro Boselli e Luca Rossi, se costituisce un ritorno alle atmosfere folkloristiche tanto care ai lettori – e particolarmente a chi scrive – esso ha anche un motivo in più di valore.

Si tratta infatti del tanto atteso primo numero disegnato da Alessandro Scibilia e – si spera e glielo si augura di tutto cuore – il primo di una lunga serie di episodi con la sua firma. Lo diciamo con un filo di campanilismo, ma giustificato: lo Scibilia ci è particolarmente caro in quanto disegnatore della nostra terra, e disegnatore di razza e di classe purissima. Giovane autore di Ventimiglia, educato all’arte del disegno da Carlo Marcello (famoso disegnatore attivo in Francia, ma notissimo ai lettori italiani soprattutto per le sue numerose storie di Tex) , Alessandro è già noto per aver realizzato insieme al fratello Andrea Scibilia (soggettista e sceneggiatore) gli albi finora usciti della serie storico-horror ambientata a Triora dal titolo Il sorriso della bagiua, vale a dire “il sorriso della strega” per i non liguri). Per coloro che fossero curiosi circa l’opera in questione, il sito a essa dedicato è ilsorrisodellabagiua.com.

Tornando al numero di Dampyr in questione, però, Alessandro Scibilia finalmente porta a termine un lavoro che ha avuto una gestazione lunga e travagliata e lo fa con uno degli episodi artisticamente più efficaci che la serie ricordi. Nel mare magnum di grandissimi autori all’opera mensilmente su Dampyr (basti ricordare gli straordinari Alessandro Baggi, Alessandro Bocci, Luca Rossi, Majo, Arturo Lozzi, Michele Cropera, Nicola Genzianella, Fabiano Ambu, Maurizio Dotti e tantissimi altri maestri del disegno che ci perdoneranno l’involontaria omissione) il nostro sgomita – sommessamente e molto educatamente, come chi lo conosce sa essere il suo stile – ma pur sempre sgomita per prendersi il proprio posto dovuto in maniera assolutamente inconfondibile.

Dampyr #140, tavola 18
Dampyr #140, tavola 21

Il suo Harlan Draka è inequivocabilmente elegantissimo e fascinoso (così come lo sono i vari comprimari e le fanciulle che compaiono nella vicenda), le sue ambientazioni totalmente suggestive ed efficaci, i suoi mostri orrendi ma pervasi da una loro intrinseca attrattività ed oscura malìa. Stilisticamente parlando il suo segno è più evoluto che mai e promette sicuramente ulteriori meraviglie nel corso del tempo a venire: l’impostazione dell’azione è sicura e coinvolgente e le stesse chine fumose e oscure, frutto di un tratteggio finissimo, colpiscono pienamente nel segno. Sicuramente chi avesse la fortuna di visionare le tavole originali non potrà fare a meno di scoprire in esse una miniera di dettagli e sfumature preziosissime che non possono non essere andate in parte perdute nel processo di inevitabile semplificazione e riduzione che richiede la messa in stampa. Ma tali dettagli finissimi ci sono, ed è questo l’importante. E a ben cercarli, il lettore attento li ritroverà sicuramente.

Dampyr #140, tavola 39
Dampyr #140, tavola 67

Un minimo di sinossi tratta dal medesimo sito ufficiale della Bonelli prima di lasciarvi alla lettura:

“«Orfeo, davanti al Re degli Elfi, impugnò l’arpa e cominciò a cantare»... Per anni Duncan McGillivray ha tenuto nascosta l’esistenza della misteriosa «Ballata di Re Orpheus» che ha ascoltato nel vento delle brughiere scozzesi. Ora la canzone che conduce alla morte e alla sventura è stata riarrangiata dal complesso folk del suo allievo Stuart Morison. Il vecchio Duncan vuole impedire che la ballata venga eseguita a Byrnestane Castle, che nell’oscuro Medioevo fu sede degli innominabil riti sanguinari del malvagio Lord Soules e del suo famiglio Redcap. A Byrnestane, per un convegno sulla cultura celtica, ci sono anche i cacciatori di fantasmi dell’Università di York. Ma, secondo la medium Maud Nightingale, fantasmi proprio non ce ne sono! Almeno sinché le note della ballata non echeggiano tra le vecchie mura... e, con l’aiuto del giovane Stuart, i nostri cacciatori di vampiri e di fantasmi dovranno vedersela con gli spettri al servizio del terribile Lord Soules...”

Ed è una lettura caldamente consigliata e imprescindibile: se conoscete Dampyr, se non lo conoscete, se amate la cosiddetta scuola ligure del fumetto oppure semplicemente i disegni straordinari (i testi lo sono già d’ufficio con il maestro Mauro Boselli all’opera, ça va sans dire) questo è il numero che fa per voi. Non perdetevelo!

La ballata di Re Orpheus
Dampyr n° 140
Sergio Bonelli Editore, 4 Novembre 2011
albo, €2.70
ISBN 977159000200210140

Umberto Sisia