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mercoledì 14 dicembre 2011

Storia dei licantropi

Storia dei licantropi, 2011, copertina“Ho ucciso cani e ho bevuto il loro sangue; ma le ragazzine hanno un sapore migliore, la loro carne è tenera e dolce, e il loro sangue pieno e caldo. Ho mangiato diverse vergini mentre ero a caccia insieme ai miei nove compagni. Io sono un Lupo Mannaro!”

Citato in quarta di copertina del volume, questo brano dagli atti del processo al giovane Jean Grenier – dichiaratosi lupo mannaro nella Bordeaux del 1603 – ricollega idealmente il mito con la cronaca, la superstizione con l’indagine patologica, la tradizione folklorica con la moderna fiction nell’ampio e comprensivo approccio scelto per il saggio di Luca Barbieri Storia dei licantropi, pubblicato per l’editrice Odoya con una prefazione di Valerio Evangelisti.

Dalla storia basilare della mutazione umana in forma di animale, sviluppatasi nelle diverse culture sparse per il globo, alle caratteristiche morfologiche e tradizionali dell’uomo lupo in Occidente, fra le regioni d’Italia e le nazioni del Vecchio Continente, per come considerato a livello popolare, dalla chiesa e dal nascente metodo scientifico, l’opera spazia in cinque vaste sezioni attraverso la finzione narrativa, cinematografica, ludica e mediatica che ha reso così celebre oggigiorno la figura del licantropo, icona horror seconda forse – nell’immaginario collettivo – soltanto alla pervasiva seduzione del vampiro.

E ancora trovano approfondimento temi meno usuali e non altrettanto eplorati nella saggistica del genere finora apparsa in italiano, dalle particolari storie del West americano a quelle altrettanto peculiari dei più lontani continenti – fra donne volpi, uomini giaguaro, genti canine e tigri umane – fino alle conclusioni suggestive e personali dell’autore.

“Dimenticate gli incubi di unghie e zanne immaginati da Hollywood,” esordisce la presentazione editoriale. “I licantropi sono esistiti ed esistono ancora, in altre e più interessanti forme: nelle evocazioni magiche degli sciamani intossicati dagli allucinogeni, nelle ossessioni di criminali che legano i propri istinti ai moti della luna, nelle deformità di sfortunati esseri umani colpiti da malattie devastanti. Quella del lupo mannaro, dunque, non è semplicemente una leggenda intrisa di sangue e paura, né una favola nera raccontata ai bambini per renderli più cauti e saggi. Ecco allora che, se un’eterogenea comunità di uomini-lupo davvero esiste, diventa necessario anche un manuale di istruzioni per coloro che di questa comunità sono appena diventati membri, intenzionalmente o in seguito a una casualità tragica e imprevista. Se invece si preferisce ritenerla una leggenda, questo libro rimane comunque uno strumento utile per scoprire qualcosa in più sui lupi mannari, oltre al fatto che mutano durante i pleniluni, amano la carne umana e temono l’argento”.

Uomo lupo in una incisione dal 'Liber Chronicarum' di Hartmann Schedel, 1493“Il libro affronta dapprima la loro storia nel mito e nel folklore delle principali civiltà umane,” prosegue il risvolto di copertina, “accompagnando il racconto con le narrazioni più moderne di letteratura, cinema e fumetto; si lancia poi in una cavalcata attraverso gli sconfinati territori della Frontiera americana, per finire con un’esplorazione di quelle «riserve animali» nelle quali sono racchiuse tutte le creature che non mutano in lupo ma in predatori altrettanto terribili”.

Esauriente e approfondito nella documentazione storica e nella ricerca, in particolar modo quella letteraria, il saggio trova tuttavia la scorrevolezza di una narrazione con l’ausilio d’una fitta iconografia di foto, locandine, riproduzioni d’epoca, frontespizi e illustrazioni in bianco e nero che si accompagnano per più di 300 pagine al testo.

“Povero lupo, ovvero il mostro plebeo” è il titolo dell’intervento introduttivo affidato a Evangelisti, il quale sottolinea gli aspetti malinconici, istintivamente terreni e quasi “proletari” di questa creatura leggendaria tanto più legata alla natura, sia umana che bestiale, rispetto a un elitario modello soprannaturale vampirico.

In appendice, oltre alle note, la “Bibliografia licantropia ragionata” e una lista degli essenziali film, cartoons, serial TV, giochi e fumetti in tema, per concludere con un indice dei nomi – sempre utilissimo in fase di consultazione.

Laureato in Giurisprudenza, Barbieri si divide tra il lavoro e le proprie attività di vignettista satirico, sceneggiatore di fumetti, saggista, articolista, editor e scrittore, premiato a Lucca Comics and Games 2008 e al Trofeo Rill 2009 in entrambi i casi per il miglior racconto fantastico inedito. Presso la stessa casa editrice è apparso nel 2010 il suo saggio Storia dei pistoleri.

Maggiori informazioni sulla pagina web ufficiale di Odoya.

Storia dei licantropi
Luca Barbieri
brossura, illustrato, 384 pagine €20.00
collana Odoya Library, Odoya, 2011
ISBN 9788862881241

Andrea Bonazzi

sabato 19 marzo 2011

Morfologia del licantropo: mito, leggenda e folklore

Poster per il film 'Van Helsing', 2004La credenza che un essere umano possa anche fisicamente trasformarsi in belva è antica e diffusa in tutto il mondo. Per limitarci alle sole tradizioni occidentali, la figura del licantropo viene talvolta confusa con gli elementi del vampirismo e della stregoneria, mantenendo in certo folklore alcuni retaggi del paganesimo, e persino d’una più antica adorazione totemica degli animali.

Altra considerazione è poi l’approccio al fenomeno quale mera malattia mentale: già nel II secolo il medico Galeno definiva la licantropia come “una forma di melanconia cerebrale”.

Il termine “licantropo” trova origine dal greco lykos, che significa lupo, unito ad anthropos, uomo, mentre “lupo mannaro” risale al latino lupus hominarius, cioè lupo come mangiatore d’uomini, oppure anche “simile all’uomo”. In inglese e nelle lingue germaniche, la parola werewolf si compone di wer, ovvero uomo (vir in latino) e wolf per lupo. Il francese loup-garou trova forse un’equivalenza fra garou e wer nel senso di uomo, attraverso più antichi termini quali warouls, warous o vairout.

La mitologia greca vede nella condanna divina le origini della trasformazione in licantropo, con l’esempio di Licaone, crudele re dell’Arcadia, che viene da Zeus tramutato in lupo per punizione del suo oltraggioso consumo di carne umana. Secondo certo folklore europeo, invece, per trovare un tale destino sarebbe sufficiente il nascere alla mezzanotte di Natale, addormentarsi a volto scoperto sotto la luna piena o altri simili incidenti, fino all’incorrere nella maledizione di una fattucchiera.

Lupo mannaro assale un cavaliere, xilografia medievaleSe non di origine ereditaria o di natura subìta, la licantropia può essere volontariamente ottenuta con mezzi magici. Come per il versipellis dell’epoca romana, così chiamato poiché si riteneva che il pelo del lupo gli crescesse verso l’interno del corpo, rivelandosi nella trasformazione come il rivoltarsi d’una pelliccia. Un tipico versipelle si trova nel Satyricon di Petronio Arbitro, già straordinariamente moderno nel riportare i più caratteristici luoghi comuni sul lupo mannaro.

Gli incantesimi necessari a un tale scopo possono comprendere l’uso di erbe, unguenti di macabra composizione, o la confezione di amuleti e oggetti speciali come cinture o vesti. Per i guerrieri nordici, che in nome di Odino si abbandonavano alla più folle esaltazione della battaglia, la trasmutazione metaforica in lupo, ulfhedinn, od orso, berserk, avveniva per mezzo di camicie fatte delle corrispettive pelli, indossate in luogo dell’armatura.

Altri fattori, in aggiunta al magico, sono l’idolatria del Maligno o il suo diretto intervento. Col diffondersi dei processi per stregoneria, nel XV secolo, crebbero infatti anche quelli per licantropia, proiettando sulle streghe il presunto potere, concesso dal diavolo, di mutarsi in forme animali.

Infine, la diffusione della licantropia può aver luogo per contagio, attraverso il morso del lupo mannaro secondo le più diffuse leggende (in realtà, assai più cinematografiche che popolari). La vittima sopravvissuta si troverà in questo caso soggetta alle fasi lunari, senza possibilità di controllo sulle proprie metamorfosi durante le notti di plenilunio, soprattutto nelle fasi iniziali della sua nuova soprannaturale carriera.

Uomo lupo in un bestiario del XV secoloNella trasformazione, il corpo del licantropo si ricopre di pelo sino al palmo delle mani, gli occhi si fanno rossi e ardenti, la voce diventa un ringhio gutturale e il soggetto tende a perdere la postura bipede eretta. Sia nella completa forma fisica di lupo che in una condizione ibrida fra questa e la conformazione umana, l’udito, la vista e l’olfatto si fanno più acuti, e l’uomo lupo acquisisce tutti i sensi e le abilità del predatore.

A queste caratteristiche si aggiunge una straordinaria capacità rigenerativa, che gli permette di guarire da ferite e lesioni con estrema e innaturale rapidità. Tornato in sé nella sua forma diurna, egli non serberà solitamente memoria delle proprie azioni, ritrovando però sul proprio corpo ogni residua grave ferita subita nel corso del suo stato mannaro.

Vi sono alcuni segni esteriori che, tradizionalmente, indicano la licantropia nelle persone: i peli sul palmo delle mani sono uno dei più tipici, insieme alle sopracciglia unite e all’insolita lunghezza del dito anulare. Alcuni animali, come i cani o i cavalli, non sopportano la vicinanza dei licantropi, in qualunque forma essi siano, e reagiscono con terrore alla loro presenza.

Le capacità di guarigione del licantropo sono forse all’origine della diceria che lo vuole invulnerabile alle armi comuni, argomento controverso fra le diverse fonti. Per uccidere uno di questi esseri, il metodo più classico è l’utilizzo di lame o proiettili in argento, elemento puro e fortemente simbolico, introdotto nel mito probabilmente da fonti cristiane. Metallo, tuttavia, troppo tenero per essere forgiato in efficaci strumenti di offesa: una pallottola d’argento, per esempio, troverebbe ben scarso impatto e penetrazione a una normale distanza di tiro. Altri sistemi sono la decapitazione e la privazione del cuore, procedure altamente consigliabili ad applicarsi anche dopo una canonica uccisione tramite argenteria, avendo poi cura di dare alle fiamme i resti della creatura come ulteriore margine di sicurezza.
Locandina del film 'The Wolf Man', 1941
Che il lupo mannaro sia soggetto agli esorcismi, o all’esibizione di simboli sacri come nel caso del vampiro, resta un’ipotesi assai dubbia. Benché non si escluda che esemplari d’inclinazione particolarmente religiosa possano risultare sensibili a tali espedienti. Esistono, piuttosto, alcuni tipi di piante ed erbe cui si attribuiscono caratteri protettivi contro il cosiddetto “mal di luna”, o persino il potere di mantenere gli uomini lupo a distanza. Tra queste il vischio, il frassino, e l’aconito o “luparia”.

“Anche l’uomo che ha puro il suo cuore
E ogni giorno si raccoglie in preghiera
Può diventar lupo, se fiorisce l’aconito
E la luna piena risplende la sera”

(Versi dal film L’uomo lupo, versione italiana di The Wolf Man, 1941)

Andrea Bonazzi

(pubblicato in origine su HorrorMagazine il 22/03/05)

lunedì 13 settembre 2010

Licantropi & Weird Tales: III

Saggio in tre parti: vedi parte II.

Illustrazione di Harold S. De Lay in Weird Tales, agosto-settembre 1936Il paesaggio fatto di oscure foreste e di boschi enormi e secolari ha da sempre un posto privilegiato all’interno delle storie di licantropia. Ma anche altri scenari, se ben descritti, riescono a evocare un’atmosfera altrettanto suggestiva. In “The Werewolf of the Sahara” (Weird Tales, agosto-settembre 1936) il misterioso G.G. Pendarves (pseudonimo maschile sotto cui si nascondeva in realtà una gentile donzella, Gladys Gordon Trenery) ci porta tra le dune d’Egitto, dove la magia nera di un malvagio sceicco trasforma in licantropo un avventuriero svedese che, alla fine, verrà liberato dall’amore di una donna. “The Hound of Pedro” (Weird Tales, novembre 1938) di Robert Bloch si ambienta invece in Messico, al tempo della dominazione spagnola. Il Pedro del titolo è Pedro Dominguez, tirannico leader di una banda di predoni che si divertono a fare razzie e a terrorizzare le popolazioni locali. Per accrescere la sua autorità, egli fa un patto col diavolo che lo trasforma però in un bestiale licantropo, costretto a bere il sangue di giovani donne.

Robert Bloch (1917-1994), famoso per aver scritto Psycho, fu uno degli autori di punta di Weird Tales, e un’altra sua inusuale storia di licantropi fu pubblicata nel numero di marzo 1946 della rivista. Si tratta di “The Bogey Man Will Get You”, dove l’eroina protagonista va incontro ad una brutta fine quando, spinta dalla curiosità, ficca il naso negli affari del suo vicino di casa, che lei crede essere un vampiro... Mentre in realtà, come scopre a sue spese, questi è un licantropo!

Illustrazione in Weird Tales, gennaio 1941“Lupa”, di Robert Barbour Johnson, vede come protagonista l’ennesima ragazza-lupo. Il racconto esce su Weird Tales nel gennaio del 1941.

Dal canto suo Manly Wade Wellman (1903-1986), altro autore troppo spesso sottovalutato ma capace di scrivere ottimi racconti weird, prende spunto dalle leggende tradizionali degli Stati Uniti del Sud per imbastire alcune delle più affascinanti storie dell’orrore apparse sul mercato dei pulp [per un approfondimento su questo scrittore, il riferimento in italiano è un articolo del sottoscritto: “Manly W. Wellman e la tradizione popolare del racconto weird”, su Yorick Fantasy Magazine n. 16/17, Reggio Emilia, 1993].

Nel maggio 1936 Wellman pubblica su Weird Tales “The Horror Undying”, la prima delle sue storie d’argomento licantropico: qui gli atroci delitti del lupo mannaro avvengono nel pieno della guerra di Secessione americana, passando quasi in secondo piano di fronte agli orrori della battaglia. Segue, nel marzo 1937, “The Werewolf Snarls”, in cui un esperto di scienze occulte incontra uno strano personaggio che gli si rivela come un licantropo. Il racconto è però abbastanza convenzionale, e l’autore ha fatto di meglio in “Dhoh” (Weird Tales, luglio 1948), dove tuttavia non troviamo un uomo-lupo ma un uomo-orso! Wellman sfiorerà ancora il tema in “The Last Grave of Lill Warran” (Weird Tales, maggio 1951), racconto basato sulla credenza che un licantropo, se ucciso nella sua forma di lupo, è destinato dopo la morte a diventare un vampiro.

Weird Tales, maggio 1941, copertinaRiporta il tema entro schemi più convenzionali “The Phantom Pistol” (Weird Tales, maggio 1941) dell’abile Carl Richard Jacobi (1908-1997), dove il protagonista scopre che un suo amico collezionista di pistole antiche è un lupo mannaro, e lo uccide con uno dei pezzi della sua collezione, capace di sparare proiettili d’argento. Insieme a questa troviamo però su Weird Tales anche storie di falsa licantropia, e “The Mark of the Monster” di Jack Williamson (Weird Tales, maggio 1937) è una di esse: una tara familiare diventa qui il pretesto per convincere un uomo a credere di essere un licantropo. Il racconto è piuttosto ben dosato nel profondere un senso di mistero, ma il finale non-soprannaturale lascia con l’amaro in bocca.

Williamson, tuttavia, si rifarà in seguito con Darker Than You Think del 1940(Tr. it.: “Il figlio della notte”, Urania n. 4, Mondadori, 1952), capolavoro indiscusso del genere dove il tema orrorifico della licantropia si sposa con quello dei mutanti della fantascienza. Questo romanzo però non apparve su Weird Tales, bensì a puntate su Unknown, la rivista che sotto la direzione di John Campbell ne rinnovò per un breve periodo i fasti. Ma prima ancora di Williamson era già uscita su Strange Tales (nel numero di gennaio 1932) la novella Wolves of Darkness, in cui viene postulata una spiegazione pseudoscientifica per il mito del licantropo. Vi si narra del tentativo degli alieni di invadere il nostro mondo, con un’orda di abominevoli entità che entra nella nostra dimensione iniziando a possedere le menti e i corpi degli uomini, mutandone quindi l’aspetto in quello di mostruose creature lupesche. Alla fine si lascia intendere che da queste infiltrazioni aliene, avvenute anche secoli addietro, erano nate le leggende sui licantropi.

Il figlio della notte, 1952, copertinaVerso la metà degli anni Trenta nacquero un gran numero di magazines di weird menace, così erano chiamati i pulp in cui le storie di mistero e orrore erano intinte con una forte componente di sesso e sadismo; in pratica, riviste sul genere di Weird Tales ma con narrazioni molto più spinte e trasgressive, in cui la componente sovrannaturale non era strettamente necessaria all’esplicitarsi della storia. E anche qui le storie di licantropia non mancavano. Per esempio su Horror Stories compare, nel numero di agosto-settembre 1937, “Beast-Women Stalk at Night” di Wayne Rogers (pseudonimo di Archibald Bitter, che fu uno degli editori di Argosy), dove agisce un branco di nude e feroci donne-bestia che danno la caccia agli uomini spargendo nel mondo l’epidemia licantropica.

Un lupo gigantesco e sanguinario è presente anche in “The Death Beast” di Norvell Page (1904-1961), che vide la luce su Dime Mystery Magazine nel dicembre 1933, mentre un intero banco di licantropi agisce in “The Seal of Sin” di Henry Kuttner (Strange Stories, agosto 1940), nel quale però un anello magico, sul quale è inciso il sigillo di Salomone, dà a un occultista il potere di sconfiggerli. Il filone delle creature mannare prosegue poi in racconti come “The Werewolf of Wall Street”, di Edith e Ejler Jacobson (Dime Mystery Magazine, luglio 1938), “Master of the Werewolf” di Gabriel Wilson (Terror Tales, luglio-agosto 1939), e “Wooed by a Werewolf” di Robert Lesile Bellem (Uncanny Tales, novembre 1939).

Illustrazione di Virgil Finlay in Weird Tales, dicembre 1936
Illustrazione di Boris Dolgov in Weird Tales, settembre 1942
Illustrazione interna di Virgil Finlay per The Woman at Loon Point.
A destra, illustrazione di Boris Dolgov per Satan’s Bondage di Banister.


Ma è su Weird Tales che le storie sui lupi mannari trovano il loro campo più fecondo. Oltre a quelle già citate, ulteriori variazioni della trasformazione da uomo a bestia possono essere individuate nei racconti “Silver Bullets” di Jeremy Ellis (Weird Tales, aprile 1930), “The House of the Golden Eyes” di Theda Kenyon (settembre 1930), e “The Curse of the Valedi” di Captain S.P. Meek (luglio 1935). Si tratta tuttavia di storie piuttosto convenzionali, scritte da autori minori, che nulla aggiungono al mito dell’uomo-lupo. Un ingegnoso metodo per vanificare la maledizione della licantropia, è comunque impiegato da August Derleth e Mark Schorer nel racconto “The Woman at Loon Point” (Weird Tales, dicembre 1936) in cui il protagonista, un giovane in vacanza nei boschi del Michigan, viene morso da un licantropo e si trasforma a sua volta in bestia. La sorella dell’uomo, allora, lo incatena prima delle sue trasformazioni notturne, così che egli non possa assaggiare altro sangue con cui rinnovare i suoi poteri. Questo fa sì che la magia licantropia perde la sua efficacia e il giovane è salvo.

Weird Tales, settembre 1942, copertinaLa mutazione da uomo a lupo gioca una parte esplicita anche in “Loup-Garou” di Manly Banister (1914-1986) che, uscito su “The Unique Magazine” nel maggio 1937, narra in uno scenario contemporaneo dell’amore di un uomo per una bellissima ragazza-lupo destinata però alla tragica morte. Banister tornerà sull’argomento in “Satan’s Bondage” (Weird Tales, settembre 1942), definito un “werewolf-western” dall’editore della rivista, e in altri due racconti: “Devil Dog” (Weird Tales, luglio 1945) ed “Eena” (Weird Tales, settembre 1947), il suo capolavoro, la cui protagonista è un’altra donna-lupo.

In questa toccante storia uno scrittore, Joel Cameron, prende casa vicino a Wolf Lake facendo amicizia con i coloni locali. I semi della tragedia vengono piantati quando l’uomo, trovato un cucciolo di lupo albino, lo alleva contro la volontà dei coloni che gli sconsigliano di farlo. A dispetto del forte legame che si instaura tra loro, Eena (è questo il nome dato al lupo, che è di sesso femminile) una volta cresciuta fugge via dall’uomo, e presto sul posto iniziano a udirsi storie su un grosso lupo bianco a capo di un famelico branco. La trama prende una piega drammatica allorché Eena, piuttosto inaspettatamente, cambia trasformandosi in una giovane e bella ragazza che alterna la sua forma animale a quella umana. Eena intraprende così una relazione d’amore con il suo protettore, che resta ignaro della cosa; ma quando alla fine l’uomo si trova davanti il grosso lupo bianco, che stenta a riconoscere come il cucciolo che aveva allevato, non esita a sparargli. Scopre così di aver ucciso la donna amata, che torna alla forma umana morendo tra le sue braccia.

Un’attrazione fatale è presente anche in “Werewoman” di Catherine Lucille Moore (1911-1987), tra le più brillanti scrittrici di science fantasy di Weird Tales. Il racconto, facente parte della serie di Northwest Smith, uscì però su Leaves nel 1938: qui, l’avventuriero delle stelle incontra in un desertico reame alieno un branco di lupe mannare, e ne diventa il capo.

The White Wolf, 1941, copertinaNotevoli variazioni sul tema delle trasformazioni licantropiche sono anche i racconti “The Psychomorph” di E.A. Grosser (Unknown, febbraio 1940), “When the Werewolf Howls” (Horror Stories, maggio 1940), e “Beast of the Island” di Paul Selonke (Strange Stories, ottobre 1940), tutti usciti sulle riviste “rivali” di Weird Tales.

Gli anni Quaranta sono unanimemente considerati come il “Periodo d’Oro” per lo sviluppo e l’evolversi del filone licantropico, sia al cinema che nella letteratura. In narrativa, uno dei romanzi migliori del periodo è The White Wolf di Franklin Gregory (1905-1985), pubblicato nel 1941. Si tratta di un riuscito tentativo per dare alle storie di licantropi un trattamento adulto. Protagonista è ancora una volta una giovane donna, Sara de Camp d’Avesnes, la quale, dopo essersi immischiata con un culto Satanico, si trasforma in grosso lupo bianco e in questa forma uccide chi le sbarra la strada. Il padre di Sara, allarmato dai cambi di personalità della figlia, scopre che la ragazza era predestinata a diventare una wolf-woman come contropartita di un patto col diavolo fatto da un suo antenato. Il romanzo, eccellentemente scritto, è pieno di scene orrorifiche e splatter che lo rendono ancor oggi una lettura avvincente e moderna. Vi troviamo anche la terribile descrizione di un infante rapito dal licantropo, la cui testa, più tardi, viene ritrovata staccata dal corpo!

Weird Tales, novembre 1942, copertinaLa prima storia a cambiare in modo radicale lo stereotipo della licantropia (un tema che cominciava ad essere ormai usato e abusato da troppi scrittori), rappresentando un vero spartiacque tra passato e moderno, è “The Hound” di Fritz Leiber (Weird Tales, novembre 1942), racconto che si avvantaggia di un’ambientazione urbana e moderna. Il mostro licantropico qui è descritto come una creatura d’ombra di forma incerta, impossibile da definire ma dall’apparenza di lupo. È un fantasma che, nato dall’inconscio della sua vittima, prende sembianze di carne e sangue. E l’aspetto di belva ne fa una creatura ancor più temibile.

Un altro autore che ha reinterpretato in maniera originale la leggenda dell’homo lupis è stato Anthony Boucher (1911-1968), scrittore dai risvolti spesso umoristici. In “The Compleat Werewolf” (Unknown, aprile 1942) troviamo un lupo mannaro arruolato nell’F.B.I., e in “The Ambassadors” (Startling Stories, giugno 1952) i licantropi diventano plenipotenziari terrestri su altri pianeti. Sulla rivista di Farnsworth Wright è apparso invece, nel settembre 1945, il suo “Mr. Lupescu”, strano racconto di una creatura mannara nata dall’immaginazione.

Weird Tales, settembre 1927, copertinaI licantropi comparivano occasionalmente anche nei versi che si pubblicavano su Weird Tales, e “They Run Again” (nel numero del dicembre 1938) di Leah Bodine Drake, autrice che più tardi vinse un Premio Pulitzer, ne è il miglior esempio. Ma degni di menzione sono anche i componimenti di Henry Kuttner (“Ballad of the Wolf”, giugno 1936) e di C. Edgar Bolen (“Lycanthropus”, settembre 1936).

I romanzi e i racconti a tema licantropico pubblicati su Weird Tales (tra cui si citano ancora “The Wolf-Woman” di Bassett Morgan, settembre 1927, e “The Werewolf Owls” di Clifford Ball, novembre 1941) rappresentano una piccola ma significativa parte dell’enorme produzione letteraria che ha preso piede dal mito del werewolf, e attraverso tutta la serie di variazioni che alla fine hanno coinvolto anche il cinema, la figura del lupo mannaro è diventata una icona-simbolo dell’immaginario dell’uomo. Per questo, c’è da credersi che il suo sinistro ululato continuerà a riecheggiare nei nostri incubi ancora a lungo...

Illustrazione di Mont Sudbury per 'The Werewolf Owls' in Weird Tales, novembre 1941Nota Bibliografica: Diversi dei racconti citati nell’articolo sono rintracciabili, in traduzione italiana, nelle seguenti antologie: Storie di lupi mannari, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco (“I Mammut” Newton Compton, Roma, 1994); Notti di luna piena, a cura di Domenico Cammarota (Fanucci, Roma, 1987); I signori dei lupi, a cura di Gianni Pilo (Fanucci, Roma, 1988); Mal di luna, a cura di G. Pilo e S. Fusco (Tascabili Economici Newton, Roma, 1994). Per i dati originali dei racconti, il riferimento principale è stato il volume The Collector’s Index to Weird Tales, compilazione a opera di Sheldon R. Jaffery e Fred Cook (Bowling Green State University Press, Ohio, 1985), mentre per l’iconografia, oltre che delle fonti originali si è fatto uso di Terror! A History of Horror Illustrations from the Pulp Magazines, di Peter Haining (Sphere Books, 1978). Nel campo critico, i volume consultati utilmente sono stati invece i seguenti: The Essential Guide to Werewolf Literature di Brian J. Frost (University of Wisconsin Press, Madison, WI, 2003); Werewolf in Legend, Fact and Art, di Basil Copper (St. Martin’s Press, New York, 1977), e A Lycanthropy Reader: Werewolves in Western Culture, di Charlotte F. Otten (Syracuse University Press, NY, 1986).

N.B.: Il presente articolo era stato pubblicato in forma incompleta, più breve e con un diverso titolo (“La figura del licantropo nel weird-tale americano del primo Novecento”) nel libretto collettivo Licantropi!, a cura di Elvezio Sciallis (Ed. Yorick Fantasy Magazine, Speciale n. 30.1, 2001). Questa, qui presentata, è la sua versione inedita, riveduta e aggiornata per l’occasione.

Pietro Guarriello

sabato 11 settembre 2010

Licantropi & Weird Tales: II

Saggio in tre parti: vedi parte I.

Harold Warner Munn, fotoÈ da notare che al tempo, seppure il corpus delle storie licantropiche fosse già abbastanza rilevante, ancora nessun classico canonizzava la leggenda del lupo mannaro, così come invece era stato fatto per la mitologia del vampiro con il Dracula di Bram Stoker.

H.P. Lovecraft stesso ne era consapevole, e dalle pagine della rubrica della posta di Weird Tales lanciò quindi una provocazione, suggerendo che qualcuno avrebbe dovuto provare a scrivere una storia di licantropi “diversa”, per esempio narrandola dal punto di vista del licantropo stesso. Lo fece, cogliendo il suo spunto, Harold Warner Munn (1903-1981) con la sua prima vendita professionale a Weird Tales, e il racconto, “The Werewolf of Ponkert” (pubblicato nel numero del luglio 1925) resta ancora oggi una pietra miliare sul tema della licantropia. Ambientato nell’Ungheria del XIV secolo, vi si riporta la cronaca in diario di Wladislaw Brenryk, nobile gentiluomo che, reso schiavo da un essere demoniaco, è costretto a trasformarsi in lupo compiendo ogni sorta di efferatezze. In questo sembiante arriverà perfino a uccidere la propria moglie e la sua bambina.

C’è da dire che il racconto di Munn, seppure appaia tradotto da noi con il titolo “Il Lupo Mannaro di Ponkert” nel secondo volume di Tutti i Romanzi e i Racconti di Lovecraft dell’editore Newton Compton (uscito inizialmente nel 1993, e poi ristampato), resta invece ancora inedito in italiano, perchè i curatori del suddetto libro hanno spacciato per The Werewolf of Ponkert un altro racconto di Munn che però, chiaramente, non è quello (si tratta infatti di “The Return of the Master”), inserendolo così arbitrariamente fra le collaborazioni narrative di Lovecraft, e arrivando perfino a inventare una presunta partecipazione dello scrittore di Providence alla stesura della storia.

Weird Tales, luglio 1925, copertina
Illustrazione di Frank Kelly Freas, Weird Tales, luglio 1925
La copertina di Andrew Brosnatch, e la pagina di Weird Tales con il racconto di Munn.
L’illustrazione interna è di Frak Kelly Freas.

In ogni modo H.W. Munn, quale scrittore dalle indubbie qualità, riuscì a dotare la sua novella di una sensibilità letteraria non comune e di un genuino senso di tragedia, e il racconto fu subito un successo; anche se, a dire la verità, Lovecraft non ne fu troppo soddisfatto, come si apprende da una sua lettera scritta qualche tempo dopo a Robert Bloch, di cui traduciamo qui di seguito un significativo estratto:

“Ebbi una lettera pubblicata nel 1923 in ‘The Eyrie’ [la rubrica della posta di Weird Tales] nella quale invitavo a scrivere storie dal punto di vista del ghoul o del lupo mannaro. H. Warner Munn ‘pensava’ di aver seguito la mia idea quando scrisse The Werewolf of Ponkert... ma in realtà l’ha pienamente fraintesa. Le sue simpatie erano ancora sul lato dell’umanità, mentre io mi riferivo a soggetti che fossero totalmente dissociati dal punto di vista dell’uomo e ad esso violentemente ostili”. Cfr. H. P. Lovecraft, Letters to Robert Bloch, a cura di David E. Schultz e S.T. Joshi (Necronomicon Press, 1993), p. 21.

Questa dichiarazione, scritta di pugno da Lovecraft, smentisce dunque decisamente coloro che vorrebbero l'autore di Providence come collaboratore o revisore del racconto.

Dopo l’uscita di “The Werewolf of Ponkert”, i lettori di Weird Tales chiesero a gran voce dei seguiti che sviluppassero ultriormente la vicenda dello sfortunato Wladislaw Brenryk. E Munn, consapevole di avere per le mani un buon soggetto, li accontentò, dando così inizio alle “Cronache del Clan dei Licantropi” che si dipanarono su “The Unique Magazine” dal 1927 al 1931. Qui, in un susseguirsi di epoche storiche e avvenimenti turbinosi e fantastici, si seguono le gesta dei discendenti di Brenryk che, afflitti dalla sua stessa maledizione atavica, finiscono uno per uno vittime del “Maestro”, un mostruoso essere mutaforma che ha tra i suoi poteri quello di trasformarsi in un licantropo e di mutare allo stesso modo anche gli uomini. L’elemento della licantropia, tuttavia, viene minimizzato ed è centrale solo in alcuni dei successivi racconti della serie, tra i quali “The Return of the Master” (Weird Tales, luglio 1927) e “The Werewolf’s Daughter” (Weird Tales, ott., nov. e dic. 1928).

Weird Tales, luglio 1927, copertina
Weird Tales, ottobre 1928, copertina
Munn in copertina su Weird Tales, illustrazioni di C.C. Senf.

Fra il 1977 e il 1979 l’intero ciclo di storie è stato poi raccolto sotto il titolo di Tales of the Werewolf Clan, pubblicato dall’editore americano Donald M. Grant in due oggi rari volumi da collezione, nei quali vennero aggiunte anche le storie addizionali con cui Munn aveva provveduto, in anni più recenti, a espandere e concludere la saga, rivelando infine che il Maestro non era un essere soprannaturale bensì un extraterrestre proteiforme, esiliato sulla Terra dai tempi dell’antica Babilonia per l’incantesimo di una strega. In italiano, il ciclo si trova parzialmente tradotto nel volumetto Stirpe di Lupo (Il Fantastico Economico Classico, Newton Compton, 1994).

Il vasto scopo di H. Warner Munn è stato unico negli annali dei pulps di weird-fiction, e le sue storie, ambientate sempre nello scenario di grandi avvenimenti storici (la disfatta della “Grande Armada” di Spagna, la Guerra dei Trent’Anni, l’Inquisizione, la Peste Nera a Londra, la scoperta d’America, ecc.) hanno una loro potente originalità che le contraddistingue e le rende avvincenti e ricche di fascino tutt’oggi. E nonostante il parere contrario di Lovecraft, restano tra le più singolari variazioni mai tentate sul tema della licantropia.

Weird Tales, marzo 1925, copertinaMetamorfosi lupesche figurano anche in altre popolari serie che apparivano all’epoca su Weird Tales. Seabury Quinn (1889-1969) include alcune delle più memorabili creature mannare nelle sue storie che vedono come protagonista l’investigatore dell’occulto Jules de Grandin, tra cui “Daughter in the Moonlight” (Weird Tales, agosto 1930) e “The Wolf of St. Bonnot” (Weird Tales, dicembre 1930). In quest’ultimo racconto il “licantropo” Gilles Garnier viene riportato in vita da una seduta spiritica e, nella forma di enorme lupo, inizia a insidiare la volontà di una donna. Qui, Quinn prende spunto dalla cronaca nera del passato e la condisce con il soprannaturale tipico della narrativa weird. Il personaggio Gilles Garnier, infatti, è realmente esistito agli inizi dell’Ottocento, trattandosi però nella realtà non di un vero licantropo ma di un serial-killer che, per la sua crudeltà, venne soprannominato “Il Lupo di St. Bonnot”. Le sue gesta furono così efferate che una “voce” su di lui apparve anche in quella stravagante bizzarria che è il Dizionario Infernale di Collins de Plancy (1844).

illustrazione in Weird Tales, marzo 1933La prima storia di Seabury Quinn in cui Jules De Grandin se la deve vedere contro un licantropo, è comunque “The Blood Flower” (Weird Tales, marzo 1927). Vi si racconta di una giovane donna che cade sotto un’oscuro incantesimo dopo aver annusato un fiore infernale, originario della Transilvania, che trasforma gli uomini in lupo. Il temibile fiore le è stato regalato da un suo conoscente che, subìta la stessa metamorfosi, vuole ora la donna come sua compagna. Un’altra donzella in pericolo salvata da De Grandin, che qui sfugge per un pelo alle grinfie di un lupo mannaro, la troviamo nel racconto “The Thing in the Fog”, pubblicato su Weird Tales nel marzo 1933.

Quinn cambia invece direzione in “The Gentle Werewolf” (Weird Tales, luglio 1940), racconto slegato dal ciclo di de Grandin che privilegia il fantasy rispetto all’horror, e a cui fa da sfondo l’epica della storia, con le sue leggende, i suoi drammi e i suoi furori cavallereschi. La trama vede una bella fanciulla mutata da una vecchia megera in lupo, la quale in questa forma è costretta a seguire da lontano il suo promesso sposo, paladino dei Crociati in Terra Santa. La storia fa venire in mente il film di Richard Donner Ladyhawke (1985).

Greye La Spina, fotoTra i più prolifici autori della “retroguardia” di Weird Tales, Greye La Spina (1880-1969) era al tempo una delle scrittrici più note e popolari. Questo prima di diventare una famosa fotografa e giornalista di New York e di lasciare il mondo della letteratura. Sposata in seconde nozze con un aristocratico italiano, i suoi racconti avevano una spiccata un’inclinazione verso il tema della licantropia, iniziando da “The Wolf on the Steppes” (che però apparve su Thrill Book nel 1919) fino al romanzo Invaders from the Dark, pubblicato in tre puntate su Weird Tales nel 1925, la sua opera più famosa che ha goduto anche di una ristampa negli anni Settanta. Protagonista ne è Portia Differdale, la vedova di un occultista, che nel romanzo si contende l’amore di un uomo con una licantropa che cela la sua natura mostruosa dietro le sembianze di una bella principessa Russa.

Una delle migliori storie di licantropia di Greye La Spina è poi “The Devil’s Pool” (Weird Tales, giugno 1932), in cui il pozzo del titolo ha il potere di trasformare in licantropi gli uomini che vi finiscono dentro. Una delle scene memorabili del racconto è quando una licantropa accovacciata di fronte a un grosso specchio osserva la sua immagine riflessa, che non è quella di una lupa ma di una donna nuda a quattro zampe. Immagine rappresentata fedelmente nella bella copertina del numero, di cui è autore il brillante artista J. Allen St. John.

Weird Tales, giugno 1932, copertina
illustrazione di Carl Kidwell
La copertina di J. Allen St. John, e illustrazione di Carl Kidwell per Magazine of Horror.

Kirk Mashburn (1900-1968) è un altro dei numerosi autori il cui profilo letterario si è perso nelle pagine oggi ingiallite di Weird Tales. Secondo Pilo e Fusco, si tratterebbe di un “venditore di prosciutti” del Michigan, morto nel 1935, mentre in realtà è stato uno scrittore professionista texano, piazzando un buon numero di storie sui pulp magazines del periodo. Anche R.E. Howard, il papà di Conan (ma anche di Kull e di Solomon Kane) ne apprezzò lo stile, e scrisse in una lettera che “Kirk Mashburn è uno scrittore dannatamente bravo”.

Weird Tales, novembre 1931, copertinaMashburn ebbe almeno due storie d’argomento licantropico pubblicate su Weird Tales. La prima di esse, “Placide’s Wife” (novembre 1931) viene erroneamente descritta sulla copertina del numero come una “impressionante storia di vampiri”, mentre in realtà la protagonista del racconto, Nita Nuboin, appare più di frequente in forma lupesca. Nel seguito della storia, “The Last of Placid’s Wife” (Weird Tales, settembre 1932) la fatale non-morta, che si distingue dalle altre eroine mannare per la particolarità di girare sempre nuda, ha un intero seguito di uomini-lupo alle proprie dipendenze, pronti a eseguire ogni suo comando.

Forse non molti sanno che su Weird Tales uscì anche il racconto “The Bagheeta” (luglio 1935) di cui era autore il famoso produttore di pellicole horror Val Lewton, l’uomo a cui si devono tanti classici del genere fra cui Cat People (1942), conosciuto in Italia come Il Bacio della Pantera. La storia, che quasi prefigura la trama del film, si basa su un’antica leggenda e parla di una creatura soprannaturale, metà donna e metà leopardo, che sembra essere la reincarnazione di una vergine morta per le torture inflittegli da uomini sadici e immorali. Naturalmente si tratta di una storia di vendetta.

Weird Tales, agosto 1938, copertinaUna simile leggenda, con alla base una maledizione che coinvolge ancora una volta una donna, dà origine all’evocativo racconto di Arlton Eadie (1862-1937) “The Wolf-Girl of Josselin”, pubblicato su Weird Tales nell’agosto 1938 e ambientato in una nebbiosa Cornovaglia. In questo scenario suggestivo si ritrova in vacanza un giovane inglese che, giunto nel villaggio di Josselin, s’innamora di una ragazza del posto, ignaro del fatto che tutte le donne che qui vivono nascondono un terribile segreto: sono infatti delle licantrope, condannate alla loro ferina natura dalla maledizione di una vecchia mendicante scacciata secoli prima dal villaggio.

[Continua]

Pietro Guarriello

giovedì 9 settembre 2010

Licantropi & Weird Tales: I

Saggio in tre parti.

Licantropo dal film 'Van Helsing', 2004, fotoIl lupo mannaro è, in buona compagnia con il vampiro, una delle figure più classiche del nostro immaginario collettivo. I miti e le leggende di ogni tempo e paese sono piene di storie di uomini che si trasformano in bestie, codificate per la prima volta, in vera e propria casistica metamorfica, da due eccentrici studiosi del folklore europeo come Sabine Baring-Gould (in The Book of the Were-Wolves, 1865) e dal Reverendo Montague Summers (The Werewolf, 1933). Al di là delle asettiche classificazioni dei miti e delle fole popolari, è però in campo letterario che l’archetipo del licantropo ha trovato nuova linfa per far prosperare la sua leggenda. Già nelle Metamorfosi di Ovidio (43 a.C.) troviamo la storia di Licaone mutato in lupo da Zeus. Nella letteratura classica ci sono poi gli antecedenti del Satyricon di Petronio (60 d.C.), dove si raccontava la storia di un “versipellis” – così i romani chiamavano il lupo mannaro – come riferita da Nicerota al banchetto di nozze di Trimalcione, e i numerosi testi zooantropici del periodo medievale.

Le prime apparizioni licantropiche dei tempi moderni si trovano nel romanzo di Frederick Marryat The Phantom Ship, scritto nel 1839 (una lunga rielaborazione della leggenda dell’Olandese Volante in cui è incluso il capitolo The Werewolf of the Hartz Mountains, su una ragazza-lupo), in Wagner the Wehr-Wolf (opera-fiume che George William Reynolds, influenzato dall’interesse allora dilagante per l’occulto, pubblicò in ben settantasette fascicoli tra il 1846 e il 1847), e in Le Meneur des Loups del francese Alexandre Dumas, del 1860 (non proprio sui lupi mannari ma su un “conduttore dei lupi”, uno stregone che ha potere su questi animali). Un notevole testo gotico che, purtroppo, risulta ancora inedito in italiano, è poi The Albigenses di Robert Charles Maturin (1824), in cui un licantropo si muove nelle segrete di un antico castello; anche se qui il lupesco protagonista appare in un solo episodio, come storia a parte incastonata nella narrazione principale.

Secondo il critico Andrew Barger, compilatore di The Best Werewolf Short Stories 1800-1849: A Classic Werewolf Anthology (Bottletre Books, 2010), la prima donna-lupo della letteratura, se non si conta la comparsata in The Phantom Ship, prende forma nel romanzo Sidonia the Sorceress dello scrittore tedesco Johannes Wilhelm Meinhold, uscito in due volumi nel 1849 e tradotto in inglese da Lady Wilde, madre del più famoso Oscar. La Sidonia del titolo viene descritta come un “idolo di perversità”, tuttavia la sua natura bestiale e predatoria è ancora troppo legata alla figura della femme fatale del romanticismo tedesco.

Due sono le classiche werewolf stories britanniche dell’ultima decade dell’Ottocento: “The Werewolves” (1898) di H. Beaugrand, e “Loup Garou!” (1899) di Eden Phillpotts. La prima, più suggestiva, trova ambientazione tra le foreste del Canada, dove un trapper racconta del suo singolare incontro con una tribù di indiani intenti a danzare attorno al fuoco... Umani in tutto, ma con la coda e testa di lupo! E tra le prime storie brevi a uscire in Inghilterra, si ricordano ancora “Father Meuron’s Tale” (1907) di R.H. Benson, nel quale una giovane contadina che esibisce i simboli della licantropia viene curata con un esorcismo, e “The Undying Thing” (1901) di Barry Pain, dove la maledizione licantropica affligge una strana famiglia di aristocratici.

Queste prime storie, insieme ad altre che cominciavano ad apparire sui dime-novels, le riviste popolari del tempo, portarono in auge nella fiction le creature mannare grazie anche allo stimolo offerto dai movimenti culturali del periodo, come il Romanticismo e il Decadentismo. È soprattutto nella letteratura inglese, col suo retroterra di atavismo e leggende, che la figura del licantropo trova terreno fertile, e anche scrittori del calibro di Agatha Christie (con The Hound of Death, 1933) Arthur Conan Doyle (The Hound of the Baskervilles, 1901-02) e Robert Louis Stevenson (Olalla, 1885) hanno scritto memorabili variazioni sul tema.

Illustrazione da Wagner the Wehr-Wolf, 1846-47Il primo romanzo di cui è protagonista un licantropo a essere pubblicato in Inghilterra, comunque, è il già citato Wagner the Werewolf (questo il titolo dato alle più recenti edizioni) di George W.M. Reynolds, un dimenticato maestro del penny dreadful – come venivano chiamate le prime opere popolari del terrore – oggi dimenticato ma al tempo famosissimo. Più storia d’avventura che horror di stampo gotico, narra la storia di tal Fernand Wagner, un vecchio e solitario misantropo che, durante una notte di tempesta, viene visitato dal Dr. Faust. La mefistofelica apparizione gli offre la possibilità di tornare giovane e in salute, ma in cambio Wagner dovrà accettare di trasformarsi in licantropo durante le notti di luna piena. Egli naturalmente accetta. Il resto della storia vede quindi i tentativi di Wagner per trovare una cura alla sua condizione di uomo-lupo, e tra audaci briganti, eroine in pericolo e sadiche religiose, il protagonista trova anche il tempo di coronare una sua storia d’amore con la bella ma fatale Nisida. Ambientato per gran parte nella Firenze del medioevo, il lungo romanzo è narrato in tono melodrammatico ed è pieno di tanti, forse troppi personaggi secondari che rendono difficile da seguire la vicenda principale. Anche il diavolo stesso fa una sua comparsata, almeno in un paio d’occasioni...

Gerald Biss, fotoBrughiere brumose, boschi infestati e locande solitarie, gli elementi tipici della tradizione fantastica anglosassone nonché luoghi prediletti per le creature della luna piena, si trapiantano dunque nella prima narrativa fantastica e diventano presto un “topos” del genere. Tra le opere più significative emerse in terra d’Albione, la migliore è forse The Door of the Unreal di Gerald Biss (1876-1922), romanzo pubblicato a Londra nel 1919 e considerato oggi un vero classico della letteratura soprannaturale. H.P. Lovecraft stesso lo elogiò in Supernatural Horror in Literature, e a riguardo scrisse che il romanzo “… tratta in modo piuttosto abile lo scontato tema della licantropia”. Secondo alcuni critici, è stato l’opera che ha poi spianato la strada che ha portato all’Età d’Oro del filone licantropico. La trama s’incentra su misteriose sparizioni di persone che funestano la contea del Sussex, un caso che la polizia locale sembra incapace di risolvere. I due protagonisti della storia, fratello e sorella, si trovano invischiati nelle indagini e scoprono che dietro tutte le sparizioni c’è la sinistra figura del dott. Wolff (nomen omen!), un botanico tedesco che si rivelerà essere un lupo mannaro. Alla morte di questi, sarà la figlia a perpetrarne la lunga scia di sangue.

Tra le opere classiche tradotte anche da noi, ricordiamo invece The Were-Wolf di Clemence Annie Housman (Tr. it.: “Pelliccia Bianca”, in Le Signore dell’Orrore, Longanesi, 1973), novella scritta nel 1896 che Sam Moscowitz, esperto e storico di letteratura pulp, ha definito “la più singolare opera di narrativa mai scritta sul tema della licantropia”. Vi si narra la storia di due fratelli, i quali entrano in conflitto a causa di una misteriosa ragazza che,dietro una bellezza ferina cela la sua natura ambigua di donna-lupo.

Il Mostro Immortale, 1955, copertinaTra i primi romanzi inglesi a trattare in modo compiuto il tema della licantropia, c’è anche The Undying Monster. A Tale of the Fifth Dimension, romanzo scritto nel 1922 da Jessie Dougles Kerruish (Tr. it.: Il mostro immortale, I Romanzi di Urania n. 85, Mondadori, 1955). In quest’opera una maledizione atavica colpisce gli eredi di un’antica casata, che vengono perseguitati da un mostro licantropico e apparentemente immortale che miete le sue vittime nelle notti di luna piena. La storia è sovrabbondante di sinistre atmosfere, ma risente ancora troppo del sorpassato filone del gotico.

La figura del lupo mannaro dovrà trasferirsi al di là dell’Oceano, per l’esattezza in America, per rivitalizzarsi e uscire dai suoi clichè di nebbie e di foreste. Il Nuovo Mondo non possedeva ancora una propria tradizione di leggende su cui basarsi, al contrario dell’Europa ricca di storia, e si ingegnò nell’inventarsi un sostegno mitologico che reinterpretasse con autonoma originalità i vecchi miti anglosassoni. Su questa base gli americani hanno costruito, e in taluni casi reinventato, un passato pseudostorico e di leggenda divenuto familiare anche per noi.

Come fonte d’invenzione fantastica, anche la figura del licantropo venne ripresa dal Vecchio Continente e incorporata in uno scenario nuovo ma sicuramente originale e carico di fermento. Attecchì soprattutto nelle riviste popolari degli anni Trenta, i cosiddetti pulp magazines, e in modo particolare sulla decana di esse, Weird Tales, che del bizzarro e dell’immaginazione si era fatta portavoce durante gli anni della Grande Depressione, offrendo al popolo americano un motivo d’evasione dal grigiore della vita di tutti i giorni. Qui agiva un manipolo di scrittori che, capitanati da un maestro come Lovecraft, riuscirono a dare un nuovo volto al racconto fantastico di stampo ottocentesco, diventato obsoleto con l’avvento della civiltà industriale, determinando di fatto una rottura con il gotico tradizionale e creando una nuova mitologia alternativa che prendeva le mosse da un reale “dilaniato dagli orrori della prima guerra mondiale, e scosso dal fermento che le nuove tecniche scientifiche, prima quelle di Albert Einstein, hanno provocato”. (Cfr. Giorgio Giorgi, “La ‘scuola di Weird Tales’ come necessità di una nuova mitologia”, in Percorsi nel Fantastico, Il Cerchio Iniziative Editoriali, 1997).

Questo “rovesciamento” della tradizione fu avvertito in modo particolare da alcuni scrittori del fantastico più attenti alle trasformazioni in atto, i quali videro crollarsi addosso tutto l’impianto retorico tradizionale che fino ad allora aveva fornito la base alle loro opere. Prendendo coscienza di questa nuova visione del mondo “allargata”, che offriva motivo a nuove e più grandi irrequietezze e paure, fecero sparire dalla loro narrativa tutti gli orpelli gotici ormai stantii e odorosi di muffa, le cripre, i castelli, i cimiteri nebbiosi e le foreste stregate, e posero le basi per l’avvento di un new horror di stampo moderno e non più antropocentrico.

H.P. Lovecraft, 1920, fotoIn questo scenario la figura del lupo mannaro non era comunque destinata a sparire. Si trasforma invece sulla base di questa nuova dimensione dell’Ignoto, e continua a prosperare; merito anche del successo ottenuto da alcuni studi antropologici sul folklore occidentale, come quello di Summers, citato all’inizio, in cui gli autori di pulp-magazines trovarono ispirazione per scrivere proprie storie licantropiche.

Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) fu il principale rinnovatore degli elementi del gotico e uno dei primi a rispolverare il tema del werewolf nel racconto “The Hound”, che pubblicato nel febbraio 1924 su Weird Tales, si tinge di una inedita visione “cosmica” che non lascia spazio alla superstizione. Resosi conto che le tradizionali storie di vampiri, licantropi e spettri avevano fatto il loro tempo, ed erano ormai fuori moda alla luce delle moderne teorie della scienza, che aprivano ora a terrori più grandi, Lovecraft ridisegnò la mappa del fantastico e delle sue principali icone; unendo l’orrore con la fantascienza rese più attuale la vecchia concezione del vampiro in “The Shunned House”, della strega in “The Dreams in the Witch House” e, appunto, del licantropo, che nella sua opera appare anche nel sonetto “The Howler” facente parte della raccolta di poesie Fungi from Yuggoth. E di Lovecraft ricordiamo anche il lungo poema “Psychopompos” (Weird Tales, settembre 1937), che vede un malvagio barone medievale terrorizzare i suoi vassalli in forma di grosso lupo.

Weird Tales, aprile 1926, copertinaGli altri due “Moschettieri” di Weird Tales, Robert Ervin Howard (1906-1936) e Clark Ashton Smith (1903-1961), non furono da meno nel riplasmare alla loro maniera la figura del wolfman letterario. Howard lo fece in una accezione più classica, ma non priva di originalità e genuino vigore narrativo. In “The Forest of Villefere” (Weird Tales, agosto 1925) lo spadaccino de Montour incontra un temibile licantropo sui pericolosi sentieri della Francia del XVII secolo. La sua lama avrà la meglio, ma in un racconto seguente, “Wolfshead” (Weird Tales, aprile 1926), apprendiamo che a seguito di quell’avventura de Montour, per uno strano scherzo del destino, era rimasto lui stesso vittima della maledizione licantropica, destinato ad assumere mostruose sembianze lupesche nelle notti di luna piena. Lo scenario, questa volta, è la costa occidentale dell’Africa dove un nobile possidente spagnolo, Dom Vincente da Lusto, ha costruito un solitario castello. “Black Hound of Death” (Weird Tales, novembre 1936) si svolge invece nelle oscure foreste di pini del Sud degli Stati Uniti, e Howard vi narra l’allucinante vicenda di Adam Grimm, trasformato in creatura bestiale, mezzo uomo e mezzo lupo, dalle Nere Arti dei Sacerdoti di Erlik. Senza dimenticare Atla, la donna-lupo che nel racconto “Worms of the Earth” (Weird Tales, novembre 1932) aiuta Bran Mac Morn a compiere il suo spaventoso viaggio negli inferi della Terra.

Dal canto suo Clark Ashton Smith, scrittore abilissimo nel campo della science fantasy, offre un’altra diversificazione della licantropia in “The Beast of Averoigne” (Weird Tales, maggio 1933), che prende spunto da una vecchia leggenda provenzale, quella della Bestia del Gevaudan (l’enorme lupo che terrorizzò i boschi di Francia nel XVIII secolo) reinterpretata però nell’ottica dei lovecraftiani “Miti di Cthulhu”. Per Smith il lupo mannaro è una figura-simbolo preferita per esprimere le paure che si annidano nei boschi, e benchè tali creature appaiano direttamente soltanto in due sue storie della serie di Averoigne (oltre a quella citata anche in “The Enchantress of Sylaire”, dove s’incontra il personaggio di Malachia du Marais, un uomo trasformato in licantropo dagli incantesimi di una maga) esse sono “onnipresenti” dietro le quinte di ognuna. Più tardi questo scrittore affronterà ancora il tema, ma volgendolo in chiave decisamente satirica, nel bizzarro racconto “Monsters in the Night” (The Magazine of Fantasy & Science Fiction, ottobre 1954). Qui troviamo un licantropo che assale per errore un robot scambiandolo per un uomo!

Henry St. Clair Whitehead, fotoAltro famoso contributore di Weird Tales fu Henry St. Clair Whitehead (1882-1932), anche lui amico di Lovecraft e autore tra i più interessanti del primo dopoguerra americano. Pur essendo un diacono della Chiesa episcopale nelle Isole Vergini, Whitehead era accompagnato da una eccezionale fama di uomo forte e coraggioso, che oltre ad essere un intrepido cacciatore di serpenti era anche uno studioso di oscuro folklore. E per spavalderia nei confronti delle superstizioni di quei luoghi, si vantava di avere per amici due veri lupi mannari! Nel suo racconto “No Eye Witness” (Weird Tales, agosto 1932) uno scienziato prova un macchinario avveniristico, una specie di video capace di mostrare scene accadute in passato, e assiste da testimone involontario alla nascita della leggenda sui licantropi. In questa storia è particolarmente originale la fusione di fantascienza, orrore e mito. Un altro esempio di storia licantropica lo troviamo poi in quello che è forse il suo racconto più famoso, “Jumbee” (Weird Tales, settembre 1926), che prende spunto dal folklore caraibico. Qui, per magia voodoo, una vecchia strega si trasforma in un pericoloso cane il cui tocco significa la morte. Whitehead si riferisce al fenomeno definendolo come “canicantropia”.

[Continua]

Pietro Guarriello