Ogni tanto – molto raramente, in verità – salta fuori un libro che rappresenta una sorta di rivelazione e una scoperta per il fortunato autore del rinvenimento. Nel campo della letteratura fantastica, soprattutto, è oggi difficile imbattersi in opere che non siano le solite note, in letture di qualità che alla forza immaginifica e visionaria delle parole uniscano idee e concetti di pari potenza ed efficacia. Il Villaggio Nero è uno di questi libri. Mirabile, invero, perché uscito fuori quasi dal nulla, da uno scrittore che fino a ieri risultava del tutto sconosciuto anche ai più ferrati cultori del genere. Pubblicato nella bella collana “Biblioteca dell’Immaginario” delle Edizioni Hypnos, per la meritoria cura di Andrea Bonazzi, porta finalmente alla ribalta anche da noi, in modo imperioso, il nome di Stefan Grabiński (1887-1936), unico e solo scrittore di letteratura fantastica nella Polonia tra le due Guerre. Un autore dell’Est europeo, dunque, ma capace di rivaleggiarre e, forse, persino di superare, per concetti ardimentosi e portata cosmica, autentici giganti come Lovecraft, Blackwood, Chambers, Machen o Hodgson. Come loro, Grabiński è stato in grado di costruire con la sua opera inquietanti simbolismi, e di intessere attraverso di essa incredibili atmosfere di orrore in agguato dietro l’angolo
I racconti racchiusi in questa prima (e si spera non ultima) antologia italiana rappresentano una lettura seducente e sconcertante; da essi trasuda un fascino tenebroso, un’allettante, vertiginosa e agghiacciante profondità. È una lettura che colpisce e lascia il segno, che ammalia, che apre a suggestioni arcane e ad altre consapevolezze. È anche un viaggio impressionante nella mente di un uomo che non accettò mai le sue limitazioni umane. Gli appassionati del fantastico siano avvisati: Il Villaggio Nero è un gioiello, per quanto oscuro e tenebroso, uno dei libri più belli, originali e stimolanti usciti in Italia negli ultimi anni nel campo della letteratura fantastica.
Nei dodici racconti qui raccolti si agitano forze terribili, creature e presenze misteriose, incubi indicibili e orrori filtrati dalla frattura stessa della realtà. Vi troviamo uomini solitari che affrontano i fantasmi del proprio inconscio, folli sfide contro l’incarnazione del Tempo, treni spettrali, vampire e donne demoniache, visioni di altre dimensioni, tetri villaggi che nascondono oscuri segreti, e dimore infestate e maledette. E ancora, sogni che prendono vita, cose maligne ed entità eteree e immateriali, ma anche terrori più tangibili che prendono corpo dall’inconscio e dalle aberrazioni fisiche e mentali.
Ma c’è dietro molto più di tutto questo.
Anche per via della strana filosofia che li permea, i racconti di Grabiński sono considerati un caso unico, brillanti e innovativi esempi di un tipo particolare di fantastico che lo scrittore stesso proponeva di chiamare “psicofantastico” (o “metafantastico”) perché scritti in opposizione ai più convenzionali racconti di genere che uscivano in quel periodo. Anche quando usa gli elementi classici del folklore europeo, Grabiński li aggiorna e li riporta al presente, seguendo le contemporanee correnti della scienza e della filosofia. In questo il suo approccio alla letteratura orrorifica è perfettamente moderno, poiché si svincola dagli elementi della semplice tradizione e si arricchisce di simboli, figure e metafore che vanno al di là della semplice rêverie fantastica. La sua opera letteraria è pertanto atipica nel suo genere: in essa il macabro, il sovrumano, il trascendente, si innesta in un substrato che ha le sue fonti tanto nella materia scientifica quanto nei saperi alternativi, ma anche nella psicologia, nella filosofia e nel metafisico.
Le patologie della mente umana sono un perno dei racconti bizzarri di Stefan Grabiński; lo scrittore infatti fu un vero maestro nel rappresentare costrutti neurotici, teorie insane e strane fobie. Perché è alla follia stessa che il genio spesso si rapporta. Come ha scritto un suo studioso e traduttore, Grabiński “unisce le concezioni di antichi filosofi come Eraclito e Platone con la filosofia contemporanea di Henry Bergson e Maurice Maeterlink, in una battaglia contro un mondo moderno in cui il senso originale e vero della natura umana viene cancellato dalle macchine, dai sistemi repressivi e dalla miopia di alcuni” (cfr. Miroslaw Lipinski, Introduzione a The Dark Domain, Dedalus European Classics, 1993).
Ma chi era, davvero, Stefan Grabiński? Al di là della semplice biografia, che lo vuole uomo mite e riservato, maestro in una piccola scuola di periferia, in pochi forse sanno che Grabiński conduceva una doppia vita: di giorno si divideva tra la sua professione di insegnante e quella di scrittore, mentre di notte leggeva avidamente, studiava ed esercitava tutto ciò che atteneva ai domini dell’occulto. Quest’ultimo aspetto ne fa una figura di scrittore eccentrico e maledetto, che conosceva perfettamente le materie arcane, dalla teosofia allo spiritismo, senza tralasciare i classici della demonologia, magia e alchimia. Studiava, dunque, e indagava ogni teoria bizzarra o anticonvenzionale che poteva permettergli di elevare il suo pensiero sopra la realtà limitante della condizione umana, con lo scopo di abbattere le barriere tra i mondi, di penetrare i confini al di là della vita. Riteneva infatti che la morte non fosse la fine. “Ho sempre creduto,” disse a un amico che andò a fargli visita prima che morisse, “che nell’aldilà fiorisca una nuova vita, nuovi mondi che la visione del povero cervello umano non può scorgere”. A questo amico promise anche di ritornare dalla morte, come un fantasma.
E contro un fantasma Grabiński lottò per tutta la sua breve e disperata esistenza: il fantasma della morte. Afflitto sin da fanciullo dalla tubercolosi, cercò di ribellarsi alla sua infermità e alla tirannia di un corpo minato dalla malattia gettandosi disperatamente nello studio di ogni teoria o scienza, anche la più bislacca, che poteva offrirgli un appiglio o una via d’uscita alla sua precaria condizione. Alla sua fragilità di uomo, Grabiński opponeva il potere della conoscenza. E l’esercizio e lo sviluppo della mente e delle sue facoltà più straordinarie, in modo particolare, lo spinsero a intraprendere un viaggio solitario nei territori più estremi dell’occulto. Attingendo a una varietà di fonti – soprattutto testi medioevali di alchimia e alla filosofia Buddista e Induista, ma anche alle dottrine della moderna scienza – lo scrittore arrivò alla conclusione che è il pensiero a creare la realtà, ed è il pensiero il vero artefice dell’esistenza materiale dell’universo.
Le idee fantastiche di Grabiński trovano la loro fonte nella sua concezione pluralistica e neo-platonica della realtà, secondo cui tutto si muove con l’atto della creazione della forza motrice del pensiero, secondo il concetto dinamico ispirato alle dottrine di Nietzsche e di Bergson, quest’ultimo una riconosciuta influenza sulla sua narrativa. “L’attivazione della mente, la sua fonte come propulsore della realtà” – scrive sempre Miroslaw Lipinski – “è la chiave per comprendere il pensiero di Grabiński e le sue idee circa il soprannaturale. Al contrario di molti scrittori di letteratura fantastica, egli credeva davvero in ciò che scriveva, nel significato divino del verbo scritto. Nulla di ciò che scriveva era per lui semplice intrattenimento: la sua opera è l’espressione di un’anima sincera”. (Cfr. introduzione a The Motion Demon, Ash-Tree Press, 2005).
Dunque, Stefan Grabiński credeva in ciò che scriveva. E i suoi racconti sono, in definitiva, l’espressione di una mente complessa e tormentata, fortemente ossessionata dall’occulto e dai fantasmi di una realtà che gli fu sempre ostile. Come rivelò nelle sue “Confessioni” (Wyznaniach, 1926): “Ci sono stati momenti molto tristi nella mia vita, soprattutto tra i miei 15 e i 21 anni, i cui sudari funebri gettarono come un’ombra nei miei giorni a venire. Conobbi l’orrore misterioso della vita, e mi convinsi che il Male è altrettanto potente del Bene”.
Ne Il Villaggio Nero è raccolta una scelta significativa degli straordinari racconti di Stefan Grabiński, che vanno da “Il demone del movimento”, dove un treno diventa lo scenario, al tempo stesso inquietante e surreale, di un crimine orrendo, a “La stanza grigia”, racconto-incubo di un uomo che si ritrova a vivere in un locale stregato dalla maligna presenza di un precedente inquilino, da “Il villaggio nero”, che dà titolo alla raccolta e che narra di un bizzarro villaggio dai tetri colori, che appare solo in sogno e abitato da strani personaggi, a “La vendetta degli elementali”, in cui un pompiere dalle straordinarie capacità ignifughe, tali da renderlo un fenomeno agli occhi della gente, viene in contatto con creature maligne capaci di manipolare il fuoco, probabilmente esseri di un’ignota dimensione.
Molti di questi racconti sono costruiti secondo un modello simile: dapprima nella vita “normale” dei protagonisti iniziano a manifestarsi fenomeni misteriosi o insoliti, che li portano a confrontarsi con realtà altre, e infine – in finali spesso sorprendenti – si assiste alla trasformazione o metamorfosi interiore dei protagonisti o, più spesso, alla loro rovina.
Luogo d’azione della maggior parte delle storie sono le città di provincia o sobborghi isolati, edifici e case solitarie, stazioni ferroviarie spettrali e abbandonate. La realtà e la psicologia dei protagonisti è rappresentata con realistica attenzione, e c’è un’abile costruzione di stati d’animo particolari dell’uomo che sfociano nell’inquietudine e in momenti creativi di abile tensione.
I motivi espressivi più ricorrenti in questi racconti si possono individuare nei seguenti: 1) il problema dell’identità; 2) l’esistenza di realtà parallele che si muovono dietro il velo della realtà; 3) la vita dopo la morte; 4) il passato che torna a reclamare i suoi debiti con il presente; 5) il fascino della scienza e degli studi sul paranormale; 6) l’elemento della follia e della donna demonio (o femme fatale). Alle volte i temi predominanti divengono quasi lovecraftiani, in quanto costruiti intorno alle aberrazioni della psicologia e alle forze soprannaturali che giacciono in attesa di vendetta, gettando sull’uomo maligni avvertimenti dall’Altrove.
Un paio di storie vengono dalla pregevole raccolta Demon ruchu (1919), un unicum nella storia della letteratura fantastica e soprannaturale, dove tutti i racconti sono incentrati sul tema dei treni e delle ferrovie (un’ossessione di Grabiński), che diventano simboli perfetti di quell’energia o forza spirituale che, secondo alcune filosofie metafisiche, sottende alla realtà influenzando la materia. Bergson chiamava questa forza élan vital, lo “slancio vitale”, che è quella forza naturale e nascosta della vita che fa muovere l’universo e tutte le cose (cfr. Henry Bergson, Pensiero e movimento, Ed. Bompiani, 2000). Il treno, quindi, come un diretto feticcio della filosofia anti-materialistica di Grabiński.
Un’altra delle forze propulsive della vita, il sesso, diventa un ulteriore elemento perturbante nella strana filosofia Grabińskiana, e prende forma narrativa in racconti che, in accordo con le teorie freudiane contemporanee dell’autore, aprono a curiose interpretazioni e a sottesi simbolismi psicoanalitici. Le oscure forze della libido si muovono dietro alcune delle storie più inquietanti e potenti di questa antologia, quali “L’amante di Szamota” o “A casa di Sara”, dove incauti protagonisti smarriscono sé stessi in storie dell’orrido di sconvolgente e conturbante qualità. La prosa di Grabiński (a cui la traduzione di Bonazzi rende un servizio eccellente) è talmente misurata, a tal punto efficace, da riuscire a rendere estremamente lievi, perfino romantiche (ma un romanticismo nero, nerissimo) anche immagini necrofile che in altre mani risulterebbero estremamente violente e gratuite: ed ecco che un bacio dato al capo mozzato di una giovane ragazza (nel racconto “L’engramma di Szatera”) diventa l’ossessione languida e malinconica di un uomo solitario; che un uomo che fa l’amore con un corpo morto di donna, un tronco privo di arti e testa (in “A casa di Sara”) incarna tutta la passionalità di un amante irretito nelle spire del desiderio amoroso irrisolto.
Non poteva mancare in questa raccolta il racconto che costituisce forse il supremo monumento artistico di Grabiński: “L’Area”. Protagonista ne è il suo alter-ego, Wrzesmian, nel quale prendono piena forma i tormenti dello scrittore che, come il personaggio di carta, viveva isolato e recluso in una magione appartata ai margini della città. Da una finestra che affaccia sulla casa di fronte, solitaria e deserta, Wrzesmian assisterà alla propria dissoluzione fisica e psichica, allorché gli abitanti della dimora inquietante emergeranno come fantasmi dai suoi sogni, veri e propri incubi che si materializzano dall’inconscio delle sue fantasie alterate.
A confermare quindi la lungimirante scelta del curatore, è presente in questa silloge uno dei racconti più strani di Grabiński, il fantasmagorico “Saturnin Sektor”, che dietro una trama sibillina e apparentemente ermetica palesa meglio di tutti gli altri le influenze del già citato filosofo Henry Bergson (1859-1941), la cui opera superò le tradizioni ottocentesche dello spiritualismo e del positivismo ed ebbe una forte influenza nei campi della psicologia, dell’arte e della letteratura dei suoi tempi. In Grabiński diventa un nume tutelare che occhieggia ammiccante dietro il substrato della fantasticheria; nelle folgoranti pagine di Bergson sul sogno e il déja-vu, l’oblio e il sonnambulismo, i fenomeni psichici e il rapporto tra la materia e lo spirito (si vedano in particolare i suoi saggi L’Evoluzione Creatrice, Raffaello Cortina Editore, 2002, Materia e memoria, Laterza, 2009, ma soprattutto Ipnosi e fantasmi, Civitas, 2012, o la bizzarra Conferenza sui fantasmi, Theoria, 1993) ritroviamo l’asse portante dell’opera Grabińskiana.
Ma per tornare al racconto nominato, “Saturnin Sektor”, che elabora sul tema (persistente nell’opera di Grabiński) della paranoia e della schizofrenia, ancora una volta è presente un protagonista alienato i cui deliri ossessivi sfoceranno in un omicidio; in questo caso però non è una persona umana a morire, ma il Tempo stesso, o meglio lo zeitgeist che determina così anche la fine di un’epoca. Qui i fenomeni di personalità dissociata del protagonista rappresentano le opposte teorie del tempo, e quindi un passaggio dalla vecchia epoca verso la moderna; cosicché l’inevitabile omicidio del climax diventa un chiaro simbolo di quel cambiamento sociale e culturale in atto agli inizi del Novecento e ben recepito dall’autore.
Anche in questo racconto Grabiński usa una figura fantastica ricorrente nella sua narrativa: quella del “doppio”. Molte delle sue storie mettono in scena protagonisti tormentati da frammenti della loro personalità inconsapevolmente dissociata, che poi s’incarnano in doppelgänger che li perseguitano. Questi doppi mostruosi di solito diventano odiati avversari, come appunto in “Saturnin Sektor”, o nel grottesco racconto “Strabismus” (non presente in questa raccolta). Altre volte queste incarnazioni della personalità problematica dei personaggi assume la forma di una elusiva femme fatale (“L’amante di Szamota”), ma più spesso la parte alienata dell’Io si manifesta in forme diverse: in “L’Area”, per esempio, si riferisce a un magico spazio dove la bloccata creatività artistica del protagonista è libera di esprimersi e di emergere dal subconscio. Molti di questi racconti possono definirsi – come ha brillantemente suggerito il critico Brian Stableford – “studi di personali e interiori frammentazioni” (cfr. St. James Guide to Horror, Ghost & Gothic Writers, a cura di David Pringle, St. James Press, Detroit, 1998, p. 667).
I temi cardine di questa fantastica antologia del bizzarro, come abbiamo visto, sono molteplici e complessi, e vanno dallo sdoppiamento di personalità alla questione del male intrinseco nell’uomo, dall’esistenza di molteplici piani di esistenza, a sogni che si realizzano nella realtà tangibile, ecc. Ma è soprattutto l’ossessione il motivo principale che domina. Gli antieroi dei racconti di Grabiński sono infatti per lo più persone segnate dallo stigma di esperienze dolorose, uomini tormentati da varie turbe e fobie. Ciò diventa chiaro se si guarda anche alla biografia dell’autore. Grabiński fu sempre interessato alla psicologia, alla psicopatologia, alla psichiatria e in generale a tutte quelle scienze cognitive capaci di aprire a nuove e inesplorate dimensioni dell’inconscio. Il suo lavoro da insegnante lo considerava come una necessità, piuttosto che una passione (anche se era un insegnante molto stimato dai suoi colleghi e dagli studenti, che lo definivano un uomo integro e di sani principi), un modo con cui dissimulava il suo vero interesse per le cose segrete e invisibili, arcane e misteriose, intime e profonde, e celate agli occhi degli uomini.
Era un uomo in bilico tra due mondi, Grabiński, quello della realtà e quello dell’ignoto, anche se al di fuori del campo letterario è difficile trovare segni di questo suo coinvolgimento per il trascendentale e l’occulto, passioni che coltivava solitarie, senza condividerle con altri, in una sorta di ascetico cammino che, riteneva, poteva condurlo verso l’immortalità dello spirito. Introverso e schivo, tranquillo e riservato, Grabiński fu sempre attento a non lasciar trapelare nulla del fuoco interiore che lo divorava. Spesso lo si vedeva camminare, da solo, lungo le stazioni ferroviarie, dove raccoglieva spunti e idee per i suoi racconti. La ferrovia e quel che la rappresenta (treni, strade ferrate, binari, rotaie, stazioni) è del resto un luogo topico da sempre, un simbolo di evasione da una realtà monotona e un viatico per l’altrove, (cfr. Remo Cesarani, Treni di carta. L’immaginario in ferrovia: l’irruzione del treno nella letteratura moderna, Marietti, 1993).
Alla luce di tutto questo, due cose risaltano innanzitutto alla mente dopo aver letto i racconti contenuti ne Il Villaggio Nero: a) quanto quelle storie siano fortemente autobiografiche; b) quanto lo scrittore fosse realmente dentro di esse, intrinsecamente legato alla sua opera e ai suoi personaggi.
Stefan Grabiński, questo filosofo misantropo sedotto dal soprannaturale e dall’introversa esplorazione dei misteri della vita, questo ometto strano e appartato dal resto del mondo, eccentrico nelle sue ideee e perso nelle sue fantasticherie, che credeva in ciò che scriveva, nella relatività del tempo, nei poteri della mente umana e nella sua capacità di mutare le cose, finì i suoi giorni il 12 novembre 1936, morendo in povertà, solo così com’era sempre vissuto (a parte una breve parentesi matrimoniale) e dimenticato da tutti. Ma qualcosa è rimasto, e il suo spirito continua a perdurare come lui si era ripromesso. La sua lucida follia, le sue inquietudini, che lo portarono a investigare indifferentemente la scienza e l’occulto, sono tutte lì, nei suoi racconti. Ed è il fantastico più puro, perché forgiato dalle visioni di una mente che non ebbe limiti.
Informazioni sul volume presso il sito dell’editrice www.edizionihypnos.com.
Il Villaggio Nero. Racconti Fantastici
Stefan Grabiński
Biblioteca dell’Immaginario, Edizioni Hypnos, 2012
brossura, 300 pagine, €21.90
ISBN 9788896952085
I racconti racchiusi in questa prima (e si spera non ultima) antologia italiana rappresentano una lettura seducente e sconcertante; da essi trasuda un fascino tenebroso, un’allettante, vertiginosa e agghiacciante profondità. È una lettura che colpisce e lascia il segno, che ammalia, che apre a suggestioni arcane e ad altre consapevolezze. È anche un viaggio impressionante nella mente di un uomo che non accettò mai le sue limitazioni umane. Gli appassionati del fantastico siano avvisati: Il Villaggio Nero è un gioiello, per quanto oscuro e tenebroso, uno dei libri più belli, originali e stimolanti usciti in Italia negli ultimi anni nel campo della letteratura fantastica.
Nei dodici racconti qui raccolti si agitano forze terribili, creature e presenze misteriose, incubi indicibili e orrori filtrati dalla frattura stessa della realtà. Vi troviamo uomini solitari che affrontano i fantasmi del proprio inconscio, folli sfide contro l’incarnazione del Tempo, treni spettrali, vampire e donne demoniache, visioni di altre dimensioni, tetri villaggi che nascondono oscuri segreti, e dimore infestate e maledette. E ancora, sogni che prendono vita, cose maligne ed entità eteree e immateriali, ma anche terrori più tangibili che prendono corpo dall’inconscio e dalle aberrazioni fisiche e mentali.
Ma c’è dietro molto più di tutto questo.
Anche per via della strana filosofia che li permea, i racconti di Grabiński sono considerati un caso unico, brillanti e innovativi esempi di un tipo particolare di fantastico che lo scrittore stesso proponeva di chiamare “psicofantastico” (o “metafantastico”) perché scritti in opposizione ai più convenzionali racconti di genere che uscivano in quel periodo. Anche quando usa gli elementi classici del folklore europeo, Grabiński li aggiorna e li riporta al presente, seguendo le contemporanee correnti della scienza e della filosofia. In questo il suo approccio alla letteratura orrorifica è perfettamente moderno, poiché si svincola dagli elementi della semplice tradizione e si arricchisce di simboli, figure e metafore che vanno al di là della semplice rêverie fantastica. La sua opera letteraria è pertanto atipica nel suo genere: in essa il macabro, il sovrumano, il trascendente, si innesta in un substrato che ha le sue fonti tanto nella materia scientifica quanto nei saperi alternativi, ma anche nella psicologia, nella filosofia e nel metafisico.
Le patologie della mente umana sono un perno dei racconti bizzarri di Stefan Grabiński; lo scrittore infatti fu un vero maestro nel rappresentare costrutti neurotici, teorie insane e strane fobie. Perché è alla follia stessa che il genio spesso si rapporta. Come ha scritto un suo studioso e traduttore, Grabiński “unisce le concezioni di antichi filosofi come Eraclito e Platone con la filosofia contemporanea di Henry Bergson e Maurice Maeterlink, in una battaglia contro un mondo moderno in cui il senso originale e vero della natura umana viene cancellato dalle macchine, dai sistemi repressivi e dalla miopia di alcuni” (cfr. Miroslaw Lipinski, Introduzione a The Dark Domain, Dedalus European Classics, 1993).
Ma chi era, davvero, Stefan Grabiński? Al di là della semplice biografia, che lo vuole uomo mite e riservato, maestro in una piccola scuola di periferia, in pochi forse sanno che Grabiński conduceva una doppia vita: di giorno si divideva tra la sua professione di insegnante e quella di scrittore, mentre di notte leggeva avidamente, studiava ed esercitava tutto ciò che atteneva ai domini dell’occulto. Quest’ultimo aspetto ne fa una figura di scrittore eccentrico e maledetto, che conosceva perfettamente le materie arcane, dalla teosofia allo spiritismo, senza tralasciare i classici della demonologia, magia e alchimia. Studiava, dunque, e indagava ogni teoria bizzarra o anticonvenzionale che poteva permettergli di elevare il suo pensiero sopra la realtà limitante della condizione umana, con lo scopo di abbattere le barriere tra i mondi, di penetrare i confini al di là della vita. Riteneva infatti che la morte non fosse la fine. “Ho sempre creduto,” disse a un amico che andò a fargli visita prima che morisse, “che nell’aldilà fiorisca una nuova vita, nuovi mondi che la visione del povero cervello umano non può scorgere”. A questo amico promise anche di ritornare dalla morte, come un fantasma.
E contro un fantasma Grabiński lottò per tutta la sua breve e disperata esistenza: il fantasma della morte. Afflitto sin da fanciullo dalla tubercolosi, cercò di ribellarsi alla sua infermità e alla tirannia di un corpo minato dalla malattia gettandosi disperatamente nello studio di ogni teoria o scienza, anche la più bislacca, che poteva offrirgli un appiglio o una via d’uscita alla sua precaria condizione. Alla sua fragilità di uomo, Grabiński opponeva il potere della conoscenza. E l’esercizio e lo sviluppo della mente e delle sue facoltà più straordinarie, in modo particolare, lo spinsero a intraprendere un viaggio solitario nei territori più estremi dell’occulto. Attingendo a una varietà di fonti – soprattutto testi medioevali di alchimia e alla filosofia Buddista e Induista, ma anche alle dottrine della moderna scienza – lo scrittore arrivò alla conclusione che è il pensiero a creare la realtà, ed è il pensiero il vero artefice dell’esistenza materiale dell’universo.
Le idee fantastiche di Grabiński trovano la loro fonte nella sua concezione pluralistica e neo-platonica della realtà, secondo cui tutto si muove con l’atto della creazione della forza motrice del pensiero, secondo il concetto dinamico ispirato alle dottrine di Nietzsche e di Bergson, quest’ultimo una riconosciuta influenza sulla sua narrativa. “L’attivazione della mente, la sua fonte come propulsore della realtà” – scrive sempre Miroslaw Lipinski – “è la chiave per comprendere il pensiero di Grabiński e le sue idee circa il soprannaturale. Al contrario di molti scrittori di letteratura fantastica, egli credeva davvero in ciò che scriveva, nel significato divino del verbo scritto. Nulla di ciò che scriveva era per lui semplice intrattenimento: la sua opera è l’espressione di un’anima sincera”. (Cfr. introduzione a The Motion Demon, Ash-Tree Press, 2005).
Dunque, Stefan Grabiński credeva in ciò che scriveva. E i suoi racconti sono, in definitiva, l’espressione di una mente complessa e tormentata, fortemente ossessionata dall’occulto e dai fantasmi di una realtà che gli fu sempre ostile. Come rivelò nelle sue “Confessioni” (Wyznaniach, 1926): “Ci sono stati momenti molto tristi nella mia vita, soprattutto tra i miei 15 e i 21 anni, i cui sudari funebri gettarono come un’ombra nei miei giorni a venire. Conobbi l’orrore misterioso della vita, e mi convinsi che il Male è altrettanto potente del Bene”.
Ne Il Villaggio Nero è raccolta una scelta significativa degli straordinari racconti di Stefan Grabiński, che vanno da “Il demone del movimento”, dove un treno diventa lo scenario, al tempo stesso inquietante e surreale, di un crimine orrendo, a “La stanza grigia”, racconto-incubo di un uomo che si ritrova a vivere in un locale stregato dalla maligna presenza di un precedente inquilino, da “Il villaggio nero”, che dà titolo alla raccolta e che narra di un bizzarro villaggio dai tetri colori, che appare solo in sogno e abitato da strani personaggi, a “La vendetta degli elementali”, in cui un pompiere dalle straordinarie capacità ignifughe, tali da renderlo un fenomeno agli occhi della gente, viene in contatto con creature maligne capaci di manipolare il fuoco, probabilmente esseri di un’ignota dimensione.
Molti di questi racconti sono costruiti secondo un modello simile: dapprima nella vita “normale” dei protagonisti iniziano a manifestarsi fenomeni misteriosi o insoliti, che li portano a confrontarsi con realtà altre, e infine – in finali spesso sorprendenti – si assiste alla trasformazione o metamorfosi interiore dei protagonisti o, più spesso, alla loro rovina.
Luogo d’azione della maggior parte delle storie sono le città di provincia o sobborghi isolati, edifici e case solitarie, stazioni ferroviarie spettrali e abbandonate. La realtà e la psicologia dei protagonisti è rappresentata con realistica attenzione, e c’è un’abile costruzione di stati d’animo particolari dell’uomo che sfociano nell’inquietudine e in momenti creativi di abile tensione.
I motivi espressivi più ricorrenti in questi racconti si possono individuare nei seguenti: 1) il problema dell’identità; 2) l’esistenza di realtà parallele che si muovono dietro il velo della realtà; 3) la vita dopo la morte; 4) il passato che torna a reclamare i suoi debiti con il presente; 5) il fascino della scienza e degli studi sul paranormale; 6) l’elemento della follia e della donna demonio (o femme fatale). Alle volte i temi predominanti divengono quasi lovecraftiani, in quanto costruiti intorno alle aberrazioni della psicologia e alle forze soprannaturali che giacciono in attesa di vendetta, gettando sull’uomo maligni avvertimenti dall’Altrove.
Un paio di storie vengono dalla pregevole raccolta Demon ruchu (1919), un unicum nella storia della letteratura fantastica e soprannaturale, dove tutti i racconti sono incentrati sul tema dei treni e delle ferrovie (un’ossessione di Grabiński), che diventano simboli perfetti di quell’energia o forza spirituale che, secondo alcune filosofie metafisiche, sottende alla realtà influenzando la materia. Bergson chiamava questa forza élan vital, lo “slancio vitale”, che è quella forza naturale e nascosta della vita che fa muovere l’universo e tutte le cose (cfr. Henry Bergson, Pensiero e movimento, Ed. Bompiani, 2000). Il treno, quindi, come un diretto feticcio della filosofia anti-materialistica di Grabiński.
Un’altra delle forze propulsive della vita, il sesso, diventa un ulteriore elemento perturbante nella strana filosofia Grabińskiana, e prende forma narrativa in racconti che, in accordo con le teorie freudiane contemporanee dell’autore, aprono a curiose interpretazioni e a sottesi simbolismi psicoanalitici. Le oscure forze della libido si muovono dietro alcune delle storie più inquietanti e potenti di questa antologia, quali “L’amante di Szamota” o “A casa di Sara”, dove incauti protagonisti smarriscono sé stessi in storie dell’orrido di sconvolgente e conturbante qualità. La prosa di Grabiński (a cui la traduzione di Bonazzi rende un servizio eccellente) è talmente misurata, a tal punto efficace, da riuscire a rendere estremamente lievi, perfino romantiche (ma un romanticismo nero, nerissimo) anche immagini necrofile che in altre mani risulterebbero estremamente violente e gratuite: ed ecco che un bacio dato al capo mozzato di una giovane ragazza (nel racconto “L’engramma di Szatera”) diventa l’ossessione languida e malinconica di un uomo solitario; che un uomo che fa l’amore con un corpo morto di donna, un tronco privo di arti e testa (in “A casa di Sara”) incarna tutta la passionalità di un amante irretito nelle spire del desiderio amoroso irrisolto.
Non poteva mancare in questa raccolta il racconto che costituisce forse il supremo monumento artistico di Grabiński: “L’Area”. Protagonista ne è il suo alter-ego, Wrzesmian, nel quale prendono piena forma i tormenti dello scrittore che, come il personaggio di carta, viveva isolato e recluso in una magione appartata ai margini della città. Da una finestra che affaccia sulla casa di fronte, solitaria e deserta, Wrzesmian assisterà alla propria dissoluzione fisica e psichica, allorché gli abitanti della dimora inquietante emergeranno come fantasmi dai suoi sogni, veri e propri incubi che si materializzano dall’inconscio delle sue fantasie alterate.
A confermare quindi la lungimirante scelta del curatore, è presente in questa silloge uno dei racconti più strani di Grabiński, il fantasmagorico “Saturnin Sektor”, che dietro una trama sibillina e apparentemente ermetica palesa meglio di tutti gli altri le influenze del già citato filosofo Henry Bergson (1859-1941), la cui opera superò le tradizioni ottocentesche dello spiritualismo e del positivismo ed ebbe una forte influenza nei campi della psicologia, dell’arte e della letteratura dei suoi tempi. In Grabiński diventa un nume tutelare che occhieggia ammiccante dietro il substrato della fantasticheria; nelle folgoranti pagine di Bergson sul sogno e il déja-vu, l’oblio e il sonnambulismo, i fenomeni psichici e il rapporto tra la materia e lo spirito (si vedano in particolare i suoi saggi L’Evoluzione Creatrice, Raffaello Cortina Editore, 2002, Materia e memoria, Laterza, 2009, ma soprattutto Ipnosi e fantasmi, Civitas, 2012, o la bizzarra Conferenza sui fantasmi, Theoria, 1993) ritroviamo l’asse portante dell’opera Grabińskiana.
Ma per tornare al racconto nominato, “Saturnin Sektor”, che elabora sul tema (persistente nell’opera di Grabiński) della paranoia e della schizofrenia, ancora una volta è presente un protagonista alienato i cui deliri ossessivi sfoceranno in un omicidio; in questo caso però non è una persona umana a morire, ma il Tempo stesso, o meglio lo zeitgeist che determina così anche la fine di un’epoca. Qui i fenomeni di personalità dissociata del protagonista rappresentano le opposte teorie del tempo, e quindi un passaggio dalla vecchia epoca verso la moderna; cosicché l’inevitabile omicidio del climax diventa un chiaro simbolo di quel cambiamento sociale e culturale in atto agli inizi del Novecento e ben recepito dall’autore.
Anche in questo racconto Grabiński usa una figura fantastica ricorrente nella sua narrativa: quella del “doppio”. Molte delle sue storie mettono in scena protagonisti tormentati da frammenti della loro personalità inconsapevolmente dissociata, che poi s’incarnano in doppelgänger che li perseguitano. Questi doppi mostruosi di solito diventano odiati avversari, come appunto in “Saturnin Sektor”, o nel grottesco racconto “Strabismus” (non presente in questa raccolta). Altre volte queste incarnazioni della personalità problematica dei personaggi assume la forma di una elusiva femme fatale (“L’amante di Szamota”), ma più spesso la parte alienata dell’Io si manifesta in forme diverse: in “L’Area”, per esempio, si riferisce a un magico spazio dove la bloccata creatività artistica del protagonista è libera di esprimersi e di emergere dal subconscio. Molti di questi racconti possono definirsi – come ha brillantemente suggerito il critico Brian Stableford – “studi di personali e interiori frammentazioni” (cfr. St. James Guide to Horror, Ghost & Gothic Writers, a cura di David Pringle, St. James Press, Detroit, 1998, p. 667).
I temi cardine di questa fantastica antologia del bizzarro, come abbiamo visto, sono molteplici e complessi, e vanno dallo sdoppiamento di personalità alla questione del male intrinseco nell’uomo, dall’esistenza di molteplici piani di esistenza, a sogni che si realizzano nella realtà tangibile, ecc. Ma è soprattutto l’ossessione il motivo principale che domina. Gli antieroi dei racconti di Grabiński sono infatti per lo più persone segnate dallo stigma di esperienze dolorose, uomini tormentati da varie turbe e fobie. Ciò diventa chiaro se si guarda anche alla biografia dell’autore. Grabiński fu sempre interessato alla psicologia, alla psicopatologia, alla psichiatria e in generale a tutte quelle scienze cognitive capaci di aprire a nuove e inesplorate dimensioni dell’inconscio. Il suo lavoro da insegnante lo considerava come una necessità, piuttosto che una passione (anche se era un insegnante molto stimato dai suoi colleghi e dagli studenti, che lo definivano un uomo integro e di sani principi), un modo con cui dissimulava il suo vero interesse per le cose segrete e invisibili, arcane e misteriose, intime e profonde, e celate agli occhi degli uomini.
Era un uomo in bilico tra due mondi, Grabiński, quello della realtà e quello dell’ignoto, anche se al di fuori del campo letterario è difficile trovare segni di questo suo coinvolgimento per il trascendentale e l’occulto, passioni che coltivava solitarie, senza condividerle con altri, in una sorta di ascetico cammino che, riteneva, poteva condurlo verso l’immortalità dello spirito. Introverso e schivo, tranquillo e riservato, Grabiński fu sempre attento a non lasciar trapelare nulla del fuoco interiore che lo divorava. Spesso lo si vedeva camminare, da solo, lungo le stazioni ferroviarie, dove raccoglieva spunti e idee per i suoi racconti. La ferrovia e quel che la rappresenta (treni, strade ferrate, binari, rotaie, stazioni) è del resto un luogo topico da sempre, un simbolo di evasione da una realtà monotona e un viatico per l’altrove, (cfr. Remo Cesarani, Treni di carta. L’immaginario in ferrovia: l’irruzione del treno nella letteratura moderna, Marietti, 1993).
Alla luce di tutto questo, due cose risaltano innanzitutto alla mente dopo aver letto i racconti contenuti ne Il Villaggio Nero: a) quanto quelle storie siano fortemente autobiografiche; b) quanto lo scrittore fosse realmente dentro di esse, intrinsecamente legato alla sua opera e ai suoi personaggi.
Stefan Grabiński, questo filosofo misantropo sedotto dal soprannaturale e dall’introversa esplorazione dei misteri della vita, questo ometto strano e appartato dal resto del mondo, eccentrico nelle sue ideee e perso nelle sue fantasticherie, che credeva in ciò che scriveva, nella relatività del tempo, nei poteri della mente umana e nella sua capacità di mutare le cose, finì i suoi giorni il 12 novembre 1936, morendo in povertà, solo così com’era sempre vissuto (a parte una breve parentesi matrimoniale) e dimenticato da tutti. Ma qualcosa è rimasto, e il suo spirito continua a perdurare come lui si era ripromesso. La sua lucida follia, le sue inquietudini, che lo portarono a investigare indifferentemente la scienza e l’occulto, sono tutte lì, nei suoi racconti. Ed è il fantastico più puro, perché forgiato dalle visioni di una mente che non ebbe limiti.
Informazioni sul volume presso il sito dell’editrice www.edizionihypnos.com.
Il Villaggio Nero. Racconti Fantastici
Stefan Grabiński
Biblioteca dell’Immaginario, Edizioni Hypnos, 2012
brossura, 300 pagine, €21.90
ISBN 9788896952085
Pietro Guarriello
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